Come tutti gli istituti di recente introduzione nell’ordinamento, la Composizione della Crisi da Sovraindebitamento ha posto (ed ancora pone) all’interprete una serie di interrogativi di carattere processuale e di ordine sistematico.
La “prova dell’interpretazione” è quindi venuta a colmare i “silenzi” del legislatore del 2012 con particolare riferimento, tra l’altro, alla attribuzione del rimedio impugnatorio di legittimità come strumento di censura di ultima istanza avverso le decisioni dei tribunali.
Ai sensi degli artt. 10, comma 6 e 12, comma 2 della legge istitutiva (LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3), rispettivamente l’apertura del procedimento e l’omologazione dell’accordo di composizione della crisi sono regolate dalle norme generali dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 e seg. c.p.c.), in quanto compatibili.
Lo schema processuale desumibile dagli artt. 737 e ss. è quello sommario-semplificato del ricorso innanzi al tribunale monocratico e dell’eventuale reclamo presso il tribunale in composizione collegiale.
Sicché, sin dalle prime applicazioni si è posto il problema della ammissibilità di una eventuale ulteriore censura in sede di legittimità, secondo le forme ed i limiti del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.
Come noto, trattasi di strumento “residuale” di tutela previsto dall’ordinamento al fine di consentire il controllo di legittimità dei provvedimenti giurisdizionali, anche laddove il mezzo “ordinario” non sia previsto dal codice di rito.
Testualmente, il comma 7 dell’art. 111 Cost. fa riferimento alla possibilità di ricorrere contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, […] per violazione di legge”.
Presupposto del ricorso ex art. 111 Cost., comma 7, quindi, è che oggetto di impugnazione siano le “sentenze”.
La Corte di legittimità da sempre ritiene, peraltro, che portato di tale locuzione stia nella capacità al giudicato: la norma è stata così oggetto di una lettura estensiva, la quale si riassume in ciò, che il ricorso straordinario è dato non già avverso le sole sentenze, intendendo con ciò i provvedimenti ai quali il legislatore attribuisce detta forma, bensì contro tutti i provvedimenti, ivi compresi le ordinanze ed i decreti, simultaneamente caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (c.d. sentenze in senso sostanziale).
Dunque, per principio costante, “un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio – requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cost. – quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonchè della definitività – in quanto non altrimenti modificabile – può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.” (così Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 1914; cfr. altresì Cass. 25 ottobre 2016, n. 21522).
I requisiti richiesti ai fini del ricorso straordinario sono, dunque, la decisorietà e la definitività dei provvedimenti: decisorietà, nel senso che incidano su diritti o status; definitività, in quanto viga all’esito la regola del giudicato, quale situazione ex art. 2909 c.c. in cui l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione in nessun modo e a nessuna condizione, o, più in generale, quando manchi un rimedio impugnatorio e il provvedimento non sia modificabile/revocabile ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso.
Il giudicato sancisce il limite ultimo di regolamentazione della situazione giuridica; accertamento intangibile, al punto che neppure successivi mutamenti della normativa di riferimento, o l’abrogazione della norma ad opera della Corte costituzionale per contrasto con i principi della Costituzione, oppure la scoperta della falsità del giuramento (salvi solo i casi di revocazione straordinaria, che per l’appunto è tale) possono rimetterlo in discussione. L’istituto del giudicato costituisce la scelta legislativa che opera il bilanciamento tra le opposte esigenze ed una delle principali espressioni del valore della certezza del diritto (cfr., tra le altre, Cass. 13 novembre 2013, n. 25508; Cass. 1 dicembre 2003, n. 18339).
Fatta tale premessa di ordine generale, più complesso appare calare le indicazioni della S.C. nella realtà dei procedimenti di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento, posta la varietà di provvedimenti concretamente adottabili e di situazioni giuridiche da questi ultimi “investite”.
Va segnalato che nella giurisprudenza di legittimità si sono alternati orientamenti (solo apparentemente) contrapposti.
In uno dei più recenti interventi (Sez. I civ., Pres. Didone – Rel. Dolmetta, sentenza n. 10095 del 10.04.2019), la Cassazione ha avuto modo di segnalare che “riguardo alla tematica dei provvedimenti giudiziali che fanno parte della procedura di sovraindebitamento di cui alla L. n. 3 del 2012, questa Corte è venuta a sviluppare un orientamento che ne esclude la ricorribilità ex art. 111 Cost.; e che, anzi, va ormai considerato come consolidato.
In questa direzione si possono confrontare, in particolare, le pronunce di Cass., 1 febbraio 2016, n. 1869; Cass., 14 marzo 2017, n. 6516; Cass., 8 agosto 2017, n. 19470; Cass., 7 novembre 2017, n. 26201; Cass., 7 settembre 2017, n. 20917 (che, tra le altre, espressamente ha rilevato: il “decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell’ammissibilità del piano del consumatore di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 6, art. 7, comma 1 bis e art. 8, non precludendo a quest’ultimo – benchè nei limiti temporali previsti dall’art. 7, comma 2, lett. b, medesima legge – di presentare un altro e diverso piano di ristrutturazione dei suoi debiti, è privo dei caratteri della decisorietà e della definitività, sicchè non è ricorribile per cassazione”); Cass., 23 febbraio 2018, n. 4500; Cass., 26 novembre 2018, n. 30534”.
Tale posizione così netta in punto di inammissibilità del ricorso straordinario va però opportunamente “relativizzata”, riconducendola alla fase processuale nell’ambito della quale è stata elaborata: quella della presentazione dell’istanza – e non già quella successiva dell’omologazione dell’accordo o del piano.
Basti richiamare un altro recente arresto di legittimità: in Cass. Civ., Sez. I, n. 17836 del 3 luglio 2019 il Supremo Collegio ha richiamato l’analogia tra la fase di accesso alle procedure di composizione previste dalla L. 3/2012 e quelle concorsuali, affermando che: “il decreto reiettivo del reclamo proposto contro la decisione di rigetto della domanda di apertura della liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, disciplinata dagli artt. 14 ter e ss. della legge n. 3 del 2012, come successivamente modificata dal d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, ha la stessa natura del decreto che respinge il reclamo avverso il rigetto dell’istanza di fallimento, sicché esso non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, difettando dei requisiti della definitività (in quanto la domanda di apertura della procedura è riproponibile) e della decisorietà (in quanto non incide su un diritto del debitore)”.
Il ragionamento prende le mosse dalla considerazione che le norme che attribuiscono al debitore la facoltà di richiedere la liquidazione concorsuale dei propri beni (artt. 14-ter e seg. Legge citata) o, in alternativa, l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, mutuano non solo lo schema generale delle procedure concorsuali liquidatorie (fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria), ma anche la struttura procedimentale, che postula un decreto di apertura, una fase di definizione della consistenza dell’attivo, un sub-procedimento di accertamento del passivo, una fase di liquidazione, un sub-procedimento di esdebitazione.
Orbene, si è detto che il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. è ammesso avverso i provvedimenti che, pur avendo forma diversa dalla sentenza, presentino tuttavia i requisiti della decisorietà e della definitività.
Tuttavia, è assolutamente pacifico che il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento – al pari di quello confermativo del rigetto in sede di reclamo – non è idoneo al giudicato e non è, dunque, ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7.
Invero, trattasi di provvedimento non definitivo e privo di natura decisoria su diritti soggettivi, dal momento che nessun istante è portatore di un “diritto al fallimento” e men che meno lo è il debitore.
Sicché la Suprema Corte, nella pronuncia in esame, ha concluso richiamando la giurisprudenza già formatasi in materia di soluzione delle crisi da sovraindebitamento (estendendone l’applicabilità alla liquidazione “concordata” del patrimonio ex artt. 14-ter e ss. L. 3/2012), ricordando che avverso il decreto del tribunale che abbia dichiarato inammissibile la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, presentata dal debitore che versi in stato di sovraindebitamento, non è proponibile ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., perché il provvedimento è privo dei caratteri della decisorietà e definitività, e pertanto non è suscettibile di passaggio in giudicato (di recente Cass. n. 30534-18, Cass. n. 4500-18 e altre); conclusione, codesta, che non determina alcun vulnus al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., dal momento che il decreto, in relazione al quale non è prevista alcuna forma di impugnazione, non preclude la riproposizione della medesima domanda, anche prima del decorso dei cinque anni di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 7, comma 2, lett. b), operando tale termine preclusivo nella sola ipotesi che il debitore abbia concretamente beneficiato degli effetti riconducibili a una procedura della medesima natura.
Se l’orientamento appena citato può dirsi sicuramente consolidato, va segnalato però che lo stesso non può essere automaticamente “traslato” con riferimento ai provvedimenti adottati nella successiva fase della omologazione dell’accordo o del piano del consumatore.
Sul punto è illuminante l’iter argomentativo seguito da Cass. Civ., Sez. I n. 10095 del 10 aprile 2019 la quale dà ato – in questo campo sì – della sussistenza di orientamenti contrapposti, non solo in “apparenza”.
Sicché, a fronte di un ricorso straordinario avverso il decreto di accoglimento del reclamo proposto nei confronti del provvedimento di omologazione del piano proposto dal consumatore ai sensi dell’art. 12-bis della l.n. 3 del 2012, il Supremo Collegio ha richiamato due orientamenti contrapposti:
- Cass, 1 agosto 2017, n. 19117 (con riferimento alla sottospecie del piano del consumatore), che aveva valutato di per se stesso inammissibile il ricorso avverso il decreto di annullamento di quello di omologa del presentato piano;
- Cass, 20 dicembre 2016, n. 26328 e di Cass. 23 febbraio 2018, n. 4451 (entrambe con riguardo alla sottospecie dell’accordo di ristrutturazione proposta dal debitore), che invece aveva ritenuto ammissibile la ricorribilità ex art. 111, nei confronti del provvedimento sul reclamo di quello relativo all’omologa.
A sostegno della soluzione negativa l’ordinanza di Cass. n. 19117/2017 aveva posto, essenzialmente, il rilievo che “ai sensi dell’art. 12 comma 2, della legge citata il procedimento di omologazione… è soggetto alle norme generali dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 c.p.c. e segg.)”; e, ancor più in particolare, che “in base all’art. 742 c.p.c., rientrante tra le disposizioni esplicitamente richiamate dall’art. 12, comma 2, i decreti emessi a seguito dei procedimenti in camera di consiglio possono essere in ogni tempo modificati o revocati, salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede in forza di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca”.
In tale arresto, invero, la S.C. aveva ritenuto di poter traslare sic et simpliciter l’orientamento formatosi in tema di rigetto dell’ammissibilità del piano del consumatore sul presupposto che a quest’ultimo non fosse precluso – benchè nei limiti temporali previsti dall’art. 7, comma 2, lett. b), della medesima legge – di presentare un altro e diverso piano di ristrutturazione dei suoi debiti, circostanza che connota il provvedimento di inammissibilità come privo dei caratteri della decisorietà e definitività, escludendone la ricorribilità per cassazione (v. Cass. n. 1869-16); ed eguale connotazione possiederebbe il decreto emesso a seguito del reclamo avverso il provvedimento di omologazione, giacché anche codesto non precluderebbe al debitore di presentare un’altra proposta di accordo nei limiti temporali indicati dalla legge.
“Da questo punto di vista” – aveva proseguito la Corte – “l’inciso di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), che consente al debitore in stato di sovraindebitamento di presentare la proposta a condizione che egli non abbia “fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui al presente capo”, va inteso come riferentesi all’avvenuta effettiva fruizione dell’istituto nei suoi effetti esdebitatori; cosa che chiaramente non è ove l’accordo non sia omologato, ovvero ove lo stesso sia stato annullato, come nella specie, in sede di reclamo”.
In senso contrario la più recente pronuncia di Cass. n. 4451/2018 aveva però rilevato come la citata norma dell’art. 12, contenga, in realtà, due indicazioni di segno contrario alla prospettiva adottata dall’ordinanza. La prima è che la stessa fa “affiorare il dubbio se l’applicazione della disciplina camerale sia riferibile (anche) al provvedimento che decide sul reclamo dell’omologa o se a quest’ultimo non sia invece riservato un destino a sè stante”. L’altra è che la norma “sottolinea con forza che, comunque, l’applicazione della disciplina camerale non è automatica, ma frutto (per sè, eventuale) di riscontri specifici e ragionati, in quanto espressamente subordinata al rispetto del limite dell’effettiva sua compatibilità con le caratteristiche della procedura del sovraindebitamento”.
D’altro canto – aveva distintamente notato ancora l’ordinanza n. 4451/2018 – la “recente giurisprudenza di questa Corte non esclude a priori la ricorribilità ex art. 111 Cost., dei provvedimenti camerali, riconoscendola per contro laddove si tratti di provvedimenti non già gestori, bensì decisori e puntualizzando, al riguardo, che ci si trova di fronte a ipotesi di produzione di “giudicato rebus sic stantibus””.
Proseguendo nell’esame dell’iter giurisprudenziale, l’ordinanza n. 4451/2018 aveva ritenuto che, nella procedura di sovraindebitamento, il provvedimento relativo all’omologa risulta dotato sia del requisito della definitività (essendo questo “non altrimenti impugnabile”), sia pure di quello rappresentato dalla decisorietà.
Con riferimento a quest’ultimo requisito in particolare, la detta pronuncia – richiamandosi in modo espresso a quella di Cass. SS. UU. 28 dicembre 2016 n. 27073 – aveva rilevato come il profilo del carattere contenzioso risulti soddisfatto dalla prescrizione di cui all’art. 10 della citata legge, in specie là dove questa prescrive che il giudice “fissa immediatamente con decreto l’udienza, disponendo la comunicazione, almeno trenta giorni prima, ai creditori… della proposta e del decreto di ammissione”. E, altresì, come il requisito inerente alla idoneità del provvedimento di statuire su diritti soggettivi sia soddisfatto da ciò che l’art. 12 della legge in questione dispone il blocco delle azioni esecutive individuali e l'”obbligatorietà” del piano omologato per tutti i creditori anteriori alla procedura.
Con la sentenza n. 10095 del 10 aprile 2019, quindi, la Suprema Corte ha accolto decisamente la seconda linea interpretativa, rilevando inoltre che le considerazioni svolte con immediato riferimento al caso di accordo di ristrutturazione valgono anche per l’ipotesi di piano del consumatore, oggetto della fattispecie in esame.
Infatti, le due figure di composizione della crisi da sovraindebitamento non risultano presentare differenze di rilievo. In particolare, il carattere contenzioso del procedimento risulta sicuro, in ragione della disciplina dettata nell’art. 12 bis della legge, sulla falsariga sostanziale della norma dell’art. 10. L’idoneità del provvedimento a incidere su diritti soggettivi risulta poi dalla norma dell’art. 12 ter.
Sicché i giudici di legittimità hanno concluso che: “È ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto di accoglimento del reclamo proposto nei confronti del provvedimento di omologazione del piano proposto dal consumatore ai sensi dell’art. 12-bis della l.n. 3 del 2012, come integrata dalla l. n. 221 del 2012, tenuto conto del carattere contenzioso del procedimento e dell’idoneità del provvedimento che lo definisce ad incidere su diritti soggettivi”.
Va segnalato che, ancor più di recente, a tale orientamento ha ritenuto di aderire totalmente Cass. civ., 3 luglio 2019 n. 17834, confermando che il discrimen tra ammissibilità ed inammissibilità del ricorso straordinario risiede semmai nella corretta individuazione della fase processuale in cui sia stato adottato il provvediento oggetto di ricorso:
- quella “preliminare” di “apertura” del procedimento, in cui i provvedimenti conservano la natura provvisoria e revocabile, non incidono definitivamente su diritti soggettivi e, comunque, in caso di diniego non precludono la presentazione di nuova istanza;
- quella, successiva, di “omologazione”, il cui carattere contenzioso e l’incidenza su diritti soggettivi lascia alle parti “soccombenti” margine di ricorribilità straordinaria ex art. 111, co. 7 Cost. per dolersi delle “violazioni di legge”.
Da ultimo va fatto un cenno – senza pretesa quindi di completezza – all’impatto che avrà sul dibattito la disciplina del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza, adottato con D.Lgs. 14/2019 – la cui entrata in vigore, prevista originariamente per il 15 agosto 2020, è stata rinviata al 1 settembre 2021 per effetto della normativa emergenziale connessa all’epidemia COVID-19 (cfr. art. 5 del D.L. 8 aprile 2020 n. 23).
Il CCI ha ridisegnato le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, razionalizzandole sotto gli strumenti del “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore” (artt. 67 e ss.) e del “concordato minore” (artt. 74 e ss.).
Il legislatore del CCI ha inteso disciplinare espressamente la ricorribilità “ordinaria” per cassazione avverso i provvedimenti adottati nella fase dell’omologazione, con alcune peculiarità.
Sia l’art. 70 (sul piano di ristrutturazione) che l’art. 80 (sul concordato minore) richiamano la disciplina elaborata in via generale dagli artt. 50 e 51 con riferimento all’apertura della liquidazione giudiziale nel “procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Sicché, secondo lo schema di cui all’art. 50, avverso il provvedimento reiettivo dell’omologazione è ammesso reclamo alla corte d’appello.
Il decreto con il quale la corte d’appello rigetta il reclamo non è ricorribile per cassazione
Se, invece la corte d’appello accoglie il reclamo, dichiara aperta la procedura con sentenza e rimette gli atti al tribunale.
Contro la sentenza può essere proposto ricorso per cassazione, ma i termini sono ridotti della metà.
Quando, invece, in prime cure, il tribunale dispone con sentenza l’omologazione del piano, si applica la disciplina di cui all’art. 51.
Le parti possono proporre reclamo alla corte d’appello, che si pronuncia con sentenza, avverso la quale è sempre proponibile ricorso per cassazione nel termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento.
L’asimmetria della disciplina, indubbiamente ispirata ad una finalità deflativa, imporrà non poche riflessioni da parte degli interpreti e – con tutta probabilità – darà luogo ad un nuovo dibattito in sede di legittimità sulla possibilità di individuare ulteriori spiragli di “ricorribilità”, recuperando gli schemi ermeneutici già sviluppati, con riferimento alla normativa vigente, intorno allo strumento del ricorso straordinario ex art. 111, co. 7 Cost.
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