La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore.
Questo è il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 9770 delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione in data 17 dicembre 2019, pubblicata il 26 maggio 2020.
I fatti riguardano la società di corrispondenza Alfa S.p.A. e la compagnia assicurativa Beta S.p.A..
Beta S.p.A. conviene in giudizio Alfa S.p.A., per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla negoziazione di assegni di traenza non trasferibili, da essa tratti su varie banche all’ordine di clienti per la liquidazione di sinistri. Difatti, i predetti titoli, inviati ai beneficiari a mezzo posta, venivano sottratti prima di pervenire a destinazione e posti all’incasso presso gli sportelli di Alfa S.p.A., mediante la presentazione di documenti d’identità falsificati.
Alfa S.p.A., dal canto suo, sostiene:
– di aver provveduto, a tempo debito, a verificare l’integrità degli assegni;
– un concorso di colpa con la stessa Beta S.p.A., che aveva spedito i titoli per posta ordinaria, anziché con plico assicurato, chiedendo di poter chiamare in causa le banche trattarie, affermandone la responsabilità, per non avere segnalato la sottrazione degli assegni in fase di compensazione, in modo da impedirne l’accredito ai portatori.
Nel 2015, il Tribunale di Roma accoglie la domanda di Beta S.p.A. e condanna Alfa S.p.A. al pagamento di Euro 1.005.694,56, oltre interessi legali. Nel 2016, la Corte di Appello di Roma rigetta il ricorso di Alfa S.p.A. Nel 2017, Alfa S.p.A. propone ricorso per cassazione, fondato su tre motivi. Nel 2019, la Prima Sezione Civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, concernente la possibilità di ravvisare un concorso del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., nella spedizione di un assegno a mezzo posta (sia essa ordinaria, raccomandata o assicurata), con riguardo al pregiudizio patito dal debitore che non sia liberato dal pagamento, in quanto il titolo venga trafugato e pagato a soggetto non legittimato in base alla legge cartolare di circolazione.
Le Sezioni Unite rigettano i primi due motivi di ricorso ed accolgono il terzo, cassando così la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinviando alla Corte di Appello di Roma, cui viene demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Difatti, con il terzo motivo Alfa S.p.A. lamenta, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., comma 1, e dell’art. 83, D.P.R. n. 156 del 29 marzo 1973, censurando la sentenza impugnata per aver escluso il concorso di colpa di Beta S.p.A., in relazione all’avvenuta spedizione degli assegni a mezzo di corrispondenza ordinaria, senza procedere all’accertamento in concreto del nesso di causalità con il danno lamentato. La questione proposta con il predetto motivo dev’essere esaminata sotto tre distinti profili, concernenti rispettivamente:
a) l’obbiettiva configurabilità di un rapporto di causalità tra la riscossione dell’assegno non trasferibile da parte di un soggetto non legittimato e la spedizione del titolo mediante posta ordinaria;
b) l’individuazione delle regole d’imputazione giuridica dell’evento al mittente;
c) la compatibilità della responsabilità di questo ultimo con quella della banca trattaria o negoziatrice per l’omissione della dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo.
Ma come si legge nella sentenza in oggetto, tali “profili hanno costituito per lo più oggetto di cumulativa considerazione da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale è pervenuta ad esiti alquanto differenziati, proprio in virtù dell’avvenuta valorizzazione, nei singoli casi, dell’uno o dell’altro aspetto”.
In proposito, gli Ermellini evincono che, sul tema, la giurisprudenza di legittimità ha modificato il proprio orientamento negli anni successivi a quelli delle pronunce del Tribunale e della Corte di Appello di Roma per il caso di specie.
Viene difatti richiamata la sentenza n. 12477/2018 delle Sezioni Unite Civili, che:
– ribadisce quanto già affermato con la sentenza n. 14712/2007, sempre dalle Sezioni Unite Civili, secondo cui “in capo al banchiere presso cui l’assegno non trasferibile è posto all’incasso sorge, prima d’ogni altro, un obbligo professionale – derivante dalla sua stessa funzione, in considerazione della quale la legge stabilisce, appunto, che l’assegno possa esser girato per l’incasso solo ad un banchiere – di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso. E la responsabilità deriva appunto dalla violazione di un siffatto obbligo di protezione, che opera nei confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione dei titolo ed al buon fine della sottostante operazione: obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto”;
– ed enuncia il seguente principio: “ai sensi dell’art. 43, 2° comma, legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, 2°comma, c.c.”.
Pertanto, “la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso”. Rischio considerato ingiustificato dai Giudici, perché “tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, è stata ritenuta da questa Corte sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, in virtù della considerazione che la riduzione della responsabilità del danneggiante è configurabile non solo in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante, ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva od omissiva che sia) che si inserisca come antecedente necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito”.
Per concludere, “l’utilizzazione della posta ordinaria si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto” (cfr. Cass., Sez. Un., 21/11/2011, n. 24406).
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