In tema di liquidazione delle spese processuali, nel caso in cui il provvedimento giudiziale non contenga alcuna statuizione in merito alla spettanza, o anche solo alla percentuale, delle spese forfettarie rimborsabili ex art. 2 del d.m. n. 55 del 2014, queste ultime devono ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, secondo un’interpretazione che non può ritenersi mutata a seguito dell’entrata in vigore del d.m. n. 37 del 2018, il quale ha modificato il d.m. n. 55 sopra citato, introducendo l’inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili “di regola”.
Il rimborso delle spese forfetarie, costituisce una voce accessoria che va necessariamente riconosciuta, al pari del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e della quota di contribuzione previdenziale che per legge è a carico del cliente del professionista.
Questi sono i principi espressi dalla Suprema Corte, sez. VI civ., Pres. Lombardo – Rel. Oliva, con l’ordinanza n. 1421 del 22.01.2021.
La vicenda ha riguardato un avvocato che ha convenuto in giudizio i clienti per sentirli condannare al pagamento del corrispettivo per le prestazioni professionali, giudiziali e stragiudiziali, prestate. Si sono costituiti questi ultimi resistendo alla domanda ed invocando la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c. Con sentenza del 12.9.2011 il Tribunale di Bologna ha rigettato la domanda, condannando l’attore alle spese del grado.
Il legale ha interposto appello avverso la suddetta sentenza e la Corte territoriale, in parziale accoglimento dell’impugnazione, ha condannato gli appellati al pagamento della somma di Euro 2.726,89 oltre accessori, rigettando l’appello incidentale.
Il soccombente in secondo grado ha proposto ricorso per la cassazione di tale decisione, affidandosi a tre motivi, cui hanno resistito i controricorrenti.
Gli ermellini, nell’affrontare il thema decidendum, si sono soffermati, tra le altre cose, sul fatto che per il ricorrente la Corte di Appello avrebbe erroneamente omesso di liquidare le spese forfetarie sulla somma riconosciuta a titolo di compensi.
Sul punto, la Corte ha ritenuto la censura inammissibile per carenza di interesse concreto del ricorrente.
Invero, il rimborso delle spese forfetarie, quindi, costituisce una voce accessoria che va necessariamente riconosciuta, al pari del rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e della quota di contribuzione previdenziale che per legge è a carico del cliente del professionista.
La Corte ha sottolineato di aver già affermato, nella vigenza del D.M. n. 140 del 2012, il principio dell’automatica debenza del rimborso forfetario, anche in assenza di specifica istanza del difensore, trattandosi di componente delle spese giudiziali determinata in misura fissa dalla norma (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13693 del 30/05/2018, Rv. 648785).
Con successiva pronuncia, è stato precisato, nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014, che in difetto di specificazione della debenza, o anche solo della percentuale, delle spese forfetarie, queste debbano ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9385 del 04/04/2019, Rv. 653487-02).
All’espressione “di regola” la Corte ha attribuito un duplice significato; da un lato, confermativo del potere-dovere del giudice di determinare le spese processuali, all’interno degli ordinari limiti minimo e massimo di aumento o diminuzione previsti dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, facendo riferimento ai parametri generali indicati in apertura della disposizione; dall’altro lato, precettivo dell’obbligo di specifica motivazione, nel solo caso in cui il giudice ritenga di superare i predetti limiti ordinari di aumento e diminuzione.
Il quadro normativo non è mutato a seguito dell’entrata in vigore del D.M. n. 37 del 2018, che ha modificato il D.M. n. 55 del 2014 introducendo l’inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili “di regola”.
Da quanto precede discende che va confermata l’interpretazione dell’espressione in esame già resa da questa Corte e va dunque ritenuto che con le parole “di regola” la norma abbia inteso individuare un criterio determinativo – del massimo aumento applicabile, ovvero dell’importo “normale” delle spese forfetarie da riconoscere all’avvocato – che, non necessitando di specifica motivazione, sia prestabilito ed automaticamente applicabile.
Da ciò deriva la conferma, anche con riferimento al quadro normativo successivo all’entrata in vigore del D.M. n. 37 del 2018, del principio affermato da questa Corte con il precedente del 2009.
Nel caso di specie, quindi, sono dovute all’avvocato le spese forfetarie, nella misura del 15 % prevista come “di regola” dal D.M. n. 55 del 2014, anche a prescindere dalla specifica indicazione, tanto della loro debenza, che della loro percentuale, nel provvedimento impugnato.
Alla luce di tali considerazioni, il Giudice di legittimità ha rigettato il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo ed ha accolto il terzo motivo.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti precedenti pubblicati in Rivista:
ANCHE IN CASO DI SOCCOMBENZA TOTALE, È POSSIBILE LA COMPENSAZIONE
Ordinanza | Corte di Cassazione, sez. I civ., Pres De Chiara – Rel. Di Marzio | 13.01.2021 | n.383
Il giudice del merito non può liquidare le spese di giudizio in misura inferiore ai minimi disposti dalla tariffa forense
Ordinanza | Corte di Cassazione, VI sez. civ. -5, Pres. Mocci – Rel. La Torre | 08.01.2021 | n.165
SPESE GIUDIZIALI: RETROATTIVITÀ DEI PARAMETRI FORENSI PER LE CAUSE IN CORSO
Si tratta di un’attività discrezionale del giudice chiamato a liquidare i compensi spettanti al difensore
Decreto | Tribunale di Vicenza, Pres. Rel. Limitone | 11.05.2020
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