Il provvedimento con il quale il Tribunale, pronunciandosi ante causam in relazione a fattispecie regolata dalla legge n. 69 del 2009, rigetti il reclamo avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso cautelare, ovvero dichiari la cessazione della materia del contendere e condanni il reclamante alle spese del giudizio, non ha natura di sentenza e, non essendo suscettibile di dare luogo alla cosa giudicata sul diritto a cautela del quale è stata esercitata la tutela cautelare, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.
Ne segue che la parte soccombente, qualora non abbia interesse all’introduzione del giudizio di merito, ma intenda soltanto conseguire una diversa liquidazione delle spese contenuta in quel provvedimento, non può che valersi dell’unico strumento esperibile contro ogni titolo esecutivo, che è l’opposizione al precetto intimato sulla base di detto provvedimento o all’esecuzione iniziata sulla base di esso.
La statuizione sulle spese contenuta nell’ordinanza sul reclamo ex art. 624, comma 2, c.p.c. può formare oggetto di opposizione all’esecuzione iniziata in base a tale provvedimento qualora l’opponente intenda contestare solo l’ambito oggettivo e soggettivo di operatività del titolo esecutivo senza investire l’”an” della decisione cautelare (cioè, con censure attinenti all’illegittima quantificazione degli importi o ad altri profili non dipendenti dalla soccombenza), mentre è necessaria l’introduzione del giudizio di merito, a norma degli artt. 616 e 618 c.p.c., per contestare le ragioni che hanno condotto all’individuazione della parte soccombente e di quella vittoriosa e ottenere una revisione totale della decisione sull’istanza di sospensione della procedura.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. DE STEFANO, Rel. CONDELLO con la sentenza n. 4748 del 15.02.2023.
Accadeva che il Giudice di prime cure, ritenendo ammissibile il reclamo avverso la richiesta di revoca dell’ordinanza di sospensione, accogliendo l’istanza avanzata dal creditore, e ha provveduto alla liquidazione delle spese di lite.
Riguardo a tale ultima statuizione, non può che ribadirsi che il potere del giudice del reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., di cui al comma 2 dell’art. 624 c.p.c., di provvedere sulle spese, allorquando confermi il rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione o, come nella specie, revochi la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, rigettando l’istanza, è sicuramente sussistente “sulla base di una ricostruzione che, indipendentemente dalla prospettiva di una piena riconduzione del provvedimento sulla sospensione dell’esecuzione all’ambito del procedimento di cui all’art. 669-bis e ss. c.p.c.”, consideri il dato che la cognizione piena a seguito della fase sommaria del giudizio di opposizione e, quindi, del provvedimento di sospensione, è, secondo l’art. 616 c.p.c., meramente eventuale, perché è sostanzialmente rimesso alle parti di valutare se dare corso alla cognizione piena (Cass., sez. 6-3, 23/07/2009, n. 17266).
Con la conseguenza che, come il provvedimento del giudice dell’esecuzione che neghi la sospensione dinanzi a sé ha attitudine a definire la vicenda, qualora non segua l’introduzione del giudizio di merito, nel termine assegnato, analogamente ove il giudice del reclamo, di cui al comma 2 dell’art. 624 c.p.c., provveda sull’istanza di sospensione, revocandola, la posizione riguardo alle spese si presta ad essere ricondotta al concetto di “chiusura” del processo dinanzi a sé, espresso dall’art. 91 c.p.c..
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