ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di spese processuali, ritenuto che ai fini della distribuzione dell’onere delle stesse, assume rilevanza la circostanza dell’aver dato causa al giudizio, la soccombenza non è esclusa nel caso in cui l’altra parte, dopo essere stata convenuta in giudizio, sia rimasta contumace ovvero abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta rendendo così necessario l’accertamento giudiziale. Il soccombente deve individuarsi facendo ricorso al principio di causalità per cui, obbligata a rimborsare le spese processuali è la parte che, con il comportamento tenuto fuori dal processo, ovvero dandovi inizio o resistendo con modi e forme non previste dal diritto, abbia dato causa al processo ovvero abbia contribuito al suo protrarsi.
Questo è il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, Sezione VI, con l’ordinanza del 13.01.2015, n. 373, in tema di spese processuali.
L’incidente di legittimità è scaturito da una pronuncia del Giudice di Pace di Roma (sent. n. 27989/2008) che, accogliendo il ricorso proposto da un contribuente avverso una cartella esattoriale relativa a sanzioni amministrative in materia tributaria irrogate dalla Prefettura di Roma, ha compensato tra le parti le spese di lite.
Il ricorrente ha impugnato la sentenza, limitatamente al capo relativo al governo delle spese del giudizio. Il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello, ritenendo sussistenti i requisiti per la pronuncia sulla compensazione, in ragione della omessa costituzione in giudizio dell’Ente convenuto che, non opponendo contestazioni, pertanto, ha “aderito alle ragioni del ricorrente“. Il Giudice dell’appello ha precisato, altresì, che la compensazione è giustificata dalla mancata produzione documentale in giudizio da parte della Prefettura di Roma, che ha determinato “una oggettiva difficoltà di accertamento in fatto“, nonché pregiudicato la prospettazione delle rispettive ragioni delle parti.
La parte opponente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 5440/2012 del Tribunale di Roma, lamentando la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere il giudice del merito, al fine di condannare le parti alla compensazione delle spese giudiziali, avvalorato la circostanza della omessa costituzione in giudizio della Pubblica Amministrazione, erroneamente interpretata come assenza di dissenso rispetto alle pretese di parte attrice, piuttosto che come comportamento neutro, espressivo dell’indifferenza dell’Ente convenuto.
La Sesta Sezione Tributaria, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, ha accolto il ricorso rimettendosi alla costante giurisprudenza della stessa Corte secondo la quale “Poiché, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l’aver dato causa al giudizio, la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che prima aveva lasciato insoddisfatta così da renderne necessario l’accertamento giudiziale” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6722 del 10/12/1988); ed ancora “L’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto ha dato causa al processo e al suo protrarsi” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7182 del 30/05/2000).
I principi sanciti dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento riguardano un punto cruciale della recente riforma del processo civile, introdotta con il d. l. 132/2014, convertito con la l. 162/2014. Il legislatore ha inteso censurare, in materia di ripartizione dell’onere delle spese del giudizio, il ricorso smodato al criterio della compensazione che, da deroga al principio generale della soccombenza, in via di prassi ha trovato, sempre più spesso, applicazione come regola. La riforma ha modificato l’art.92 c.p.c., secondo comma, eliminando “le gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” che, fino ad oggi, hanno giustificato l’abuso alla compensazione, intera o parziale, delle spese tra le parti, prevedendola ora per le sole tre ipotesi espressamente contemplate della soccombenza reciproca, dell’assoluta novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. In tal modo, il legislatore ha inteso conferire efficacia ad una sanzione, rappresentata dal pagamento alla controparte delle spese sostenute in giudizio, in grado di costituire un concreto deterrente per le ipotesi di abuso del diritto di azione, che fanno del processo uno strumento pretestuoso e dilatorio.
La Suprema Corta con l’ordinanza n. 373 del 13 gennaio 2015 intende ristabilire il principio della soccombenza, integrato con il principio di causalità, come “espressione primaria del diritto di difesa che spetta al cittadino“, tanto più in materia tributaria, dove assolve la funzione di garantire il contribuente dal dovere pagare i costi derivanti dall’inefficienza della Pubblica Amministrazione. Non avendo il Tribunale di Roma osservato tali principi, il Collegio della Sesta Sezione conclude per la cassazione della sentenza impugnata, con conseguente rimessione al giudice di merito, in diversa composizione, affinché rinnovi l’apprezzamento in ordine alla questione relativa alla regolazione delle spese di lite
Testo del provvedimento
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