ISSN 2385-1376
Testo massima
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 91 c.p.c., in virtù del quale nelle cause davanti al giudice di pace, il cui valore non superi la somma di euro 1.100,00 e per cui è ammessa la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente, la liquidazione delle spese e competenze legali della parte vittoriosa, qualora sia stata assistita e rappresentata da un difensore, non può superare il valore della domanda.
È quanto deciso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 157 pronunziata in data 04/06/2014 in materia di liquidazione delle spese giudiziali.
Nel caso di specie, il Giudice di pace di mercato San Severino, il Tribunale ordinario di Padova sezione distaccata di Este e il Giudice di Pisa avevano sollevato una questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 91 ultimo comma cpc nella parte in cui prevede che la liquidazione delle spese e competenze legali della parte vittoriosa nelle cause instaurabili innanzi al giudice di pace, il cui valore non superi la somma di euro 1.100,00 e per le quali è ammessa la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente, non può superare, nel caso in cui la parte stessa sia stata assistita da un legale, il valore della domanda.
Ed infatti, ad avviso dei rimettenti, la disposizione di cui all’art.91 ultimo comma cpc si poneva in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., atteso che la limitazione imposta dal legislatore al giudice al momento della liquidazione delle spese legali nei giudizi il cui valore non superi la somma di 1.100,00 risulterebbe tanto lesiva del diritto di difesa della parte quanto del principio di eguaglianza.
Ebbene, la Corte Costituzionale, adita sul punto, ha preliminarmente rilevato che l’assistenza del difensore costituisce il normale presidio per l’esercizio effettivo del diritto di difesa garantito dall’art 24 Cost., ma la tutela di tale diritto non esclude che le modalità del suo esercizio possano essere regolate secondo le speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, nelle quali rientrano sia la scelta della non obbligatorietà dell’assistenza tecnica legale sia l’opzione per deroga all’istituto della condanna del soccombente alla refusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa in presenza di elementi che la giustifichino.
La Corte, dunque, non ha negato che la difesa da parte di un avvocato costituisca, di regola, l’ineludibile garanzia per l’esercizio effettivo del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., ma ha ritenuto che tale regola possa subire attenuazioni per le controversie di minore valore, nel quadro di un ordinamento in cui la ripetizione delle spese processuali è giudicata non indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale.
Alla luce di tali principi la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata in relazione all’art 91, ultimo comma cpc ed ha escluso ogni qualsivoglia contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Il giudizio di infondatezza formulato dalla sentenza riposa sul principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore nella disciplina degli istituti processuali, sul presupposto che il diritto di difesa (art. 24 Cost.) risulti in alcuni casi cedevole a fronte del valore del giusto processo (art. 111 Cost.).che va poi opportunamente apprezzata alla luce della realizzata operazione di bilanciamento tra valori, per evitarne una lettura lesiva del diritto di difesa, senza il quale, per definizione, il processo non può mai essere considerato “giusto”.
Testo del provvedimento
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