Segnalata da Pasquale Villanova di Avellino
In materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996 n. 415, nonché dalla normativa secondaria.
L’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di prescrizioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta.
Qualificato il cliente come “investitore al dettaglio”, la sottoscrizione dell’avviso di non adeguatezza dell’operazione è idonea ad escludere la responsabilità dell’intermediario per il cattivo esito dell’investimento, avendo lo stesso investitore manifestato la volontà di voler effettuare l’operazione nonostante l’alto grado di rischio.
Questi i principi espressi dalla Corte di Appello di Salerno, sez. civile, Pres. Rel. Ferrante, con la sentenza n. 273 del 20.05.2016.
Nel caso in questione, un investitore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno la Banca, chiedendo la nullità dei contratti di negoziazione in titoli poiché stipulati in violazione degli obblighi informativi, previsti dall’art. 47 del regolamento Consob n. 11522/1998.
In particolare, l’attore deduceva di essere un ex lavoratore in pensione (dunque, un investitore non professionale) e che nonostante la limitata disponibilità economica e la scarsa conoscenza dei mercati finanziari, era stato indotto dal personale della Banca a compiere innumerevoli operazioni di negoziazione di strumenti finanziari, non conformi alle prescrizioni di legge e alle norme regolamentari (art 24, co. 1, d.lgs. 58/1998); lamentando la palese violazione, da parte dell’Istituto di credito, dei doveri di diligenza, trasparenza e correttezza che aveva determinato un grave danno patrimoniale a carico dell’attore.
Si costituiva la Banca, la quale chiedeva il rigetto di tutte le domande di parte avversa in quanto destituite di fondamento sia nell’an che nel quantum, nonché la condanna dell’attore al pagamento delle spese processuali, sostenendo di essersi attenuta scrupolosamente a tutte le disposizioni di legge vigenti in materia di intermediazione finanziaria e rilevando che l’investitore, già in passato, aveva effettuato molte operazioni simili, dalle quali aveva anche tratto numerosi e notevoli guadagni.
Durante il giudizio di primo grado, a seguito del decesso dell’attore, il processo proseguiva nei confronti degli eredi.
Il Tribunale accoglieva la domanda di parte attrice e la Banca proponeva gravame avverso la sentenza emessa, chiedendone il rigetto ed adducendo, l’erroneità della decisione per aver il Giudice di prime cure ritenuto applicabile ai contratti oggetto della controversia, la normativa relativa alla gestione di portafogli di investimento; per aver pronunciato ultra petita, posto che nell’atto introduttivo mancava ogni riferimento al rapporto di gestione di portafogli, ma ad operazioni di negoziazione di strumenti finanziari; per aver ritenuto irrilevante la qualifica del cliente sul piano della categoria degli investitori; per aver ritenuto sussistente la sua responsabilità.
Si costituivano in giudizio gli eredi dell’investitore, chiedendo il rigetto dell’appello e spiegando appello incidentale.
In ordine al primo motivo di gravame, la Corte osservava che il Giudice di prime cure aveva erroneamente ritenuto applicabile al caso in questione la normativa relativa alla gestione di portafogli di investimento, ovvero l’art. 24 D.Lgs. n. 58/98 ed i successivi regolamenti Consob, avendo, nel caso concreto, il cliente sottoscritto con la Banca contratti relativi a servizi di investimento in strumenti finanziari, in particolare, negoziazione, ricezione e trasmissione ordini su strumenti finanziari.
In ordine al secondo motivo di gravame, dichiarava fondata la censura mossa dall’appellante, atteso che nell’atto introduttivo e nella prospettazione di fatto operata dall’attore, non era stato fatto alcun riferimento al rapporto di gestione di portafogli, ma semplicemente ad operazioni di negoziazione di strumenti finanziari.
In ordine al terzo motivo di appello, il Collegio rilevava come il cliente avesse in passato già effettuato operazioni finanziarie assimilabili a quelle contestate e che, ad ogni modo, avesse sottoscritto tutti i contratti di negoziazione di strumenti finanziari, apponendo la doppia firma, anche laddove era specificamente evidenziata la pericolosità dell’operazione finanziaria richiesta.
In proposito, la Corte di Appello richiamava il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996 n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di prescrizioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta”.
Per quanto suesposto, il Collegio campano, rilevata la correttezza del comportamento complessivo adottato dalla Banca, accoglieva l’appello principale, rigettava l’appello incidentale e condannava gli appellati, in solido, al pagamento delle spese di lite.
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