Segnalata da Pasquale Villanova di Avellino
In materia di contratti di intermediazione finanziaria, per affermare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria.
L’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta.
L’esistenza del nesso causale tra danno ed inadempimento non può, in alcun modo, essere considerata in re ipsa.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Giancola – Rel. Di Marzio, con la sentenza n. 17138 del 17.08.2016.
Nel caso di specie, un investitore proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli la quale, in totale riforma della pronuncia del Giudice di prime cure, aveva respinto la domanda spiegata dall’appellante nei confronti della Banca, volta ad ottenere la dichiarazione di nullità, annullamento, inefficacia, ovvero risoluzione per inadempimento, in ogni caso con la restituzione del dovuto o il risarcimento del danno, di un contratto di acquisto di obbligazioni stipulato tra le parti, in violazione degli obblighi informativi gravanti sull’Istituto di credito.
Innanzi alla Suprema Corte, l’investitore, con il primo motivo di ricorso, lamentava l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di appello su uno dei punti decisivi della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 21, D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 e successive modifiche e degli articoli 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11.522/1998, attesa l’asserita violazione da parte della Banca degli obblighi informativi su di essa gravanti, che aveva indotto il ricorrente ad una operazione finanziaria inadeguata ed in conflitto di interessi.
Con il secondo motivo di ricorso censurava l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza di appello su uno dei punti decisivi della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 23, D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 e successive modifiche e del Regolamento Consob n. 11.522/1998 ed, in particolare, il passaggio motivazionale contenuto nella sentenza impugnata secondo cui non sarebbe stata fornita la prova da parte dell’investitore del nesso di causalità tra l’inadempimento addebitato alla Banca ed il danno patito, da doversi intendere, viceversa, secondo la prospettazione fornita dal ricorrente, in re ipsa.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il primo motivo di ricorso, rilevando che, nel caso in contestazione, il ricorrente, lungi dal formulare una censura di violazione di legge, si era limitato a sostenere che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in un errore di valutazione, non avendo correttamente considerato la condotta concretamente posta in essere dalla Banca, colpevole di non aver compiutamente informato il cliente e di averlo indotto ad un’operazione inadeguata ed in conflitto d’interessi.
In altri termini, il motivo prospettato dal ricorrente aveva unicamente sollecitato il Giudice di legittimità ad una integrale riconsiderazione del materiale istruttorio acquisito al giudizio di primo grado e ad una inammissibile rilettura della vicenda sottoposta all’esame della Corte di merito.
In ordine al secondo motivo di ricorso, la Corte – nel rigettarlo – ha richiamato il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall’investitore, va accertato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e prima ancora dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta”.
In altri termini, gli Ermellini osservavano che, una volta dedotto l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi, l’investitore avrebbe dovuto provare il nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno, attraverso l’impiego del giudizio controfattuale e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo del comportamento omesso quello legalmente dovuto, così da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito, o meno, dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole.
La Corte, in proposito, rilevato che le asserzioni del cliente erano risultate generiche e non suffragate da alcun valido elemento di prova ed escluso, ad ogni modo, che, nell’ipotesi di danni derivanti dalla violazione degli obblighi informativi gravanti sull’Istituto di credito, la sussistenza del nesso di causalità possa essere ritenuta in re ipsa, in mancanza di apposita previsione normativa in tal senso, rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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