Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Francesco Trotta del foro di Roma
In
materia di interest
rate swap la dimostrazione di carenza
originaria (ex ante) della causa del
contratto non può inferirsi dal fatto che, durante il periodo di esecuzione, il
differenziale da liquidare periodicamente in relazione allo strumento derivato
sia stato concretamente pressoché sempre a sfavore del cliente investitore. Il
riscontro di tale andamento del differenziale integra una mera constatazione ex
post inerente alla convenienza economica
dell’operazione così come concretamente sviluppatasi per effetto dell’andamento
dei tassi di mercato.
La
dimostrazione della nullità dei contratti di IRS per l’originario squilibrio
delle prestazioni (difetto della causa concreta), non può derivare
semplicemente dalla mancata specificazione al momento della conclusione del
contratto del c.d. mark to market
oppure delle penalità in caso di recesso, sia perché l’indicazione del mark
to market non è imposta espressamente
dalla disciplina di legge quale elemento costitutivo dell’accordo di IRS, sia
perché esso non esprime un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una
proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato del contratto in
caso di risoluzione anticipata dello stesso, presentandosi pertanto quale
elemento esterno alla struttura del contratto, ed integrando sostanzialmente
una valutazione previsionale sull’andamento dei tassi sottostanti l’operazione
durante la vita del derivato.
Sotto
il profilo causale, l’interest rate swap, contratto di natura aleatoria, se stipulato da un imprenditore che
intenda tutelarsi dalla oscillazione dei tassi in riferimento ad un diverso
finanziamento a tassi variabili che abbia in essere (con lo stesso
intermediario o con un altro) ha normalmente la funzione (in sé lecita e
meritevole di tutela) di eliminare, o quanto meno ridurre, il rischio derivante
da quella oscillazione verso l’alto dei tassi variabili, rendendo nel contempo
prevedibile l’esborso massimo cui egli debba assoggettarsi in caso di aumento
dei tassi afferenti al rapporto collegato.
La
dichiarazione autoreferenziale di “operatore qualificato” esonera
l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari
emergenti dalla documentazione già in suo possesso, salvo allegazioni contrarie
in ordine alla discordanza tra contenuto della dichiarazione e situazione
reale. Tale dichiarazione costituisce argomento di prova che il giudice può
porre alla base della propria decisione, ex art. 116 cpc, anche come unica
fonte di prova, restando a carico di chi detta discordanza intenda dedurre
l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di
detti requisiti, e la conoscenza da parte dell’intermediario delle circostanze
medesime o almeno la loro agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi
di riscontro.
Questi gli interessanti principi espressi
dal Tribunale di Taranto, con ordinanza del 10.03.2015, con la quale è stato
rigettato il ricorso ex art.700 cpc promosso da una società investitrice al
fine di far dichiarare la nullità e/o comunque disporre la risoluzione dei
contratti derivati sottoscritti con il proprio istituto di credito, all’uopo
convenuto.
Il Giudice pugliese, pur dando atto della
cognizione sommaria, non si è limitato a respingere sic et simpliciter le doglianze di parte ricorrente stante la
riscontrata insussistenza del fumus boni
juris e del periculum in mora
ma ha specificamente ed approfonditamente argomentato, nelle 11 pagine del
provvedimento, alcuni profili di liceità degli strumenti derivati assai
complessi, rispetto ai quali poche sono le decisioni rigorose e misurate, o
comunque prive di valutazioni “preconcette” contro tali meccanismi finanziari.
Nel caso di specie, la società ricorrente
aveva sottoscritto due contratti di interest
rate swap con la Banca resistente ed, in sede di giudizio cautelare ha
lamentato la nullità di entrambi i rapporti, per difetto di causa in concreto,
stante la loro inidoneità a realizzare la copertura del rischio di rialzo dei
tassi di interesse debitori, essendo piuttosto fonte di indebitamento
progressivo; ha sostenuto, inoltre, che la mancata esplicazione del valore dei
derivati (il c.d. mark to market) al
momento di scioglimento del vincolo contrattuale e quindi i costi impliciti e
le penalità in caso di recesso avevano impedito al contraente di conoscere
l’effettivo grado di rischio assunto e di renderlo “razionale e misurabile”.
Dal canto suo, la Banca resistente ha
opportunamente contestato le argomentazioni del cliente-investitore, sulla
scorta dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia.
Il Tribunale ha preliminarmente verificato
la validità dei contratti da un punto di vista formale, riscontrando, in base
ai documenti prodotti dall’intermediario, la stipula di idoneo “contratto
quadro”, regolante le singole operazioni di interest
rate swap, precedente o comunque contestuale alla sottoscrizione di queste
ultime.
Il Giudice ha altresì acclarato la
sussistenza, in entrambi i contratti, della dichiarazione di “operatore
qualificato”, affermando, come riportato nei principi enucleati in epigrafe,
che questa esonera l’intermediario da ogni ulteriore verifica in ordine alla
concreta esperienza e competenza dell’investitore, salva l’esistenza di
elementi contrastanti con la qualifica formalmente dichiarata.
Vieppiù, detta dichiarazione può essere
assunta ad argomento di prova, anche come unico elemento posto alla base della
decisione, se l’investitore non deduce ed allega elementi idonei a riscontrare,
ex post, la difformità tra la
situazione dichiarata e quella effettiva, oltre alla conoscenza o conoscibilità
della stessa da parte dell’intermediario.
L’aspetto senza dubbio più interessante
della pronuncia è tuttavia quello relativo all’analisi della validità del
contratto di IRS dal punto di vista della giustificazione causale.
Nella decisione in commento si sottolinea,
in particolare, che il legislatore, sebbene abbia “nominato” gli Interest Rate Swap tra gli strumenti
finanziari di cui all’art.1, comma 2, TUIF, mancando una specifica disciplina
contenutistica, gli stessi restano contratti sostanzialmente “atipici”.
In particolare, gli swap possono essere definiti come accordi tra due parti per
scambiarsi futuri pagamenti, a date e con modalità di calcolo definite
contrattualmente; in particolare gli interest
rate swap consistono nello scambio di flussi di interessi tra le due parti
contraenti rispetto al medesimo capitale di riferimento (c.d. nozionale), a
delle scadenze prefissate.
È chiaro che essi abbiano una natura
comunque aleatoria, in quanto il concreto risultato economico non è
preventivabile ab origine.
Tuttavia, gli stessi sono utilizzati,
solitamente al fine di ridurre o riequilibrare il rischio dell’oscillazione dei
tassi di un’operazione di finanziamento a tasso variabile, parallelamente o
precedentemente sottoscritta tra le medesime parti. Si parla, in questo caso,
di derivati con funzione “di copertura”.
Almeno in tal caso, non può dubitarsi della
liceità e della meritevolezza della giustificazione causale che sorregge tali
rapporti, ed la pronuncia in esame non fa che confermare tale assunto.
Ed infatti, in ordine alla causa del derivato,
nell’ordinanza de qua si afferma
correttamente che:
“Considerando
il profilo causale, il contratto in questione, se stipulato da un imprenditore
che intenda tutelarsi dalla oscillazione dei tassi in riferimento ad un diverso
finanziamento a tassi variabili che abbia in essere (con lo stesso
intermediario o con altro) ha normalmente la funzione (in sé lecita e
meritevole di tutela) di eliminare, o quanto meno ridurre, il rischio derivante
da quella oscillazione verso l’alto dei tassi variabili rendendo nel contempo
prevedibile l’esborso massimo cui egli debba assoggettarsi in caso di aumento
dei tassi afferenti il rapporto collegato“.
Di conseguenza il Tribunale ha rigettato
l’eccezione avversaria di nullità per mancanza di causa concreta dei derivati,
osservando che “sarebbe stato
necessario dimostrare che già ab origine i due contratti derivati fossero del
tutto inidonei rispetto alla finalità concreta di eliminare, o quanto meno
ridurre, il rischio di eccessivo indebitamento dell’impresa in relazione ai
rapporti di finanziamento a ciascuno di essi collegati; e di rendere
prevedibile l’esborso massimo complessivamente da sostenersi per tutta la
durata di quegli stessi rapporti. La dimostrazione di carenza originaria (ex
ante) della causa dei due contratti non può inferirsi dal fatto che, durante il
periodo di loro esecuzione, il differenziale da liquidare periodicamente in
relazione a ciascun derivato sia stato concretamente pressoché sempre a sfavore
della società ricorrente. Il riscontro di tale andamento del differenziale
integra una mera constatazione ex post, inerente la convenienza economica
dell’operazione così come concretamente sviluppatasi per effetto dell’andamento
dei tassi di mercato, laddove l’eventualità che il tasso Euribor di riferimento…potesse
discendere al di sotto del minimo contrattualmente previsto mantenendosi
costantemente basso era compreso nell’alea contrattuale assunta, già valutabile
al momento della convenzione, e sulla scorta dei parametri indicati dal
contratto. Ciò trova conferma esaminando (ex ante, ossia con riguardo al
momento di stipulazione) le reciproche prestazioni periodiche come indicate nei
due contratti (potendosi affermare che le stesse fossero idonee a soddisfare un
apprezzabile interesse per il contraente, seppure nella eventualità di un
rialzo dei tassi di riferimento oltre i limiti pattuiti…“
Il Giudice ha inoltre precisato che tale
valutazione ex ante, diretta a
valutare l’esistenza di un vizio genetico del derivato, va comunque riferita al
momento della stipula e non a quello di esecuzione del contratto, anche laddove
quest’ultima sia iniziata molto tempo dopo (come è avvenuto nel secondo
derivato, stipulato nel 2008, ma efficace dal gennaio 2010).
L’ordinanza dichiara inoltre espressamente
di non condividere l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte
d’Appello di Milano nella nota sentenza 18.09.2013 n. 3549 secondo cui vi
sarebbe nullità del derivato per mancata specificazione del mark to market di
apertura o delle penalità in caso di recesso, “con conseguente assunzione da parte dell’impresa di alea non misurabile
o non razionale“.
Afferma il Tribunale al riguardo che tale
soluzione “non appare condivisibile,
sia perché l’indicazione del mark to market non è imposta espressamente dalla
disciplina di legge come elemento costitutivo dell’accordo al momento della
stipula del contratto di IRS, sia perché esso non esprime un valore concreto e
attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico
di mercato del contratto in caso di risoluzione anticipata dello stesso (cfr.
in tal senso Cass. pen. 16.12.2011 n. 47421 [sui derivati del Comune di
Messina]), presentandosi pertanto quale elemento estraneo alla struttura del
contratto; ed integrando sostanzialmente una valutazione previsionale
sull’andamento dei tassi sottostanti l’operazione durante la vita del derivato,
rientrante nella valutazione di convenienza dell’operazione e dell’alea nella
fase precontrattuale. pertanto una eventuale accertata carenza informativa sul
punto in violazione dell’art. 21 TUF al momento delle trattative o della
stipula del contratto non comporterebbe nullità di quest’ultimo ex art. 1418
comma 2 c.c. per carenza di un elemento essenziale, potendo al più costituire
motivo di responsabilità risarcitoria dell’intermediario per violazione di
norme comportamentali (Cass. s.u. 19.12.2007 n. 26724; Cass. sez. I 9.01.2013
n. 330)“.
Sul punto è importante l’affermazione che
riconduce con sicurezza alla informativa precontrattuale, anziché ad elemento
essenziale dell’accordo, la tematica del mark
to market iniziale e della misura dell’alea. Resta così esclusa la
rilevanza a pena di nullità di tali elementi, ricondotti nell’ambito degli
obblighi informativi, la cui misura è peraltro influenzata nel caso di specie
dalla disciplina secondaria di fonte Consob.
Più sfumate sono le affermazioni in tema di
costi impliciti, per le quali il Giudice si limita a valutazioni tipiche della
cognizione sommaria: tuttavia anche qui si leggono considerazioni interessanti,
in particolare sull’eventuale difetto di preventivo accordo sui costi impliciti,
che non comporterebbe tuttavia nullità tout court del derivato ma al più
nullità parziale “rispetto alla
quale sarebbe stato necessario dimostrare (e la prova non è stata raggiunta)
che il cliente, in relazione all’entità di quei costi non avrebbe concluso il
contratto, ove ne avesse avuto piena conoscenza al momento della stipula (ciò
sulla scorta del principio per il quale l’estensione all’intero rapporto della
nullità delle singole clausole o del singolo patto, secondo la previsione
dell’art. 1419 comma 1 c.c. ha carattere eccezionale, perché deroga al
principio generale della conservazione del contratto: Cass. 20.05.205 n. 10690)“.
Il Giudice ha infine rigettato il ricorso
anche sotto il profilo del periculum in
mora, in quanto non adeguatamente sorretto da elementi probatori, e
comunque privo del requisito dell’attualità.
Tutte le doglianze di parte ricorrente,
pertanto, sono state respinte, a conferma di un orientamento sempre più accorto
dei giudici di merito sulla spinosa questione degli strumenti derivati, per la
quale si rinvia alla rassegna giurisprudenziale pubblicata su questa rivista,
per ogni ulteriore approfondimento.
Testo del provvedimento
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