ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte Costituzionale, con sentenza n.223 dell’11/10/2012, si è pronunciata sui tagli agli stipendi dei magistrati e alle retribuzioni dei dirigenti pubblici previsti dalla manovra economica 2011-2012 dichiarando l’incostituzionalità dell’art.9 D.L. 78/10.
La detta norma prevedeva che: “a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro”.
Analogamente la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale del medesimo articolo 9 al comma 22, ove viene disposto che ai magistrati non siano erogati, ”senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012” e che ”per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per il 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014”.
Invero, sostiene la Corte, le dette norme si pongono in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, dove viene sancito come tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge e tutti siano tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva.
La norma censurata è incostituzionale in quanto non prevede una mera riduzione del trattamento economico, ma introduce un vero e proprio prelievo tributario a carico dei soli dipendenti pubblici.
Invero, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dal legislatore, per valutare se una decurtazione patrimoniale integri un tributo, occorre interpretare la disciplina sostanziale che la prevede e cioè la doverosità della prestazione in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti, nonché il collegamento di tale prestazione con la pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.
Orbene, con riferimento alle disposizioni in esame si può agevolmente affermare che non si è in presenza semplicemente di una modificazione, peraltro unilaterale, del contenuto del rapporto di lavoro, ma sicuramente di un TRIBUTO, cioè di “un prelievo a carico del dipendente pubblico”, stabilito “in via autoritativa”, il cui ricavato è destinato al bilancio dello Stato, con l’obiettivo finale di raggiungere “la diminuzione del debito pubblico”.
Occorre, perciò, concludere che si tratta, di una imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti di un cd. TRIBUTO che in quanto tale si pone in evidente contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost.
L’introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione viòla, infatti, il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante.
A questo riguardo la Consulta nota anche che il risultato sul bilancio avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un intervento impositivo. “L’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali […] Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza”.
In conclusione, la Corte afferma che, “il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio”.
Testo del provvedimento
vedi sentenza allegata
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