ISSN 2385-1376
Testo massima
Con la sentenza n. 15319 del 19/06/2013 la Corte di Cassazione ha affrontato l’annosa questione della tassazione dei contratti sottesi ai fondi immobiliari, quali fondi comuni d’investimento dedicati al settore immobiliare.
Nel caso di specie la società Alfa con atto notarile del 28 giugno 2007, registrato il 13 luglio 2007 presso il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate ha apportato 23 immobili di tipo industriale poi locati, al Fondo immobiliare gestito dalla società Beta, con contestuale accollo liberatorio, da parte della società di gestione del Fondo, del finanziamento precedentemente acceso dalla società Alfa e con attribuzione di quote di partecipazione al Fondo, di modesto valore.
L’Agenzia delle Entrate ha ricondotto detto atto di apporto in una più ampia fattispecie negoziale, considerando il dato giuridico reale negli effetti tipici di una vendita immobiliare e di conseguenza ha applicato, la regola ordinaria dell’imposizione tributaria in misura proporzionale.
L’Ufficio ha notificato pertanto alla cessionaria Beta ed alla cedente Alfa avviso di liquidazione, intimando il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale mediante applicazione, rispettivamente, dell’aliquota del 3% e dell’1%, sul valore degli immobili apportati al Fondo.
In merito alla fiscalità da imposte d’atto (imposte di registro, ipotecaria e catastale), occorre precisare che mentre gli apporti immobiliari pubblici godono di regime di particolare favore per quelli privati vigono le disposizioni ordinarie, salva l’applicazione d’imposizione in misura fissa, (ai sensi dell’art. 8, comma 1 bis di cui al D.Lgs. n. 351 del 2001, convertito in L. n. 410 del 2001), agli “apporti” costituiti da una “pluralità di immobili prevalentemente locati” al momento del conferimento (apporti che peraltro, quanto a regime iva, sono equiparati alle operazioni di conferimento di azienda o di rami di azienda, escluse dall’imposta ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. b), ciò in applicazione del principio di alternatività tra IVA- imposta di registro.
Gli Ermellini hanno confermato la correttezza dell’imposta proporzionale facendo riferimento all’effettiva causa del negozio posto in essere dalle parti e ciò in applicazione del disposto di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 in virtù del quale “l’imposta è applica secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” (e, dunque, conferendo la preminenza al dato giuridico reale).
La società Alfa e la società Beta hanno in effetti realizzato con l’intervenuta negoziazione, che non è, in realtà, consistita nell’ “apporto” e, cioè, nel conferimento del patrimonio immobiliare da Alfa al Fondo immobiliare, onde parteciparvi e conseguirne redditività mediante gestione collettiva e specializzata, quanto, piuttosto, nell’unico effetto giuridico finale del trasferimento oneroso, e quindi della vendita, del patrimonio immobiliare di Alfa alla società di promozione e gestione del Fondo, per la successiva acquisizione al Fondo. Sostanzialmente Alfa è, infatti, sempre restata estranea al Fondo e non ne è mai divenuta “partecipante“, poichè ha immediatamente conseguito, in corrispettivo del trasferimento dei beni, l’accollo liberatorio del finanziamento (per un importo pari ad oltre nove decimi dell’intero valore degli immobili trasferiti) e solo in parte percentualmente assai più modesta, quote di partecipazione al fondo, peraltro, subito esitate, secondo precedenti impegni, ad altri partecipanti al Fondo ed investitori ufficiali.
L’effetto giuridico finale degli atti presentati alla registrazione, visti in collegamento negoziale, va identificato nel trasferimento oneroso dei ventitrè immobili dalla società Alfa alla società Beta che comporta l’applicazione dell’imposta proporzionale e non di quella in misura fissa prevista dall’ art.8, comma 1 bis del D.Lgs. n. 351 del 2001.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
alfa S.R.L. IN LIQUIDAZIONE
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– controricorrente –
sul ricorso proposto da:
beta SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO S.P.A.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. 26, n. 1, depositata il 13 gennaio 2012;
Svolgimento del processo
1.1 – Con atto notarile del 26 giugno 2007 -registrato il successivo 13 luglio presso l’Ufficio di Rho dell’Agenzia delle Entrate – alfa s.r.l. stipulò, con un gruppo di banche, contratto di finanziamento di complessivi Euro 563.460.000,00. Ciò con riferimento ad immobili da apportare al Fondo comune di investimento immobiliare speculativo di tipo chiuso denominato “gamma“, gestito da delta S.G.R. s.p.a (poi fusa per incorporazione ed oggi denominata beta S.G.R. s.p.a.). Al contratto di finanziamento partecipò anche beta S.G.R., nella qualità di società di promozione e gestione del Fondo immobiliare di destinazione degli immobili in relazione ai quali veniva richiesto finanziamento.
Con atto notarile del 28 giugno 2007 – registrato il successivo 13 luglio presso l’Ufficio di Rho dell’Agenzia delle Entrate – Tamerice apportò 23 immobili di tipo industriale (locati ad UPIM) al Fondo immobiliare indicato in precedenza, verso contestuale accollo liberatorio, da parte della società di gestione del Fondo, del finanziamento precedentemente acceso e, altresì, attribuzione di quote di partecipazione al Fondo, del valore di Euro 46.500.000, che, come da pregressi accordi, furono tutte cedute, nel giro di pochi giorni, ad altri partecipanti al Fondo ed investitori istituzionali qualificati.
All’atto di apporto furono applicate le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa, con riferimento alla previsione di cui al D.L. n.351 del 2001, art.8, comma 1 bis, convertito in L. n.410 del 2001.
2 – Sulla base di tali presupposti di fatto – che la narrativa della decisione impugnata e quelle degli atti di parte rivelano oggettivamente riscontrati e, peraltro, non controversi – l’Agenzia considerò che l’atto di apporto in oggetto s’inquadrava in una più ampia fattispecie di collegamento negoziale, di cui identificò il dato giuridico reale negli effetti tipici di una vendita immobiliare; nella prospettiva di cui al D.P.R. n.131 del 1986, art.20 (richiamato in tema di imposte ipotecaria e catastale dal D.Lgs. n.347 del 1990, art.13), applicò, quindi, la regola ordinaria dell’imposizione in misura proporzionale.
Per quanto, in particolare, attiene all’oggetto del presente giudizio, l’Agenzia notificò, conseguentemente, a cessionaria (e, per questa, all’incorporante delta S.G.R. s.p.a.) e cedente, in quanto obbligate in solido, avviso di liquidazione intimante il pagamento delle imposte ipotecaria e catastale per l’importo di Euro 28.640.000 – definito mediante applicazione, rispettivamente, dell’aliquota del 3% e di quella dell’1%, su di un valore degli immobili determinato D.P.R. n.131 del 1986, ex art.51 in Euro 716.000.000 – oltre interessi; con la puntualizzazione, ai fini della decorrenza di questi ultimi, che la maggiore imposta dovuta doveva intendersi, ai sensi del D.P.R. n.131 del 1986, art.42, comma 1, (richiamato dal D.Lgs. n.347 del 1990, art.13), di tipo complementare.
3 – Avverso tale avviso di liquidazione, beta S.G.R. e alfa proposero distinti ricorsi.
L’adita commissione provinciale respinse i ricorsi delle società contribuenti, con sentenze (nn. 185 e 186 del 2011), che, in esito agli appelli di dette società e previa relativa riunione, sono state confermate dalla commissione regionale con la sentenza (n. 1 del 2012) qui impugnata.
Nel respingere le impugnative delle società contribuenti in sostanziale adesione all’impostazione dei primi giudici, i giudici di appello hanno: a) riconosciuto la competenza dell’Ufficio di Rho dell’Agenzia delle Entrate ad emettere l’avviso di liquidazione opposto; b) ritenuto la correttezza della valutazione operata dall’Agenzia, alla stregua del combinato disposto dal D.P.R. n.131 del 1986, art.20 e D.Lgs. n. 347 del 1990, art.13, circa l’intrinseca natura ed i reali effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione; c) conseguentemente negato l’allegata estraneità, all’atto suddetto ed alla correlativa imposizione, di beta S.G.R e la connessa contraddittorietà dell’azione fiscale;
d) affermato l’inapplicabilità, alla fattispecie, della previsione di cui al D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, comma 4, in tema di contraddittorio preventivo in sede di contestazione di comportamenti elusivi; e) considerato correttamente definito D.P.R. n.131 del 1986, ex art.51, comma 2, ai fini della determinazione dell’imponibile, il valore degli immobili trasferiti; f) reputato inapplicabile la previsione del D.L. n.223 del 2006, art.35, comma 10-ter, convertito in L. n.248 del 2006, in tema di riduzione alla metà delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale; g) affermato la natura complementare, e non suppletiva, dell’imposta richiesta e conseguentemente la legittimità della richiesta di interessi sulle maggior imposte liquidate.
Contro la sentenza di appello, beta S.G.R. (nuova denominazione di delta S.G.R.) e alfa promuovono separati ricorsi, sulla base di dieci motivi comuni e di un motivo esclusivamente proposto da alfa.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorsi.
Motivi della decisione
1.1 – I fondi immobiliari (regolati dal D.Lgs. n.58 del 1998 e successive modificazioni e dalla normativa secondaria emanata in base ad esso: D.M. n.228 del 1999, D.M. n.47 del 2003 e, poi, D.M. n.197 del 2010) sono fondi comuni d’investimento dedicati al settore immobiliare.
Quali compendi di beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari, sul piano economico, detti fondi assumono la funzione di garantire i vantaggi che, in termini di maggior redditività, può offrire una gestione collettiva (“in monte”) e professionale dell’investimento ed, altresì, quella di trasformare l’investimento immobiliare in quote di attività finanziarie suscettibili di negoziazione (non dissimile da quella propria degli ordinari strumenti finanziari mobiliari) più agevole rispetto a quella dei beni che rappresentano. Sul piano giuridico, essendo privi di autonoma soggettività giuridica, essi configurano patrimoni separati della società (S.G.R.) di promozione e/o di gestione, sicchè è a questa che fanno capo i rapporti giuridici che li riguardano (cfr. Cass. 16605/10).
Nel nostro ordinamento, i fondi immobiliari sono fondi di “tipo chiuso“, nel senso che, dopo la costituzione, la consistenza del relativo patrimonio è tendenzialmente insuscettibile di modificazione sino alla prevista data di scadenza, permettendo all’investitore di ottenere il rimborso delle quote solo a scadenze predeterminate, salva la possibilità di negoziarle nel mercato finanziario.
La costituzione del fondo immobiliare può avvenire o mediante acquisto di beni immobili, diritti immobiliari e partecipazioni in società immobiliari successivamente alla sottoscrizione o mediante “apporto” – ossia conferimento di immobili e diritti immobiliari – da parte di enti pubblici (fondi ad apporto pubblico) o di società private (fondi ad apporto privato), che ne divengono partecipanti.
Come la nozione di conferimento si ricollega al ruolo di socio, così, dunque, quella di apporto si relaziona al ruolo di partecipante al fondo e alla titolarità delle relative quote. Le due indicate modalità di costituzione (mediante acquisto o mediante apporto) possono anche concorrere.
Quanto alla fiscalità da imposte d’atto (imposte di registro, ipotecaria e catastale), mentre gli apporti immobiliari pubblici godono di regime di particolare favore (previsto dal D.Lgs. n.351 del 2001, art.9, comma 2, convertito in L. n.401 del 2001), per quelli privati vigono le disposizioni ordinarie, salva l’applicazione d’imposizione in misura fissa, ai sensi dell’art.8, comma 1 bis, del citato testo normativo, agli “apporti” costituiti da una “pluralità di immobili prevalentemente locati” al momento del conferimento (apporti che peraltro, quanto a regime iva, sono equiparati alle operazioni di conferimento di azienda o di rami di azienda, escluse dall’imposta ai sensi del D.P.R. n.633 del 1972, art.2, comma 3, lett.b).
2 – Nel suo aspetto più saliente, la controversia ruota intorno al tema dell’applicabilità, all’atto di apporto del 28 giugno 2007 registrato il successivo 13 luglio, della previsione di cui al D.Lgs. n.351 del 2001, art.8, comma 1 bis, convertito in L. n.410 del 2001, e dell’imposizione in misura fissa ivi prevista; applicabilità che i giudici di merito hanno ritenuto legittimamente negata dall’Agenzia in funzione di qualificazione dell’atto operata, in rapporto a riscontrata ipotesi di collegamento negoziale, ai sensi delle prescrizioni di cui al D.P.R. n.131 del 1986, art.20 e D.Lgs. n.347 del 1990, art.13.
2.1 – Con la prima comune doglianza, alfa e beta – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n.131 del 1986, art.53 bis (nella versione risultante a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n.223 del 2006, art.35, comma 24, lett. a, convertito in L. n.248 del 2006), e D.P.R. n.600 del 1973, art.31, comma 2, – censurano la decisione impugnata per non aver rilevato, secondo quanto eccepito anche in appello, l’illegittimità dell’avviso di liquidazione impugnato, in quanto emesso da un ufficio territorialmente incompetente. Ciò sul presupposto che, alla stregua della riqualificazione posta a fondamento dell’impugnata liquidazione, l’ultimo atto del collegamento negoziale unitariamente assunto a base dell’imposizione fiscale era costituito dalle cessioni, ad altri partecipanti al Fondo e a investitori istituzionali, delle quote di partecipazione al Fondo conseguite da alfa a seguito dell’apporto nonchè in forza della considerazione che dette cessioni, non essendo soggette ad obbligo di registrazione, poichè intervenute mediante scambio di corrispondenza, comportavano, ai sensi del D.P.R. n.600 del 1973, art.21, comma 2, e D.P.R. n.131 del 1986, art.53 bis (avendo all’epoca ALFA domicilio fiscale in (OMISSIS)), la competenza territoriale dell’Ufficio di Milano (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate.
2 – La censura è infondata.
In proposito, occorre premettere che – come emergerà dall’analisi dei successivi motivi di ricorso la prospettazione delle società contribuenti non appare, al riguardo, cogliere gli esatti termini della riqualificazione negoziale posta alla base del contestato atto impositivo.
Tralasciando, per il momento, tale rilievo, deve, comunque, osservarsi che – poichè l’atto di apporto, poi riqualificato, fu registrato presso l’Ufficio di Rho, che, conseguentemente, provvide alla liquidazione, in via principale, delle imposte ipotecaria e catastale – del tutto correttamente i giudici del merito hanno riconosciuto la competenza del suddetto ufficio anche sulla definitiva liquidazione (qui contestata) delle medesime imposte.
3.1 – Con il SECONDO ed il SESTO comune motivo di ricorso e con l’unico motivo di ricorso proposto in via esclusiva da BETA, le società contribuenti censurano la decisione impugnata per non aver riscontrato, in adesione ad altrettanti corrispondenti motivi di appello, l’infondatezza della pretesa espressa nell’avviso impugnato, in quanto frutto del malgoverno della previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.20 e di conseguente errata riqualificazione dell’atto registrato e, peraltro, espressione di scorretto uso del potere impositivo.
In particolare, con riguardo al secondo profilo, le società contribuenti – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n.241 del 1990, artt.3 e 21 octies, e L. n.212 del 2000, art.7 – censurano la decisione impugnata per non aver ritenuto la contrastata azione fiscale viziata da eccesso di potere.
Ciò per l’insanabile contraddittorietà riscontrabile nel fatto che l’avviso impugnato, per un verso, riqualifica i negozi assoggettati ad imposizione quale vendita immobiliare diretta ad altri partecipanti al Fondo e ad investitori istituzionali cessionari delle quote del Fondo conseguite da Tamerice per effetto dell’apporto, e, per l’altro, ritiene solidalmente responsabile, per il pagamento delle imposte, il gestore del Fondo (DELTA, ora BETA S.G.R.); soggetto questo, che invece, in base alla stessa riqualificazione negoziale operata dall’Agenzia, dovrebbe reputarsi estraneo al rapporto fiscale dedotto in controversia, non costituendo terminale soggettivo del ritenuto reale effetto traslativo.
Corrispondentemente, con l’unico esclusivo motivo di ricorso, BETA – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n.131 del 1986, art.57, comma 1, e art.1414 cc, comma 1, -lamenta il mancato riscontro da parte del giudice a quo della propria carenza di legittimazione sostanziale passiva.
2.1 – Le doglianze – che, in quanto strettamente connesse, possono essere congiuntamente esaminate vanno disattese.
2.1.1 – Il D.P.R. n.131 del 1986, art.20, richiamato ai fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale dal D.Lgs. n.347 del 1990, art.13, recita: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Proclamando, ai fini dell’applicazione delle imposte in rassegna, la preminenza del reale dato giuridico, dell’effettiva causa negoziale (“la intrinseca natura” e “gli effetti giuridici“) dell’atto sottoposto a registrazione, rispetto al relativo assetto cartolare (“il titolo o la forma apparente”), la disposizione in esame, in combinazione con quella di cui all’art. 1 del medesimo testo di legge, esprime la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione, non della loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridici prodotti (v. Cass.10273/07, 2713/02).
La scelta – coerente con la storica evoluzione della prestazioni tributarie in rassegna (cfr. Cass.2713/02) dal regime di tassa (avente, come oggetto, l’atto da registrare, quale documento, e funzione tendenzialmente corrispettiva del servizio di registrazione e dei servizi ad essa connessi) a quello d’imposta (avente, come oggetto, l’atto da registrare, in funzione delle potenzialità economiche espresse dai relativi effetti) – non risulta, in tale prospettiva, concettualmente incompatibile con la nozione di “imposta d’atto”.
Peraltro – promanando testualmente dalla legge in termini inequivocabili – essa non si pone in contrasto con il principio costituzionale sancito dall’art.23 Cost. nè con quello di cui all’art.41 Cost., mantenendo i soggetti integra la propria autonomia privata, fermo restando la sottoposizione della loro attività negoziale, alle imposte in rassegna, in funzione dei relativi effetti giuridici. Per altro verso, la scelta si rivela rispondente, nel modo più adeguato, al criterio di cui all’art.53 Cost. (cfr. Cass.2713/02).
2.1.2. – In base a costante e risalente giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle imposte in oggetto ai sensi dal D.P.R. n.131 del 1986, art.20, “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione” (e, dunque, conferendo preminenza al dato giuridico reale), ha luogo, attesa l’unitarietà della causa, anche in ipotesi di collegamento negoziale; di atti, cioè, che, ancorchè frazionatamente e non contestualmente, realizzino, sul piano della regolamentazione degli interessi dei contraenti, un preordinato unico risultato, identificabile in funzione di valutazione complessiva (cfr., tra le altre, Cass.15192/10, 9162/10, 11769/08, 8098/06, 2713/02, 14900/01).
Del resto, il fenomeno del collegamento negoziale non è ignorato dalla normativa sulle imposte d’atto e, in particolare, dal D.P.R. n.131 del 1986, art.21, comma 2, che è di certo rilevante ai fini della lettura della disposizione precedente; ed, a tali fini, la sua considerazione è, peraltro, imposta dal rilievo che, altrimenti, la sostituzione ad unico strumento giuridico di più contenitori negoziali produttivi dell’identico risultato, indurrebbe, sul piano della sostanziale fattispecie tributaria risultati, irragionevolmente differenziati nella prospettiva di cui agli artt.3 e 53 Cost. (cfr.Cass. 14900/01).
2.2 – Dagli esposti criteri non si è discostato il giudice del merito, che pertanto, diversamente da quanto sostengono le ricorrenti, non ha fatto malgoverno della previsione di cui al D.P.R. n.131 del 1986, art.20.
Sulla scorta degli elementi fattuali incontrovertitamente acquisiti (cfr. parte narrativa, sub 1., 1 e 2), il giudice del merito ha, infatti, coerentemente riscontrato, a sostegno della legittimità dell’atto impositivo impugnato, che la successione in rapidissima sequenza dei diversi atti – stipulazione di contratto di finanziamento di Euro 563.460.000,00 ad opera di ALFA con la partecipazione della S.G.R., DELTA (ora BETA), di promozione e gestione del Fondo; apporto del patrimonio immobiliare di ALFA al Fondo suddetto verso accollo liberatorio, da parte della società di promozione e gestione del Fondo medesimo, dell’intero predetto finanziamento nonchè attribuzione di quote di partecipazioni al Fondo pari ad Euro 46.500.000 (di valore, quindi, di gran lunga inferiore a quello del finanziamento accollato); pressochè contestuale cessione di dette quote, come da pregressi accordi (bilateralmente vincolanti: la sentenza impugnata, p. 5), ad altri partecipanti al Fondo ed investitori istituzionali qualificati evidenzia che la regolamentazione degli interessi che i contraenti dell’apporto (ALFA e DELTA (ora BETA)) hanno in effetti realizzato con l’intervenuta negoziazione, non è, in realtà, consistita nell’“apporto” e, cioè, nel conferimento del patrimonio immobiliare di ALFA al Fondo immobiliare, onde parteciparvi e conseguirne redditività mediante gestione collettiva e specializzata, quanto, piuttosto, nell’unico effetto giuridico finale del trasferimento oneroso, e quindi della vendita, del patrimonio immobiliare di ALFA alla società di promozione e gestione del Fondo, per la successiva acquisizione al Fondo (suo patrimonio separato: v. Cass. 16605/10).
Sostanzialmente ALFA è, infatti, sempre restata estranea al Fondo e non ne è mai divenuta “partecipante“, poichè ha immediatamente conseguito, in corrispettivo del trasferimento dei beni, l’accollo liberatorio del finanziamento (per un importo pari ad oltre nove decimi dell’intero valore degli immobili trasferiti) e solo in parte percentualmente assai più modesta, quote di partecipazione al fondo, peraltro, subito esitate, secondo precedenti impegni, ad altri partecipanti al Fondo ed investitori ufficiali.
Se, dunque, l’effetto giuridico finale degli atti presentati alla registrazione, visti in collegamento negoziale, va identificato nel trasferimento oneroso dei ventitrè immobili di ALFA a DELTA(ora BETA), diversamente da quanto, prospettano le società contribuenti, è alla società di promozione e gestione del Fondo, cui va, semmai, riferita l’effettiva operazione di “apporto” al Fondo, suscettibile di applicazione delle imposte d’atto in misura fissa, ai sensi del D.Lgs. n.351 del 2001, art.8, comma 1 bis; dovendo, invece, il trasferimento oneroso degli immobili medesimi da ALFA alla società di gestione essere assoggettato alle imposte in rassegna secondo l’ordinaria regola della proporzionalità.
2.4 – Dovendosi l’atto presentato alla registrazione intendere qualificato in termini di vendita immobiliare diretta da ALFA a DELTA (ora BETA) S.G.R., del tutto destituite di fondamento si rivelano, d’altro canto, le censure dalle società contribuenti basate sulla asserita estraneità della società di promozione e gestione all’effetto traslativo connesso alla riqualificazione negoziale operata dall’Agenzia e, conseguentemente, al rapporto fiscale controverso. Nel contempo (come anticipato sub 2, 2) risulta, altresì, chiarito che, il primo comune motivo di ricorso (sulla pretesa incompetenza dell’Agenzia di Rho), oltre che infondato per il motivo già esposto, si rivela viziato in radice, in quanto basato su di una prospettazione che non tiene conto degli effettivi termini dell’operata riqualificazione.
4.1 – Con il TERZO comune motivo di ricorso -deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt.41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, comma 4, e D.P.R. n.131 del 1986, art.53 bis – le società contribuenti censurano la decisione impugnata per non aver ritenuto la nullità dell’avviso di liquidazione in quanto emesso in assenza del contraddittorio preventivo prescritto dal D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, comma 4.
Con il QUARTO ed il QUINTO comune motivo di ricorso – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 351 del 2001, art.8, comma 1-bis, (convertito in L. n.410 del 2001), e D.Lgs. n.58 del 1998, art.1, comma 1, lett. j, nonchè motivazione insufficiente in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio – le società contribuenti censurano, poi, la decisione impugnata, rispettivamente, per non aver escluso la ricorrenza, nella fattispecie, di un aggiramento di norme impositive ed, inoltre, per non aver idoneamente motivato l’assunto mancato riscontro di valide ragioni economiche nelle operazioni contestate.
2 – Le censure – che muovono, evidentemente, dal presupposto che la previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.20 introduca una clausola antielusiva – sono infondate.
In proposito, occorre, in primo luogo, rilevare che, disponendo che l’imposta deve essere applicata secondo l’“intrinseca natura” e gli “effetti giuridici” degli atti assoggettati a registrazione (cfr. sub 3, 2.2.1), il D.P.R. n.131 del 1986, art.20 è norma che, quand’anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura “disposizione antielusiva” (del resto la sua formulazione, mutuata peraltro da normativa previgente, è storicamente ben precedente al diffondersi del dibattito sull’elusione), giacchè, in combinazione con il precedente art. 1, interviene a delineare positivamente l’ambito oggettivo del rapporto giuridico tributario di riferimento, con specifica opzione per i contenuti sostanziali degli atti registrati rispetto ai relativi profili meramente cartolari (v.Cass. 10273/07, 2713/02), e non pone -come, invece, fa (in relazione a situazioni specifiche) il D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis – una generale clausola antielusiva “di chiusura“, tesa a rendere comunque inopponibili all’Amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi, che risultassero privi di valide ragioni economiche e diretti solo ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario.
Pertanto, nella prospettiva di cui al D.P.R. n.131 del 1986, art.20, si procede alla ricostruzione dell’obiettiva portata, sul piano degli effetti giuridici, dell’attività negoziale posta in essere; ai fini dell’applicazione del D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, si procede, invece, al riscontro della ricorrenza di circostanze (in particolare: assenza di valide ragioni economiche per la relativa adozione, aggiramento di obblighi o divieti fiscali) sintomaticamente denunzianti lo sviamento di forme negoziali dalla propria specifica funzione ed il loro uso distorto al solo fine del conseguimento d’indebito vantaggio fiscale.
Ciò comporta che – mentre la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale ai fini dell’applicazione della previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art.20 (cfr. Cass. 9162/10, 11769/08, 2713/02, 14900/01), in considerazione della specifica positiva definizione normativa dell’oggetto del rapporto impositivo – le condizioni prescritte ai fini dell’operatività della previsione del D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, e in particolare quella attinente all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo, non possono ritenersi mutuabili, per l’eterogeneità morfologica e funzionale delle due disposizioni normative, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n.131 del 1986, art.20.
Nè, in senso contrario, appare utilmente richiamata dalle società contribuenti la previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.53 bis.
Tale norma, infatti, estende al campo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale le “attribuzioni” ed i “poteri” riconosciuti agli Uffici dal D.P.R. n. 600 del 1973 (e, segnatamente, dai relativi artt.31, 32 e 33) ai fini dell’accertamento delle imposte dirette e non contempla, dunque, alcun richiamo alla disposizione di cui al D.P.R. n.600 del 1973, art.37 bis, che è norma che non riguarda suddette “attribuzioni” e “poteri“, ma incide sull’oggetto dell’imposizione. D’altro canto, l’esame della previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.53 bis non lascia trasparire altro che la volontà del legislatore di estendere, all’ambito delle imposte d’atto, i poteri e le attribuzioni riconosciuti all’Amministrazione al fine dell’accertamento delle imposte dirette.
Quanto esposto in merito alla natura della disposizione di cui al D.P.R. n.131 del 1986, art.20 e, peraltro, l’estraneità delle imposte d’atto al novero dei tributi armonizzati privano, poi, di ogni rilievo i richiami operati dalle società contribuenti alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria (in particolare: C.G. 18.12.2009 in causa C-349/07,) in tema di obbligatorietà del contraddittorio in sede di procedimento amministrativo.
In disparte, le esposte ed assorbenti considerazioni (e la non conferenza del richiamo all’art.41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, che, di per sè, appare riguardare i rapporti tra cittadini ed Istituzioni dell’Unione), mette conto, per completezza, segnalare che la doglianza si rivela, altresì, manchevole in punto di rilevanza, non risultando specificato quale pregiudizio al diritto di difesa abbiano in concreto subito le società contribuenti a causa del lamentato mancato preventivo invito ad interloquire in sede amministrativa (cfr. Cass. 14026/12 e 16874/12), e risulterebbe, comunque, non condivisibile per le ragioni diffusamente esposte da Cass. 14026/12 (in particolare al punto 5).
5.1. – Con il SETTIMO e l’OTTAVO comune motivo di ricorso, le società contribuenti – deducendo, rispettivamente violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n.241 del 1990, art.3 e L. n. 212 del 2000, art.7 nonchè violazione e falsa applicazione del D.P.R. n.131 del 1986, art.51, comma 2, – censurano la decisione impugnata, per non aver rilevato il vizio di motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato, quanto ai profili attinenti alla definizione della base imponibile, nè la relativa errata determinazione.
2. – Le censure sono infondate.
2.1 – Quanto alla prima doglianza, va, per un verso, rilevato che, dall’accertamento in fatto del giudice del merito, emerge che la motivazione dell’atto impugnato reca, con riguardo alla base imponibile, oltre la determinazione correlativamente assunta, l’indicazione della fonte dei dati presi in considerazione ai fini della determinazione medesima e quella delle valutazioni che a tale determinazione hanno portato. Deve, per altro verso, considerarsi che, in rapporto alla funzione della motivazione dell’atto impositivo, tali indicazioni si rivelano pienamente sufficienti.
2.2 – In merito alla seconda doglianza, deve premettersi: a) che il D.P.R. n.131 del 1986, art.51, comma 2, dispone che il valore che deve assumersi come base imponibile ai fini dell’imposizione di registro, ipotecaria e catastale, per gli atti che hanno ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse, è il valore venale in comune commercio; b) che il successivo art.52, comma 1, stabilisce, che l’ufficio, se ritiene che detti beni o i diritti hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni. Ciò posto occorre osservare che – atteso che, per la parte qui esaminata, la decisione impugnata non si pone in contrasto con i richiamati criteri normativi – la dedotta censura di violazione di legge si rivela del tutto destituita di fondamento. Deve, d’altro canto, considerarsi che, con accertamento in fatto in sè coerente e, del resto, nemmeno censurato sul piano del vizio motivazionale, il giudice del merito (cui, entro il limite della coerenza logica, è riservata, quanto ai profili fattuali della fattispecie, l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all’uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonchè la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03) è pervenuto alla conclusione, qui non più sindacabile, della rispondenza del valore degli immobili oggetto di negoziazione a quello di mercato definito dalla perizia di stima dell’esperto indipendente e non, invece, all’importo del valore convenzionale di apporto come definito dalle parti; con l’ulteriore puntualizzazione dell’assenza di elementi tali da giustificare decurtazioni percentuali in base a genericamente evocata, ma non riscontrata, prassi di mercato.
5.1 – Con il NONO comune motivo di ricorso, le società contribuenti – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n.223 del 2006, art.35, comma 10 ter, e D.P.R. n.131 del 1986, art.57, comma 1 – censurano la decisione impugnata per aver respinto il motivo di appello (prospettato in via subordinata) afferente all’illegittimità parziale dell’avviso di liquidazione, poichè recante un’errata determinazione delle aliquote ed una conseguentemente errata quantificazione delle imposte.
2 – In proposito, occorre premettere che il D.L. n.223 del 2006, art. 35, comma 10 ter, convertito in L. n.248 del 2006, dispone che, a decorrere dall’1 ottobre 2006, per le volture catastali e le trascrizioni relative a cessioni di beni immobili strumentali previste dal D.P.R. n.633 del 1972, art.10, comma 1, n.8 ter, di cui siano parte fondi immobiliari chiusi disciplinati dal D.L. n.58 del 1998, art.37, le aliquote delle imposte ipotecaria e catastale sono ridotte della metà.
La riduzione in esame compete, dunque, ove concorrano le seguenti due condizioni: a) che si tratti di cessione di beni immobili strumentali; b) che di dette cessioni siano parte (vi rivestano, cioè, ruolo di acquirente o di alienante) fondi immobiliari chiusi e, per essi, le relative società di gestione, posto che, di queste, i fondi costituiscono patrimoni separati (cfr. sub 1, 1, e Cass. 16605/10).
Alla luce degli esposti rilievi, la censura si rivela fondata.
Ed invero – mentre appare incontroverso tra le parti che l’apporto, poi qualificato in cessione diretta, aveva ad oggetto immobili rientranti nella categoria contemplata nella disposizione – è, in base alla stessa qualificazione operata dall’Agenzia, che della ritenuta cessione onerosa risulta esser stata parte in ruolo di acquirente, per il Fondo immobiliare chiuso , la relativa società di promozione e gestione DELTA (ora BETA) S.G.R..
6.1 – Con il DECIMO comune motivo di ricorso, le società contribuenti – deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n.131 del 1986, art.42, comma 1, e art.56, comma 2, – censurano la decisione impugnata per aver, sul presupposto della natura complementare dell’imposta liquidata, ritenuto la legittimità dell’avviso di liquidazione impugnato nella parte in cui reca la richiesta di interessi sulle maggiori imposte liquidate. Ciò in forza del convincimento che l’imposta liquidata abbia natura di imposta suppletiva, e dunque, ai sensi del D.P.R. n.131 del 1986, art.56, sia riscuotibile solo dopo il secondo grado di giudizio (non diversamente dall’imposta complementare conseguente all’accertamento di maggior valore dei beni).
2 – La censura è infondata.
Deve, invero, rilevarsi che il D.P.R. n.131 del 1986, art.42 espressamente statuisce che è “principale” l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’Ufficio, se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica; è “suppletiva” l’imposta applicata successivamente, se diretta a correggere errori od omissioni dell’Ufficio; è “complementare” l’imposta applicata in ogni altro caso.
Tanto premesso, deve negarsi che l’imposta liquidata possa qualificarsi imposta “suppletiva”. La liquidazione non è, infatti, intervenuta a correggere errori od omissioni dell’Ufficio, ma a ricostruire a posteriori il reale contenuto giuridico degli atti registrati in ossequio alla previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.20. Essa ha dato, invece, vita ad un’imposta che (non essendo certamente “principale”) deve considerarsi “complementare”, in quanto appartenente alla categoria residuale; e che inoltre, non scaturendo dall’accertamento del maggior valore degli immobili ceduti, è, altresì, estranea all’ambito di applicazione della previsione del D.P.R. n.131 del 1986, art.56 e del correlativo regime di sospensione della riscossione.
7) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone l’accoglimento del nono comune motivo di ricorso delle società contribuenti ed il rigetto di tutte le altre doglianze.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, in relazione al motivo accolto, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art.384 cpc, comma 1 ult. parte, va decisa nel merito, con l’accoglimento dei ricorsi introduttivi delle società contribuenti, limitatamente alla richiesta riduzione alla metà delle aliquote applicate e corrispondente determinazione delle imposte ipotecaria e catastale; dovendosi far riferimento ad una base imponibile di Euro 716.000.000 l’importo complessivo della liquidazione impugnata va, dunque, ridefinito nella somma complessiva di Euro 14.320.000 (di cui Euro 10.740.000, per l’imposta ipotecaria all’aliquota dimidiata dell’1,5%, ed Euro 3.580.000, per l’imposta catastale all’aliquota dimidiata dello 0,5%) oltre interessi, con la decorrenza indicata nell’atto di liquidazione.
Per la natura e l’esito della controversia, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
PQM
la Corte:
accoglie il NONO comune motivo di ricorso delle società contribuenti e rigetta tutti altri; cassa, in relazione, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi delle società contribuenti, limitatamente alla richiesta riduzione alla metà delle aliquote applicate, con corrispondente rideterminazione della liquidazione di cui all’atto impugnato nella somma complessiva di Euro 14.320.000 oltre interessi; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013
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