Segnalata dall’Avv. Ascanio Amenduni del Foro di Bari
In caso di trattamento illecito di dati personali, il risarcimento del danno non patrimoniale, previsto dall’art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, non si sottrae ad un accertamento da parte del giudice – da compiersi con riferimento alla concretezza della vicenda sottoposta alla sua cognizione e non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – destinato ad investire i profili della “gravità della lesione” inferta e della “serietà del danno” da essa derivante.
Pertanto, non può essere accordata tutela risarcitoria, anche di fronte ad un illecito trattamento di notizie riservate da parte della Banca, se non ne è conseguita una lesione seria e grave.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Bari, Articolazione di Rutigliano, dott. Cosmo Mezzina, con la sentenza n. 5638 del 3.11.2016.
Nel caso di specie, un cliente conveniva in giudizio la banca con domanda di risarcimento danni per presunto trattamento illecito di notizie riservate e dati sensibili, in quanto la stessa avrebbe divulgato a terzi – precisamente al fratello dell’attore – notizie relative ad investimenti in Fondi Comuni a lui intestati.
La Banca si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che l’investimento fosse stato eseguito dall’attore attraverso somme prelevate dal conto corrente intestato alla madre defunta del richiedente e dell’attore, in virtù di delega con firma disgiunta e che, pertanto, le informazioni fossero state fornite al primo in virtù dell’art. 119 TUB.
A sostegno della propria tesi, la Banca produceva copia del modulo di sottoscrizione di quote del fondo comune, copia del contratto di conto corrente intestato alla defunta madre e copia delle delega in favore dell’attore.
Dall’analisi del modulo di sottoscrizione delle quote del Fondo Comune, al quale si riferiva il presunto illecito trattamento, si evinceva che l’acquisizione delle citate quote era avvenuta con denaro prelevato dal conto corrente intestato alla de cuius.
Il presupposto fattuale dei motivi di adesione alla richiesta di accesso alle informazioni appariva quindi dimostrato, in quanto la banca era tenuta a fornire informazioni all’erede dell’intestataria del conto.
L’unica irregolarità era da ravvisare nel fatto che la richiesta era indirizzata dall’avvocato nell’interesse dell’erede, senza produrre o dimostrare la fonte dei poteri rappresentativi.
Tuttavia, il Tribunale adìto ha ritenuto che nel caso di specie, non potessero ravvisarsi gli estremi del danno grave e serio ai fini dell’accoglimento della domanda.
Infatti, ha richiamato l’orientamento della Suprema Corte secondo cui in caso di trattamento illecito di dati personali, il risarcimento del danno non patrimoniale, previsto dall’art. 15 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, non si sottrae ad un accertamento da parte del giudice — da compiersi con riferimento alla concretezza della vicenda sottoposta alla sua cognizione e non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato — destinato ad investire i profili della “gravità della lesione” inferta e della “serietà del danno” da essa derivante.
In particolare, “l’accertamento di fatto rimesso, a tal fine, al giudice del merito, in forza di previe allegazioni e di coerenti istanze istruttorie di parte, dovrà essere ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale, dovendo l’indagine, illuminata dal bilanciamento anzidetto, proiettarsi sugli aspetti contingenti dell’offesa e sulla singolarità delle perdite personali verificatesi. Un siffatto accertamento – che, ove l’offesa non superi la soglia di minima tollerabilità o il danno sia futile, può condurre anche ad escludere la possibilità di somministrare il risarcimento del danno – è come tale sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato” (cfr. Cass. Civ. 16133/2014).
Pertanto per le considerazioni esposte, il Tribunale di Bari ha rigettato la domanda con compensazione delle spese di lite.
Tale decisione si iscrive nel “giro di vite” impresso dalla Cassazione rispetto al danno automatico o “in re ipsa”.
Per altri precedenti in materia di responsabilità della banca si veda anche:
RESPONSABILITA’ BANCA: IN CASO DI DOMANDA DI FINANZIAMENTO ALLA REGIONE, LA BANCA NON RISPONDE PER TARDIVA PRESENTAZIONE
L’INTERMEDIARIO FINANZIARIO È TENUTO AD ISTRUIRE LA PRATICA E VERIFICARE LA SUSSISTENZA DEI REQUISITI
Sentenza | Tribunale di Cosenza, dott.ssa Fulvia Piro | 26.02.2015 | n.306
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