Testo massima
Le trattative per la bonaria composizione della vertenza, non avendo quale precipuo presupposto l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria e non rappresentando, quindi, riconoscimento del diritto altrui ai sensi dell’art. 2944 cod. civ. non hanno efficacia interruttiva della prescrizione, (né possono importare rinuncia tacita a far valere la stessa, perché non costituiscono fatti incompatibili in maniera assoluta – senza cioè possibilità alcuna di diversa interpretazione – con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto dall’art. 2937, comma 3, cod. civ.) a meno che dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e si accerti che la transazione è mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione del credito e non anche all’esistenza di tale diritto.
E’ quanto affermato dalla Suprema Corte con sentenza n.18418 del 01/08/2013 con la quale i giudici di legittimità si sono soffermati, in particolare, sull’ambito di operatività dell’art. 2944 c.c. in tema di prescrizione.
Il caso in questione riguarda, infatti, una controversia in materia di lavoro tra una società per azioni, in qualità di datore di lavoro, e un suo dipendente, la cui domanda giudiziale, intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto alla cosiddetta promozione automatica ex art. 2103 c.c., era stata accolta in primo grado e confermata in secondo.
Con ricorso per Cassazione la società soccombente ha dedotto vizio di motivazione riguardo a tre motivi ritenuti decisivi e controversi. Tra questi, per quanto qui interessa, occorre prendere in considerazione quello concernente la presunta natura confessoria del verbale di accordo sindacale tentato dalle parti, ritenuta tale dalla sentenza impugnata e, invece, contestata dalla ricorrente.
Orbene, la Suprema Corte, pur rigettando il ricorso proposto dal datore di lavoro, ritenuto inammissibile per assenza di specificità nelle contestazioni ivi contenute e per mancata indicazione specifica e/o trascrizione del contenuto del documento ritenuto decisivo (comprovante il presunto riconoscimento del diritto da parte della ricorrente), ha avuto modo di svolgere, nella sentenza in commento, alcune osservazioni in ordine alla operatività della disciplina relativa alla interruzione dei termini di prescrizione, confermando, solo limitatamente a questo specifico punto, la tesi della società ricorrente.
Occorre rammentare che l’istituto di cui all’art. 2934 e ss. c.c., che riguarda l’estinzione dei diritti soggettivi per effetto del decorso di un determinato periodo di tempo, presuppone, come noto, l’inerzia ingiustificata del titolare del diritto: esso, quindi, non opera allorché sopraggiunga una causa che giustifichi l’inerzia stessa, così come nel caso in cui l’inerzia stessa venga meno.
Il codice civile prevede, infatti, due fattispecie che, in pendenza del termine prescrizionale, incidono sul decorso del periodo utile per provocare l’estinzione del diritto: queste sono la sospensione e l’interruzione.
Questa seconda figura giuridica si realizza o quando il titolare compie un atto che importa esercizio del suo diritto (art. 2943 c.c.) o perché il soggetto passivo effettua il riconoscimento dell’altrui diritto (art. 2944 c.c.). In tal modo, facendo venir meno l’inerzia, l’interruzione toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso; pertanto, dal verificarsi del fatto interruttivo comincia a decorrere, per intero, un nuovo periodo di prescrizione.
Con riferimento alla seconda ipotesi citata, aderendo ad un indirizzo consolidato, si è più volte affermato che la disposizione di cui all’art. 2944 c.c., che disciplina come detto l’interruzione del periodo di prescrizione, presuppone che il riconoscimento del diritto, elemento centrale di tale fattispecie, pur non richiedendo formule speciali, debba consistere in una ricognizione chiara e specifica del diritto altrui, univoca ed incompatibile con la volontà di non riconoscere il diritto stesso.
Ciò posto, nell’interrogarsi se un particolare atto o fatto sia idoneo a configurare il requisito posto dalla suddetta norma e meglio precisato dalla giurisprudenza, la pronuncia in esame ha escluso, in linea generale, che le trattative dirette a comporre bonariamente una vertenza integrino, da sé sole, il carattere richiesto dall’art. 2944 c.c. e di conseguenza ha affermato che esse, non avendo quale presupposto necessario l’ammissione totale o parziale della pretesa avversaria, non danno comunemente luogo ad un riconoscimento del diritto altrui e, pertanto, non sono idonee a produrre l’effetto interruttivo di cui alla richiamata disposizione.
Dall’altro lato, inoltre, la Cassazione esclude anche la possibilità di identificare nell’accordo transattivo una possibile rinuncia tacita alla prescrizione da parte di chi avrebbe interesse a farla valere, in quanto lo stesso non costituisce un fatto incompatibile in maniera assoluta con la volontà di avvalersi della causa estintiva dell’altrui diritto, come richiesto dall’art. 2937 c.c. comma 3.
In ultima analisi deve rilevarsi che il ragionamento cui è pervenuta la Suprema Corte in tale sentenza, si aggiunge ad un preesistente orientamento della giurisprudenza, precisando e specificando meglio la portata e gli effetti del tentativo di composizione bonaria di una lite ai fini della disciplina sulla interruzione della prescrizione. In passato, infatti, si è già affermato che le trattative per giungere alla transazione di una vertenza possono comportare l’interruzione della prescrizione, ai sensi della norma in questione, quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e, quindi, che la transazione è mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione e non anche all’esistenza di tale diritto (v. Cass. 16379/2009, Cass. 1642/2000).
Testo del provvedimento
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