ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza n. 22517 del 2/10/2013, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato l’ormai consolidato principio secondo il quale è pienamente legittima la notifica degli avvisi di accertamento tributari (Irpeg, Ilor, Iva) effettuata a mezzo di messo di conciliazione, anziché a mezzo del messo comunale, in quanto il primo rientra, tanto quanto il secondo, nell’apparato organizzativo del Comune. (Cass., 17/04/2001 n.5654; Cass. 12/05/2006 n.11062; Cass. 15/4/1994 n. 3594).
Il procedimento di notificazione, se riferito agli atti tributari, è elemento di fondamentale importanza in quanto non costituisce soltanto la particolare procedura mediante la quale un atto viene portato a conoscenza del suo destinatario, bensì integra la procedura che permette all’atto d’imposizione stesso di venire in essere: quest’ultimo esiste solo ed in quanto sia notificato al destinatario.
Il Giudice di legittimità ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ha conseguentemente cassato la sentenza emessa dalla Commissione Tribunale Regionale della Lombardia, che aveva ritenuto radicalmente nulle le notifiche degli avvisi di accertamento tributari relativi ad Irpeg, Ilor ed Iva, per essere state effettuate da un messo conciliatore, senza che fosse stato in alcun modo provato che tale soggetto avesse ricevuto formale delega dal messo comunale.
Sul punto si riscontra un consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui il messo di conciliazione rientra nell’apparato organizzativo del Comune e, conseguentemente a ciò, allo stesso, in quanto appartenente alla categoria più ampia dei messi comunali, può essere richiesto di effettuare la notificazione di un atto tributario.
Le precedenti pronunce della Corte di legittimità facenti riferimento alla medesima questione pongono all’attenzione diversi aspetti rilevanti della problematica in discorso. Con la pronuncia del 12/05/2006, n. 11062, è stato ad esempio sottolineato che, riguardo alle modalità di notificazione previste ex art. 60 del DPR 600/1972 , non esiste alcuna differenza tra il messo comunale e il messo di conciliazione e che, alla luce di quanto appena detto, ben può l’Amministrazione statale richiedere l’opera del messo di conciliazione al fine di effettuare una notificazione di atti tributari, stante l’appartenenza di quest’ultimo alla organizzazione comunale e, quindi, stante la sua appartenenza alla più ampia categoria dei messi comunali.
Secondo la Suprema corte, infatti, “le modalità di notifica previste dal Dpr n. 600 del 1973, art. 60, non comportano alcuna distinzione fra i messi di conciliazione e i messi comunali, appartenendo il messo di conciliazione all’apparato organizzativo del Comune (qualora non ne sia già un dipendente), collegato al Comune stesso da un rapporto di pubblico impiego, sicché l’Amministrazione dello Stato, avvalendosi della facoltà concessale dall’ordinamento positivo (Dpr n. 633 del 1973, art. 56 e Dpr n. 600 del 1973, art. 60) può richiedere che la notificazione di un atto tributario sia eseguita da un messo di conciliazione, quale appartenente alla più ampia categoria dei messi comunali”.
La Suprema Corte, quindi, ha cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia con rinvio ad altra sezione per pronunciarsi sulle questioni dichiarata assorbite, ritenendo pienamente legittima la notificazione dell’avviso di accertamento effettuata dal messo di conciliazione.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE
– ricorrente –
contro
alfa S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n.196/1/05 della Commissione Tributaria regionale della Lombardia, depositata il 14.12.2005;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi ad unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, respinte le eccezioni preliminari di inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, lo ha rigettato nel merito confermando la sentenza di primo grado di accoglimento dei ricorsi proposti da alfa s.p.a avverso l’avviso di accertamento relativo ad iperg ed ilor dell’anno 1995 e l’avviso di accertamento IVA relativo all’anno 1996.
In particolare, i Giudici di appello hanno ritenuto le notifiche dei suddetti avvisi affette da radicale nullità per essere state effettuate da messo conciliatore, senza che fosse stato provato che tale soggetto avesse ricevuto formale delega dal messo comunale.
Ha resistito con controricorso alfa s.p.a. la quale ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Motivi della decisione
0. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.
1. Il primo motivo di ricorso incidentale, seppure proposto in via condizionata, siccome involgente una questione pregiudiziale, va esaminato da primo.
Con detto mezzo – rubricato “violazione o falsa applicazione dell’art. 324 cpc., e D.Lgs. n.546 del 1992, artt.52 e 56; denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″ alfa s.p.a. deduce come la Commissione Tributaria Regionale sia incorsa in error in procedendo per non avere dichiarato l’appello inammissibile siccome investente una sola delle rationes decidendi sulle quali era fondata la sentenza di primo grado, con conseguente formarsi di cosa giudicata.
In particolare, la sentenza di primo grado (riportata integralmente in controricorso in ossequio al principio di autosufficienza) aveva ritenuto assorbente, su ogni altra questione, quale vizio della notificazione degli avvisi di accertamento il fatto che, nella relata di notificazione, non fosse stato individuato il destinatario e che l’atto era stato consegnato ad un soggetto, il cui nome e cognome non risultavano facilmente comprensibili, e che, comunque, non risultava essere soggetto legittimato al ritiro dell’atto per non essere a ciò addetto.
Secondo la prospettazione difensiva, con l’atto di appello, l’Agenzia delle Entrate si era limitata a censurare la sentenza nella parte in cui era stata statuita la giuridica inesistenza della notifica degli avvisi di accertamento in quanto effettuata da messo comunale in mancanza di rituale delega e, in quanto effettuata, mediante consegna a soggetto non abilitato, senza nulla dedurre in ordine alla questione, ritenuta assorbente da parte del Giudice di primo grado, in ordine alla circostanza che nella relata di notificazione non era stato individuato il soggetto destinatario della stessa notifica. Il motivo è infondato. Come evincibile dalla lettura della sentenza impugnata la Commissione Tributaria lombarda ha espressamente pronunciato sulle eccezioni di inammissibilità dell’appello rigettandole con la argomentazione che nelle motivazioni Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza di primo grado svolgendo le proprie eccezioni. Pertanto, mentre dal contenuto della sentenza di appello appare che l’Agenzia delle Entrate abbia investito ogni profilo della sentenza di primo grado, di contro la contribuente non ha, per il profilo considerato, riportato, in ossequio al principio di autosufficienza, l’integrale contenuto dell’atto di impugnazione, fornendone solo una sintesi inidonea allo scopo.
Ed invero, costituisce orientamento consolidato di questa Corte, quello per cui anche in caso di deduzione di vizio ex art.360 cpc., n. 4 “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura” (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 20.9.2006 n. 20405), e quanto alla sussistenza del requisito della “esposizione sommaria dei fatti di causa” di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), “è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (cfr. Corte cass sez. lav. 12.6.2008 n. 15808).
Da quanto esposto deriva il rigetto del motivo articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
2. Procedendo, quindi, all’esame del ricorso principale con l’unico motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art.60, in relazione all’art.360 n.3 cpc.” – la ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione Regionale lombarda per avere ritenuto necessaria la delega del messo comunale senza considerare che il messo di conciliazione rientra, comunque, nell’apparato del Comune sicchè l’Amministrazione finanziaria legittimamente può richiedere che la notificazione di un atto tributario venga eseguita da un messo di conciliazione, quale appartenente alla più ampia categoria dei messi comunali, senza la necessità di alcuna delega specifica.
2.1. Il motivo è fondato alla luce dei principi già fissati da questa Corte (Cass. n.5654 del 17/04/2001) secondo cui il messo di conciliazione, pur facendo parte di un ufficio statale (ora soppresso – L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 3) e, pur essendo sottoposto alla sorveglianza del relativo titolare (giudice conciliatore) ex art. 256 del R.D. n. 2271 del 1924, rientra, tuttavia, nell’apparato organizzativo del Comune, ed il rapporto di detto messo, che non sia già dipendente del Comune, ed il Comune medesimo, astrattamente configurabile sia in regime di autonomia che in regime di subordinazione, assume, nella seconda ipotesi, la natura di rapporto di pubblico impiego, sicchè l’amministrazione finanziaria dello Stato, avvalendosi della facoltà concessale dall’ordinamento positivo – sulla base del D.P.R. n.633 del 1972, art. 56, comma 1, e D.P.R. n.600 del 1973,art. 60, comma 1, lett. a, – può richiedere che la notificazione di un atto tributario sia eseguita da un messo di conciliazione, quale appartenente alla più ampia categoria dei messi comunali. Ed ancora (Cass.n.11062 del 12/05/2006) che “le modalità di notifica previste dal D.P.R. n.600 del 1973, art.60, non comportano alcuna distinzione fra i messi di conciliazione e i messi comunali, appartenendo il Messo di conciliazione all’apparato organizzativo del Comune (qualora non ne sia già un dipendente), collegato al Comune stesso da un rapporto di pubblico impiego, sicchè l’Amministrazione dello Stato, avvalendosi della facoltà concessale dall’ordinamento positivo (D.P.R. n. 633 del 1973, art. 56, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60) può richiedere che la notificazione di un atto tributario sia eseguita da un messo di conciliazione, quale appartenente alla più ampia categoria dei messi comunali (conf. Cass. n. 3594/94; id. n. 5654/01). Accolto il ricorso principale, alla luce dei principi fissati da questa Corte (n.8817 del 01/06/2012; n. 17219 del 09/10/2012)) secondo cui “la mancata riproposizione nel ricorso per cassazione delle argomentazioni esposte nell’atto di appello in relazione a motivi dichiarati assorbiti dal giudice di secondo grado non determina la definitività delle statuizioni del giudice di primo grado, in quanto sono inammissibili in sede di legittimità censure che non siano dirette contro la sentenza di appello, ma riguardino questioni sulle quali questa non si è pronunciata ritenendole assorbite, atteso che le stesse, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, possono essere nuovamente riproposte al giudice di rinvio”, la sentenza impugnata va cassata con rinvio affinchè la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, si pronunci sulle questioni dichiarate assorbite.
Ne consegue l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso incidentale, avente ad oggetto l’eccezione, sollevata già in primo grado e reiterata in appello, di invalidità della nomina del messo di conciliazione in continuità della consolidata giurisprudenza secondo cui il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza (non ricorrendo, altrimenti, l’interesse processuale a proporre ricorso per cassazione), cosicchè è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perchè non esaminate o ritenute assorbite, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (da ultima ord n. 23548 del 20/12/2012).
In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso incidentale e dichiarato inammissibile il secondo, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata con il rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria della Lombardia, la quale si pronuncerà sulle questioni dichiarate assorbite oltre a regolamentare le spese processuali di questo grado di giudizio.
PQM
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo di ricorso incidentale e dichiara inammissibile il secondo motivo;
in accoglimento del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 597/2013