Contributo a cura dell’Avv. Rodolfo Pierri
La decisione n. 20978 del 24.11.2020 del Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario – ABF[1] (di seguito anche solo “Collegio”) offre spunti di riflessione su alcuni dei temi affrontati in materia di azione risarcitoria promossa, contro le banche coinvolte, da un soggetto che, intendendo vendere un orologio, si era recato alla filiale della banca presso la quale era correntista per fare innanzi tutto controllare la regolarità dell’assegno circolare emesso da altra banca e offertogli, in pagamento del bene, dall’acquirente che l’accompagnava, poi risultato essere un truffatore.
1.-Accertamento della regolarità (“bene emissione”) dell’assegno
La pronuncia afferma la responsabilità della banca negoziatrice per avere comunicato al proprio cliente la conferma di “bene emissione” dell’assegno che costui stava per richiederle di presentare alla banca emittente per il pagamento, e ciò in quanto l’accertamento in parola sarebbe avvenuto attraverso una semplice telefonata alla filiale della banca che risultava aver emesso il documento, la quale, però, successivamente contestava di averla mai ricevuta e, quindi, di aver rilasciato una dichiarazione di “bene emissione” di tale assegno circolare.
Il Collegio fa discendere, con argomenti condivisibili, la responsabilità della negoziatrice da due elementi, e cioè: a) dall’assenza della diligenza richiesta al banchiere che svolge un incarico conferitogli dal cliente; b) dalla circostanza della creazione in via esclusiva da parte di terzi di un documento del tutto falso con le sembianze di un assegno circolare del quale l’emittente è, in effetti, solo apparente.
1.1.- Incarico di verificare la “bene emissione” e diligenza esecutiva
Rispetto alla prima motivazione è precisato che la banca: i) ove sia richiesta dal proprio correntista di verificare la “bene emissione” dell’assegno mediante contatto telefonico con la competente succursale dell’emittente, può legittimamente rifiutarsi di fornire assistenza al cliente[2], purché il diniego sia espresso in modo trasparente e conforme ai principi della correttezza; ii) può anche prestare l’assistenza in parola, sempre senza incorrere in responsabilità, sempreché dichiari contestualmente ed espressamente al cliente, in modo inequivoco, che non intende assumerla in alcun modo, non potendo assicurare il buon fine dell’operazione; iii) se dà semplicemente seguito alla richiesta del cliente, il contatto con la banca emittente e, soprattutto, la comunicazione da parte di questa del relativo riscontro devono avvenire secondo i criteri della diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c.
Si tratta, quanto ai punti sub i) e ii), di concetti derivanti dalle previsioni degli stessi contratti di conto corrente che il sistema creditizio usualmente propone alla clientela, secondo i quali gli incarichi conferiti da quest’ultima e indicati nel contratto (che tuttavia, in genere, non richiamano la verifica della “bene emissione” di assegni circolari da incassare) devono essere doverosamente svolti dalla banca, che però ne determina le relative modalità di esecuzione. Tuttavia, qualora ricorra un giustificato motivo, essa può rifiutarsi di assumere l’incarico richiesto, dandone tempestiva comunicazione al cliente, fermo restando che l’importo degli assegni bancari e circolari è accreditato con riserva di verifica e salvo buon fine ed è disponibile appena trascorsi i termini contrattualmente stabiliti.
Che, infine, la diligenza da osservare nell’espletamento dell’attività bancaria debba essere quella professionale disciplinata dall’art. 1176, comma 2, c.c., è ormai opinione talmente pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza, da esimere da qualsivoglia indicazione al riguardo.
Da ciò il Collegio inferisce che la diligenza della banca negoziatrice nel controllare la regolarità di un assegno sia commisurata a quella particolarmente qualificata dell’accorto banchiere, in virtù della quale il riscontro dell’emittente alla richiesta di bene emissione deve avere almeno la forma scritta[3], perché solo osservando tale cautela la negoziatrice riesce ad evitare di incorrere in responsabilità[4] per il legittimo affidamento[5] ingenerato nel cliente circa l’autenticità dell’assegno del quale poi – nonostante la conferma di bene emissione – non ha ottenuto l’incasso[6].
1.2.- L’assegno falso in ogni sua parte sin dall’origine
Il secondo motivo posto a fondamento della responsabilità della sola banca negoziatrice consiste nella modalità di realizzazione della falsità da parte dei terzi, per aver “prodotto” ex novo il documento, spacciandolo per assegno, nel rispetto dei “tipi” generalmente usati dalla banca apparente emittente, la quale, però, non contribuisce in alcun modo alla “creazione”[7] dello stesso[8]. Si tratta perciò di un comportamento neppure indirettamente riconducibile a quest’ultima e rispetto al quale essa non ha alcuna preventiva possibilità – e quindi nessun obbligo, esteso o meno che sia – di controllo o di intercettazione attraverso interventi di natura organizzativa e similari, con la conseguenza di andare esente da ogni responsabilità[9] se il documento contraffatto venga da altri negoziato e posto all’incasso.
1.3.- Intromissione nella linea telefonica
Il Collegio, nel sottolineare l’assunto illustrato al paragrafo precedente, ha anche ritenuto di precisare che ciò non varrebbe in modo assoluto, in quanto la banca apparente emittente dell’assegno potrebbe comunque incorrere in (cor)responsabilità laddove avesse reso possibile l’acquisizione da parte della negoziatrice di informazioni inesatte circa la regolare emissione del documento.
L’affermazione suscita perplessità considerando il relativo specifico corredo motivazionale, atteso che il Collegio ritiene sussistere tale responsabilità quando l’apparente emittente difetti “d’organizzazione nel controllo delle proprie linee telefoniche abusivamente intercettate da terzi”, anche se ciò sarebbe ravvisabile “solamente quando consti una sua inerzia, o un suo eccessivo ritardo, nel risolvere o contrastare una tale intromissione, una volta che se ne sia acquisita notizia”.
Tale orientamento – fatto proprio dall’ABF in numerose occasioni, ma sconosciuto o quasi, a quanto consta, alla giurisprudenza ordinaria[10] – non risulta appagante e sembra il frutto di una ripetizione forse non sempre, e quanto meno non del tutto, pienamente consapevole della relativa portata e delle situazioni di fatto alle quali si è preteso di applicarlo.
Ed invero, il riferimento alle “proprie” linee telefoniche[11] risulta essere un presupposto contrastante con la realtà della rete telefonica italiana, che – come è noto – non è di proprietà dell’utente ma di TIM (già Telecom Italia) SpA, sino al punto di accesso della parte esterna della rete stessa alla proprietà dell’utente. Senza voler entrare in dettagli tecnici di cui chi scrive non ha specifica competenza[12], basta dire – ai fini che qui rilevano – che nelle strade pubbliche sono ubicati, da parte di TIM SpA, gli “armadi ripartilinea” della rete primaria, da cui si diramano cavi (detti di rete secondaria) che raggiungono i distributori (armadi di distribuzione) o le chiostrine (scatole di derivazione), ovvero piccoli box (colonnine) che contengono la parte iniziale del cavo con destinazione la sede dell’utente.
In altre parole, dagli “armadi ripartilinea” inizia il c.d. “ultimo miglio”, che arriva fino al punto di terminazione dell’edificio (PTE) servito o alla “borchia d’utente”, e anche questo tratto è di proprietà e sotto la responsabilità di TIM SpA per i casi di rete tradizionale in rame, ma può essere di altri operatori telefonici per la rete in fibra ottica. Questi ultimi, pertanto, per i servizi di telefonia forniti all’utenza utilizzano integralmente la rete in rame di TIM SpA oppure, ma solo nel c.d. “ultimo miglio”, la propria rete in fibra ottica, con la conseguenza che nessuno, utente privato o operatore telefonico, appare in grado di incidere sui comportamenti di TIM SpA rispetto alle caratteristiche e alla custodia della propria strumentazione posizionata lungo la rete primaria e secondaria.
Ne consegue che ogni valutazione circa la responsabilità,che può ricadere su un qualsiasi utente, per aver reso possibile l’intromissione nella (o la deviazione della) linea (rete) utilizzata dall’operatore telefonico che gli fornisce il relativo servizio, non può prescindere dall’individuazione del punto lungo la rete ove sia avvenuto l’abusivo intervento di terzi, essendo ovvio che l’utente – salve particolari cause di esenzione derivanti dal fatto concreto – risponde senz’altro della violazione della rete telefonica quando questa si è verificata nel tratto di sua pertinenza (in genere, come precisato innanzi, dal PTE o dalla “borchia d’utente” fino all’apparecchio telefonico interno utilizzato), mentre se l’intromissione avviene altrove, ed in particolare lungo la rete primaria, o anche secondaria quando quest’ultima fosse sempre di TIM SpA, non appare affatto scontato ritenere l’utente responsabile di situazioni verificatesi al di fuori di ogni suo potere d’intervento[13].
Il proprietario della rete telefonica primaria e secondaria potrebbe, invero, essere considerato un “ausiliario” dell’utente, e quindi questi risponderebbe del suo operato ai sensi degli articoli 1228 e 2049 c.c., ma il presupposto di tali previsioni è che l’ausiliario agisca su incarico dell’obbligato e che costui “abbia il potere di determinare e di controllare l’operato dell’ausiliario”. “Estraneo alla figura dell’ausiliario è allora il terzo che gestisce o è incaricato di un servizio pubblico o che in generale svolge la sua attività al di fuori di ogni ingerenza del debitore”[14], e qui sembra che il Maestro, nel formulare tali concetti, abbia preso come modello il proprietario della rete telefonica primaria e secondaria, che rispetto alla stessa opera in regime di monopolio, e quindi in una condizione che lo vede solo tenuto a rispettare l’obbligo di contrarre e la parità di trattamento ex art. 2597 c.c.
Le suddette osservazioni conservano la medesima rilevanza pure laddove uno o più tratti della rete telefonica non fossero rappresentati da elementi fisici in rame ma da onde radio o supporti in fibra ottica, come avviene per la parte terminale delle reti della telefonia mobile e di altri sistemi (VOIP o similari), anche se in presenza di impianti con tali caratteristiche tecnologiche il problema, per vero, neppure si porrebbe, visto che l’intrusione “man in the middle” non sarebbe possibile perché la trasmissione di dati e voci è presidiata da autenticazioni “end to end”, che rendono il sistema inviolabile dall’esterno.
1.4.- Prova dell’intromissione nella rete telefonica
Quasi a bilanciare i potenziali effetti dell’inappagante affermazione circa gli obblighi “d’organizzazione nel controllo delle proprie linee telefoniche abusivamente intercettate da terzi”, il Collegio ha inteso evidenziare che l’eventuale intromissione nella rete telefonica “deve essere oggetto di rigorosa prova da parte di chi l’afferma, ove non ammessa dallo stesso intermediario coinvolto”. Quello che colpisce in questo caso non è l’affermazione in sé, del tutto naturale alla luce degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c.[15], quanto piuttosto l’aggettivo riferito alla prova, con il che evidentemente si è inteso giustamente sottolineare che quest’ultima deve essere raggiunta attraverso elementi caratterizzati da assoluta precisione ed esattezza.
1.5.- Rilevabilità della falsificazione
Se il beneficiario dell’assegno falso o la banca negoziatrice riuscissero a provare l’intromissione nelle linee telefoniche della banca apparente emittente e a dimostrare che ciò sia avvenuto perché quest’ultima non abbia osservato le precauzioni organizzative e di controllo preventivo che ci si può ordinariamente attendere in casi della specie, ciò per il Collegio integrerebbe gli estremi della responsabilità in capo all’apparente emittente dell’assegno falso, anche se la contraffazione fosse evidente (come, p. es., nel caso di documento con codici ABI e CAB errati)[16], in quanto ciò “non rappresenterebbe, di per sé, una causa esimente della responsabilità dell’emittente”[17].
Il ragionamento è elaborato dal Collegio, come indicato in un precedente passaggio della motivazione, “al di là di ogni valutazione del grado di diligenza esigibile dalla banca negoziatrice nella verifica di difformità riguardanti gli aspetti esteriori del titolo nella vigenza della procedura CIT”.
La procedura CIT[18] non incide però sui presupposti della responsabilità della banca negoziatrice, visto che attraverso il Cap. 6 (Modalità e criteri di incasso degli assegni) dell’Accordo interbancario per il servizio di incasso di assegni bancari e altri titoli di credito pagabili in Italia[19] le banche hanno convenuto “che, a decorrere dal 9 luglio 2018, la presentazione al pagamento degli assegni è effettuata esclusivamente in forma elettronica tramite la procedura ‘Check Image Truncation’”, limitandosi poi a stabilire, quanto alle “Azioni della banca trattaria/emittente e adempimenti della banca negoziatrice” che nel “caso di assegni non comunicati impagati entro i termini previsti, resta impregiudicato il diritto della banca trattaria o emittente, (…) [di]agire (…) nei confronti della banca negoziatrice, in caso di responsabilità totale o parziale, per dolo o colpa, nella negoziazione in generale e, in particolare, nelle attività di controllo della completezza e della regolarità formale dei requisiti dei titoli, alla luce delle disposizioni di Legge e di quanto previsto dal presente Capitolo, della mancanza di altre irregolarità o di palesi alterazioni rilevabili con l’ordinaria diligenza e dell’identità e della legittimazione cartolare del cedente all’incasso”.
Il grado di diligenza esigibile dalla banca negoziatrice ai fini della verifica di difformità riguardanti gli aspetti esteriori del titolo resta quindi da valutare anche quando l’assegno sia stato presentato, come ormai avviene praticamente sempre, tramite la procedura CIT[20], così come non può escludersi in astratto che l’assenza di tale grado di diligenza possa comportare l’esenzione da ogni responsabilità da parte dell’apparente emittente in virtù del principio della “causa efficiente”[21].
2.- Rilievo della condotta del danneggiato
Il Collegio ha escluso la responsabilità concorrente del beneficiario dell’apparente titolo di credito ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c.[22], per aver consegnato l’orologio a uno sconosciuto contattato via internet senza attendere l’accredito effettivo (i.e. definitivo) dell’assegno consegnatogli per il pagamento del relativo prezzo, avendo egli fatto ragionevole affidamento sulla dichiarazione di “bene emissione” comunicatagli dalla banca negoziatrice[23].
L’affermazione appare poco convincente, non foss’altro perché l’ordinaria diligenza che dovrebbe in ogni caso osservare il danneggiato e il ragionevole affidamento posto da questi verso la prestazione professionale richiesta alla banca operano su piani diversi dal punto di vista temporale, e l’uno non esclude l’altra[24], ma anzi è naturale che il secondo sia preceduto dalla prima.
Sembra invero indiscutibile che chiunque entri in contatto, per concludere un affare, con un altro soggetto provveda preliminarmente ad identificarlo nel modo più adeguato, anche per valutarne l’affidabilità[25] e comprendere, così, la serietà o meno della trattativa che sta per iniziare, in modo da fronteggiare il rischio di essere raggirato[26] attraverso i più vari meccanismi, che da sempre riempiono le cronache dei mezzi di informazione, e che sono noti a tutti, anche per frequenza e caratteristiche specifiche.
Verificate le complete generalità del potenziale acquirente, rappresentate da nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e codice fiscale di costui (nonché, nel caso questi dichiarasse di svolgere un’attività economica, anche dagli estremi della sede, della partita IVA, dell’indirizzo PEC ecc.)[27], il venditore potrebbe subito comprendere se ha necessità di ottenere anche qualche referenza e, soprattutto, se vi è una correlazione territoriale[28] tra il soggetto adeguatamente identificato e la banca emittente l’assegno circolare che gli viene offerto in pagamento.
L’aver effettuato questi minimali adempimenti rappresenta la prima fase dell’ordinaria condotta dell’uomo medio, che si completa con la seconda, consistente con la richiesta alla banca, della quale è correntista, di verificare previamente la regolarità dell’assegno che gli è stato offerto in pagamento, del quale poi, se risulterà immune da difetti, la stessa banca curerà l’incasso.
L’affidamento che il cliente ripone nell’operato della banca non esime costui dal dover evitare condotte inutilmente imprudenti, come hanno recentemente affermato le Sezioni Unite della Suprema Corte in ordine a una vicenda relativa al pagamento di un assegno a un soggetto non legittimato, e ciò perché l’assegno era stato trafugato durante la trasmissione effettuata per posta ordinaria a favore dell’effettivo beneficiario, che non l’aveva mai ricevuto[29].
La motivazione della sentenza in parola – oltre ad offrire una puntuale ricostruzione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di pluralità di eventi causali e di interruzione del nesso causale[30], che può essere anche l’effetto del comportamento dello stesso danneggiato -chiarisce altresì che “quando invece il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l’evento dannoso, ma abbia solo concorso alla produzione di quest’ultimo, trova applicazione l’art. 1227 c.c., comma 1” e tali principi sono da applicare anche al comportamento del danneggiato “coevo o anteriore, purché legato da nesso eziologico con l’evento dannoso”, atteso “che il fatto colposo cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., comma 1, comprende qualsiasi condotta negligente o imprudente che abbia costituito causa concorrente dell’evento”.
Dando, quindi, continuità a tali principi, le Sezioni Unite hanno riconosciuto che “qualora (…) la sottrazione [dell’assegno] sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario[31] dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile”, dovendosi anche considerare che per l’art. 1227, comma 1, c.c., “la colpa non costituisce un mero criterio d’imputazione soggettiva del fatto, ma la misura della rilevanza causale dello stesso”.
Ne consegue che la spedizione di un assegno per posta ordinaria risulta essere condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente perché “si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, (…) ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù dell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c., in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto”.
La decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF non ha seguito questo orientamento, senza peraltro far cenno all’eventuale dissenso rispetto allo stesso, che, se adeguatamente motivato, avrebbe senz’altro rafforzato l’autorevolezza di un organismo che ha indubbi meriti ai fini del miglioramento dei rapporti fra gli intermediari del settore bancario-finanziario e la relativa utenza.
3.- Il danno risarcibile
Infine, il Collegio di Coordinamento dell’ABF si sofferma sull’aspetto principale del procedimento, attinente, per un verso, al titolo in base al quale la banca negoziatrice sarebbe tenuta a ristorare il danneggiato del pregiudizio subito e, per altro verso, optando per la sola prospettiva risarcitoria, l’estensione di quest’ultima, e cioè se limitata al solo danno emergente oppure riferibile anche al lucro cessante.
Rispetto a ciò, il Collegio esclude, a giusta ragione, che la prestazione offerta dalla banca al cliente “garantisca” a quest’ultimo la bene emissione del titolo, e quindi sia in grado di costituire un nuovo e specifico rapporto obbligatorio fra le stesse parti, per cui ciò non genera un credito di natura contrattuale del secondo verso la prima né a titolo fideiussorio, o più genericamente di garanzia, né quale promessa del fatto del terzo o almeno quale fonte di specifica responsabilità precontrattuale[32]. Ritiene piuttosto il Collegio che la pretesa del portatore dell’apparente assegno verso la banca sia necessariamente di natura risarcitoria, risolvendosi la pura e semplice comunicazione della dichiarazione di “bene emissione” da parte della banca negoziatrice, nell’assunzione di un obbligo di protezione, “senza prestazione principale”, che deriva dal contatto sociale qualificato tra le parti (banca e cliente della stessa).
Quanto all’individuazione del pregiudizio concretamente subito dal danneggiato, il Collegio ritiene che includa, oltre al danno emergente[33], anche il lucro cessante rappresentato dalla differenza tra il valore intrinseco della merce e il profitto derivante dal prezzo concordato con il truffatore, per cui l’ammontare totale corrisponderebbe esattamente all’importo del titolo oggetto di falsificazione.
Questa conclusione contrasta con l’orientamento della giurisprudenza penale, secondo la quale il reato di truffa (art. 640 c.p.) sussiste allorquando si verifica un danno, ovvero quando viene violato l’equilibrio patrimoniale della vittima, che subisce “un’effettiva” perdita economica, la quale può sostanziarsi sia nel danno emergente per la perdita di un bene patrimoniale che nel lucro cessante per il mancato acquisto di un’utilità economica[34]. Il danno, quindi, pur sotto forma di lucro cessante, deve essere “effettivo”, e cioè deve essere rappresentato da una reale entità, non da un’aspettativa o da un’ipotetica previsione, per cui ove se ne richieda al giudice il riconoscimento, anche in sede civile, ne deve essere data la prova ai sensi degli articoli 2697 c.c. e 115 c.p.c.
L’accordo negoziale che genera il rilascio dell’apparente assegno è viziato sin dall’origine in quanto il malfattore non intende porre in essere un’effettiva compravendita, ma solo una parvenza di questa per appropriarsi del bene senza riconoscere al proprietario dello stesso alcuna controprestazione, per cui anche la determinazione del relativo prezzo è solo fittizia, essendo l’interesse del truffatore non quello di ottenere il miglior (e più basso) prezzo possibile attraverso una seria trattativa, ma solo quello di indurre la controparte ad accettare in pagamento l’assegno falso in un termine molto breve.
Ora, se è vero che il contratto derivato dalla truffa non è nullo ma annullabile ai sensi dell’art. 1439 c.c. – atteso che il dolo costitutivo del delitto ex art. 640 c.p. non è ontologicamente diverso da quello che vizia il consenso negoziale[35], la cui volontà nella specie è condizionata dagli artifizi e raggiri dell’azione truffaldina, che in tal modo altera la realtà – appare altrettanto indubitabile che ciò valga nei confronti del truffatore, mentre, anche dal punto di vista della coscienza sociale, risulta difficile ritenere obbligato un terzo rispetto al contenuto di un contratto la cui invalidità è subordinata, per la disciplina civilistica, alla decisione del danneggiato di esperire la relativa azione.
In altre parole, il soggetto che ha subito il pregiudizio ha la libertà di far dichiarare l’invalidità dell’accordo negoziale relativo a un delitto che prevede la cooperazione artificiosa della vittima[36] ovvero, nel caso fosse per lui più conveniente, di agire in base al contratto contro l’autore della truffa, ma non sembra possibile ritenere che gli effetti di questo contratto – che il contraente truffato non intende far invalidare esclusivamente per calcolo – possano riflettersi in qualche modo anche nei confronti di un terzo al quale, proprio in quanto tale, il contratto è comunque inopponibile ex art. 1372 c.c., dovendosi escludere che tra i “terzi” richiamati da questa norma vi possano essere anche i soggetti obbligati verso una delle parti per un titolo che non deriva dal contratto scaturito dalla truffa, essendo questo (o, meglio, la sua conclusione) mera occasione dell’obbligazione del terzo, del tutto autonoma rispetto al contratto medesimo.
E il Collegio – dopo aver escluso che la responsabilità della banca negoziatrice consista nel mancato pagamento di un assegno falso[37] – valorizza proprio questa autonomia per ravvisare la fonte dell’obbligazione della stessa negoziatrice nel fatto di aver comunicato al proprio cliente la dichiarazione di “bene emissione” del documento poi rivelatosi contraffatto, assumendo così, secondo la motivazione della decisione, la piena responsabilità di quanto riferito. Ciò alla stessa stregua – in applicazione del criterio interpretativo di carattere “sistematico” – della “conferma del credito” di cui all’art. 1530 c.c., a seguito della quale il cliente si è privato di un bene per il quale aveva concordato un “prezzo” che non è entrato nel suo patrimonio, pur dando atto lo stesso Collegio che tale prezzo derivava dalla truffa ordita dal terzo acquirente, di cui questi potrebbe essere chiamato a rispondere in ogni sede (anche se, nella realtà, a rispondere non sono mai, o quasi mai, i truffatori).
La stringatissima motivazione sul punto si regge quindi unicamente sul testuale inciso “arg. in chiave sistematica anche ex art. 1530 c.c.”, che appare insufficiente e poco convincente.
Ed invero, l’interpretazione sistematica, di creazione dottrinale-giurisprudenziale, ha la funzione di individuare la “ratio” di una specifica disposizione, che non risulta chiara (perché, p. es., di plurimo significato) seguendo il criterio letterale ai sensi dell’art. 12, c. 1, delle preleggi; per superare l’ambiguità della disposizione, e quindi per individuarne il senso adeguato alla vicenda oggetto di giudizio, si tiene allora conto del significato che risulta essere coerente con quello di altre norme, che si assumono quindi quale punto di riferimento all’interno del sistema giuridico[38].
Peraltro, il puro e semplice richiamo al criterio di interpretazione sistematica (che la Suprema Corte ha recentemente definito “flebile”[39]) non ha senso compiuto, visto che il criterio non è unico, ma si distingue in vari tipi[40], per cui ai fini dello svolgimento della propria funzione ha bisogno di essere esplicitato attraverso l’indicazione del percorso argomentativo seguito, altrimenti si tratta solo di un’affermazione “indefinita”[41].
Nel caso deciso dall’ABF e oggetto di questo commento non vi era una disposizione di interpretazione problematica, ma il Collegioè andato alla ricerca, avendone riscontrato la mancanza, di una fattispecie normativa applicabile alla concreta situazione, la qual cosa è invece il presupposto per il ricorso al criterio di interpretazione analogico, espressamente previsto dall’art. 12, c. 2, delle preleggi.
Evidentemente, però,l’analogia non è stata ritenuta utilizzabile[42], e le ragioni si possono anche intuire: a) la similitudine tra la vicenda trattata dall’ABF e la fattispecie dell’art. 1530, c. 2, c.c. è quantomeno dubbia, perché il servizio di “bene emissione” è, a quanto consta, offerto dalle banche a titolo gratuito[43], mentre il contratto di cui all’art. 1530 c.c. è senz’altro oneroso; b) il comma 2 di tale ultima disposizione, che disciplina la “conferma del credito” evocata dal Collegio, ha natura di ius singulare[44] in ragione del sistema di opponibilità delle eccezioni ivi previsto.
E allora, in conclusione, forse vale la pena rammentare l’ammonimento di un insigne Giurista, per il quale “la giustizia della sentenza sta nel cammino seguito pel risultato”[45].
NOTE
[1] Pubblicata dal sito internet dell’ABF, ma inviata dall’Associazione Conciliatore BancarioFinanziario ai propri associati fin dal dicembre 2020.
[2] Così, Cass., 9.6.1998, n. 5659, in www.leggiditalia, dalla quale traspaiono, almeno in parte, anche gli altri due successivi assunti. V. anche, in analogo senso, Trib. Torino, 22.1.2020, Giudice Conca, in www.dirittodelrispamio.
[3] In realtà, non sembra essere rilevante la forma della comunicazione, che è certamente libera in assenza di specifiche disposizioni al riguardo, quanto piuttosto la certezza che la stessa provenga effettivamente dalla banca emittente. Ad es., Trib. Roma, 19.9.2019, n. 17799, Giudice Iannaccone, inedita, ha ritenuto doveroso, ai fini dell’esclusione della responsabilità, la richiesta di “bene emissione” avanzata via posta elettronica. Per la forma scritta della risposta si è invece espresso Trib. Chieti, 14.3.2019, n. 189, Giudice Cozzolino, inedita; nello stesso senso, tra le pronunce più recenti:ABF – Collegio di Torino, n. 20479/2020; ABF – Collegio di Milano, n. 19200/2020; ABF – Collegio di Milano, 18335/2020, che richiama anche ABF – Collegio di Bologna, n. 7509/2020.
[4]Poco perspicuo appare in proposito il richiamo del Collegio al “principio di autoresponsabilità per le informazioni inesatte rese nel corso del rapporto contrattuale”, sia perché tale principio è da ritenere applicabile al comportamento del danneggiato, sia perché dei due precedenti giurisprudenziali citati al riguardo dal Collegio, uno (Cass., n.10492/2011) tratta aspetti diversi, mentre l’altro, e cioè Cass., 24084/2008, ha confermato la decisione del giudice di appello, che aveva escluso la responsabilità della banca.
[5] In ordine all’affidamento derivante da informazioni inesatte, cfr.: Cass., 5.7.2000, n. 8983, in www.leggiditalia; Cass., 15.3.1999, n. 2284, ivi; Cass., 9.6.1998, n. 5659, ivi.
[6] In tal senso, tra gli altri: ABF – Collegio di Coordinamento, n. 7283/2018; ABF – Collegio di Roma, n. 20544/2019; ABF – Collegio di Torino, n. 10545/2019. V. anche, quanto al criterio di valutazione della responsabilità per colpa, la successiva nota 43.
[7] La “creazione” è, secondo la definizione che ne danno i dizionari della lingua italiana, la “produzione dal nulla”, ovvero “l’atto di far nascere dal nulla” qualcosa.
[8] Diverso è il caso di un assegno effettivamente emesso dalla banca e poi alterato da terzi in qualche elemento oppure quando il falsificatore utilizza i foglietti in bianco sottratti alla (o smarriti dalla) stessa banca che figura quale emittente.
[9] Così già Trib. Roma, 19.9.2019, n. 17799, Giudice Iannaccone, inedita; ABF – Collegio Milano, n. 19200/2020; ABF – Collegio di Milano, n. 18335/2020; ABF – Collegio Roma, n. 6838/2019.
[10] Se si esclude Trib. Torino, 22.1.2020, Giudice Conca, in www.dirittodelrispamio, con una motivazione che sul punto assume il carattere di apoditticità e di illogicità (p. es., l’apparente emittente ne risponderebbe anche ove segnalasse tempestivamente gli inconvenienti al gestore telefonico), ma forse di tali incongruenze si è reso conto lo stesso giudicante visto che fa infine discendere la responsabilità dell’apparente emittente da una diversa circostanza, e cioè per non aver informato il sistema bancario delle intrusioni avvenute nella rete telefonica.
[11] La locuzione linea telefonica è usata, secondo il significato attribuitole dai tecnici del settore, per indicare un servizio offerto da un operatore telefonico, soprattutto di telefonia fissa, ma spesso, nel linguaggio corrente, viene utilizzata – e questo sembra il senso assegnatole dal Collegio dell’ABF – per intendere la linea fisica (cioè la strumentazione, come i cavi ed altro) per trasmettere le conversazioni.
[12]Per le indicazioni che seguono e quelle appena precedenti si è preso spunto da una relazione predisposta da CONVERGENZE SpA, azienda autorizzata dal competente Ministero a svolgere l’attività di gestore telefonico, che chi scrive ha avuto modo di leggere.
[13]Trib. Pescara, 13.9.2018, n. 1330, Giudice Falco, inedita, ha ritenuto esente da responsabilità la banca emittente putativa del documento per mancanza di prova che le intromissioni telefoniche fossero avvenute all’interno dei locali della stessa, mentre dagli atti era emerso che la truffa era stata perpetrata da terzi ignoti al di fuori di qualsiasi collegamento effettivo riconducibile a detta banca.
[14] Il testo virgolettato è di BIANCA, Diritto Civile, vol. 5°, La responsabilità, Giuffré, 1994, 63; nello stesso senso, v., tra i più recenti arresti giurisprudenziali: Cass., 13.2.2015, n. 2964, in www.leggiditalia; Trib. Potenza, 20.3.2020, ivi; Trib. Potenza, 4.2.2015, ivi; Trib. Salerno, 6.5.2014, ivi; Trib. Salerno, 28.2.2014, ivi.
[15] Secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (agg. 12.8.2020), “La decisione sul ricorso è assunta sulla base della documentazione prodotta dalle parti nell’ambito dell’istruttoria, applicando le previsioni di legge e regolamentari in materia” (sez. VI, § 3), così come “Il Collegio di coordinamento individua il principio di diritto e ne fa applicazione al caso concreto”, per cui è indubbio che l’ABF debba decidere secondo diritto.
[16] V. invece, condivisibilmente, ABF, Collegio di Milano, n. 18335/2020, che richiama la decisione n. 202/2020 dello stesso Collegio, secondo cui sussiste la responsabilità della banca negoziatrice che non abbia rilevato l’erronea indicazione del codice CAB presente sull’assegno (che individua la filiale della banca che ha emesso l’assegno, mentre il codice ABI individua la banca emittente), atteso che i relativi dati possono essere verificati mediante un semplice controllo della sezione “Albi ed Elenchi” della Banca d’Italia (accessibile gratuitamente da chiunque al sito internet https://www.bancaditalia.it/ compiti/vigilanza/albi-elenchi/). V. anche, per l’analogo caso della responsabilità della banca negoziatrice per aver difettosamente identificato il beneficiario di un assegno, Cass., 17.1.2019, n. 1049, sulla scia di Cass., SS.UU., 21.5.2018, n. 12477, entrambe in www.leggiditalia.
[17] In proposito è evocata la responsabilità dell’emittente – in passato talune volte affermata da parte della dottrina e della giurisprudenza – per le attività poste in essere dalla negoziatrice quale mandataria della prima in virtù di un’espressa o tacita autorizzazione a negoziare i propri titoli, ma ciò è indicato in via astratta perché nel caso sottoposto all’esame del Collegio il documento era stato creato del tutto indipendentemente dalla volontà o da comportamenti dell’apparente emittente, diversamente da quanto avviene nelle ipotesi descritte alla precedente nota 8 e testo corrispondente.
[18] Acronimo di “Check Image Truncation”. Detta procedura – definita nel rispetto del Regolamento della Banca d’Italia del 22.3.2016 [Regolamento ex art. 8, comma 7, lett. e), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106], in G. U. n.100 del 30.4.2016 – stabilisce, secondo Trib. Padova, 30.9.2020, Giudice Stocco, in iusletter.com, una “ripartizione – anche verso terzi, stante la natura normativa dei provvedimenti citati – del rischio tra istituto emittente e istituto negoziatore, attraverso l’individuazione di specifici ambiti di controllo a carico dell’uno e dell’altro”.
[19] Allegato 2 alla circolare ABI, Serie Tecnica n. 12 del 4 luglio 2018.
[20] In tal senso, cfr., tra le tante: ABF – Collegio di Milano, n. 18335/2020; ABF – Collegio di Milano, n. 14582/2019; ABF – Collegio di Milano, n. 7988/2019.
[21] V. la successiva nota 30.
[22] Ma per la sussistenza del concorso di colpa, differentemente graduato, ex art. 1227 c.c., v., tra gli altri, più di recente: Trib. Padova, 30.9.2020, Giudice Stocco, in iusletter.com; Trib. Torino, 22.1.2020, Giudice Conca, in www.dirittodelrispamio; Trib. Roma, 19.9.2019, n. 17799, Giudice Iannaccone, inedita; Trib. Chieti, 14.3.2019, n. 189, Giudice Cozzolino, inedita; ABF – Collegio di Milano, n. 18335/2020; ABF – Collegio di Milano, n. 14582/2019; ABF – Collegio di Milano, n. 7988/2019.
[23] Per il Collegio alla banca negoziatrice sarebbe anche spettato di identificare il terzo acquirente che aveva accompagnato presso i suoi sportelli il correntista che richiedeva di accertare la “bene emissione”, ma non è precisato a quale titolo e, soprattutto, in virtù di quale obbligazione la banca negoziatrice fosse tenuta all’identificazione di questo soggetto, rispetto al quale sembrerebbe mancare una relazione in grado di giustificare l’accertamento della specie.
[24] Per il Collegio di Coordinamento dell’ABF, invece, visto che il correntista si era recato in banca proprio per avere conferma dell’autenticità del titolo e aveva ottenuto una risposta affermativa,“sarebbe assurdo ravvisare nel suo comportamento una qualche colpa concorrente con quella dell’intermediario”, per cui si dovrebbe prescindere dal valutare la sua responsabilità ai fini della causazione del danno da egli stesso subìto.
[25] E a maggior ragione quando l’operazione riguardi beni del valore di alcune migliaia o addirittura decine di migliaia di euro.
[26] Scorrendo le decisioni dell’ABF e della giustizia ordinaria si evince che truffe della specie sono poste in essere soprattutto a danno di chi offre in vendita orologi di pregio, autovetture, capi di abbigliamento e altri beni mobili facilmente collocabili. Nella gran parte dei casi, i truffatori si rendono bene accetti ai venditori perché rispondono quasi immediatamente al loro annuncio e si dichiarano anche disposti a pagare senza batter ciglio il prezzo richiesto, pure se questo non è allettante.
[27] Ricavabili dai relativi documenti ufficiali, di cui occorrerebbe conservare copia, la qual cosa può essere anche un deterrente per i truffatori, i quali di fronte a tale diligenza potrebbero essere indotti a desistere dai loro propositi illeciti.
[28] Considerata l’odierna diffusione della rete degli sportelli bancari, presenti anche nei comuni più piccoli, dovrebbe destare sospetto la mancata coincidenza tra la residenza del potenziale acquirente e la sede della filiale della banca che figura quale emittente dall’assegno.
[29] Cass., SS. UU. 28.5.2020, n. 10079, in www.leggiditalia, e la “gemella” Cass., SS. UU., 26.5.2020, n. 9769, ivi, che modificano il precedente orientamento espresso da Cass., SS.UU., 21.5.2018, n. 12477.
[30] Secondo la prevalente opinione di dottrina e giurisprudenza, le regole del nesso eziologico presuppongono il principio della “causa efficiente”, secondo il quale l’evento deve pur sempre essere riferibile ad una condotta giuridicamente rilevante, che si inserisca nel nesso causale; quest’ultimo, infatti, è da ritenere sussistente quando un’azione renda superflue, rispetto all’evento, eventuali altre condotte, le quali ultime, quindi, sono caratterizzate da inadeguatezza causale dell’evento medesimo.
[31] Per la valorizzazione di tale profilo in un caso di assegno circolare falsificato per grave negligenza di colui che aveva richiesto il titolo alla banca emittente, v. Trib. Padova, 30.9.2020, Giudice Stocco, in iusletter.com.
[32] Il Collegio valuta quest’ultima ipotesi, che poi scarta, in quanto nel caso di specie la banca che aveva comunicato la “bene emissione” al proprio cliente era intervenuta nel corso dello svolgimento di trattative fra questi e terzi.
[33] Di recente è stato invece ritenuto che il pregiudizio sia da limitare al solo danno emergente, tra gli altri da: Trib. Torino, 22.1.2020, Giudice Conca, in www.dirittodelrispamio; ABF – Collegio di Torino, n. 20479/2020.
[34] Cass. pen, 15.9.2015, n. 48630, in www.leggiditalia.
[35] Cass., 20.8.2018, n. 20801, in Quotidiano Giuridico, 2018.
[36] Per quest’ultimo concetto, v. MANTOVANI, Diritto Penale – Delitti contro il patrimonio, Cedam, 1989, p. 11.
[37] E quindi non ricadendo nell’errore in cui è incorso ABF – Collegio di Milano, n. 18335/2020, secondo cui, in un caso analogo, “l’ammontare del pregiudizio risarcibile non può in linea di principio che coincidere con l’importo facciale dell’assegno”, atteso che “sono proprio i principi del diritto cartolare ad escludere lo spazio di una indagine sulla causa sottostante (rectius ragione giustificativa) dell’attribuzione patrimoniale”, senza considerare che il falso documento della specie non poteva, proprio perché falso o comunque invalido, essere considerato assegno, per cui era privo delle caratteristiche per l’applicazione dei principi di diritto cartolare.
[38] Per tutti, GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, in Trattatodi diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, vol. LI, Giuffré, 2004, 167 e ss.
[39] Cass., 23.7.2019, n. 19815, in www.lanuovaproceduracivile.com.
[40] VELLUZZI, Interpretazione sistematica e prassi giurisprudenziale, Giappichelli, 2002 (richiamato dallo stesso autore nello scritto citato alla nota successiva), ne individua quattro tipi, e cioè: a) sistematico-testuale; b) sistematico-logica; c) sistematico-teleologica; d) sistematico-dogmatica.
[41] Cass., 12.11.2019, n. 29164, in Rivista di Diritto Tributario, Supplemento online, con nota di VELLUZZI (12.2.2020), La Cassazione respinge l’interpretazione sistematica “indefinita” proposta dall’Amministrazione Finanziaria; Cass., 23.7.2019, n. 19815, in www.lanuovaproceduracivile.com.
[42] A meno che il termine “sistematico” non sia stato utilizzato quale sinonimo di “analogico”, come in passato in qualche occasione si è riscontrato in sede giudiziaria, giusta quanto evidenzia VELLUZZI, Interpretazione sistematica e prassi giurisprudenziale, cit., 82-83. Per alcuni tra i più recenti esempi di applicazione del criterio sistematico secondo quanto indicato innanzi nel testo, v. invece: Cass., 30.12.2020, n. 29886, in www.leggiditalia; Cass., 9.12.2020, n. 28047, ivi; Cass., 3.12.2020, n. 27681, ivi; Cass., 2.12.2020, n. 27553, ivi; Cass., 5.11.2020, n. 24722, ivi; Cass., 4.11.2020, n. 24553, ivi; Cass., 27.10.2020, n. 23569, ivi; Cass., 20.10.2020, n. 22791, ivi.
[43] La qual cosa già di per sé comporta che la responsabilità per colpa deve essere valutata con minor rigore, come sottolinea TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Giuffré, 7a ed., 1986, 14, il quale richiama le previsioni degli artt. 789 e 798 (donazione), 1710 (mandato), 1768 (deposito), 1812 (comodato) e 1821 (mutuo) del codice civile, così concludendo: “E allora, passando a un caso non espressamente previsto, se taluno dà gratuitamente un’informazione e questa è errata, la sua responsabilità dovrà valutarsi in modo meno severo, in base a una applicazione analogica delle norme anzidette”.
[44]Sul divieto di analogia per le norme “che fanno eccezione a regole generali” ex art. 14 delle preleggi, v. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffrè, 1971, 183 e ss., nonché: Cass., SS.UU., 24.11.2011, n. 24812, in www.leggiditalia; Cass., 21.7.2020, n. 15519, ivi; Cass., 15.1.2019, n. 707, ivi; Cass., 5.9.2018, n. 21668, ivi; Cass., 12.2.2009, n. 3488, ivi; Trib. Milano, sez. spec. in materia d’impresa, 18.1.2018, in Società, 2018, 6, 795; Trib. Taranto, 9.1.2013, in ww.leggiditalia.
[45] ASCARELLI, Processo e democrazia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3, 1958, 858; Id., Problemi giuridici, vol. I, Giuffré, 1959, 17.
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