Il fatto
La sentenza affronta questioni afferenti al sequestro preventivo per equivalente e ricade nell’alveo di un’ipotesi particolare di abuso dell’istituto del trust.
Con provvedimento del novembre 2014 il Tribunale del Riesame di Roma confermava il decreto del giudice per le indagini preliminari che aveva ordinato il sequestro preventivo per equivalente di beni immobili e quote di società, a margine di un procedimento penale per reati associativi, tributari, di bancarotta e riciclaggio.
Proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento cautelare reale, la Suprema Corte confermava l’ordinanza.
I limiti dell’accertamento di natura civile in sede penale
Inevitabile, in tale materia, che il giudice penale affronti anche aspetti civilistici, posto che la misura in questione, preludio alla confisca, non può prescindere dall’accertamento in concreto circa la reale ed attuale disponibilità dei beni sequestrati in capo all’indagato/imputato (ex art. 322 ter c.p. ed art. 12 sexies L. 306/1992, nonchè art. 24 e segg.ti d. lgv. 159/2011).
La decisione in commento, più precisamente, compie un distinguo tra ciò che può accertare, civilmente, il giudice penale nell’ambito dei sequestri per equivalente finalizzati alla confisca, e quello che invece gli è impedito.
Può il giudice penale accertare l’effettiva disponibilità in capo all’indagato/imputato dei beni da sequestrare/confiscare qualora si versi nell’ipotesi di ritenuta interposizione fittizia e di simulazione.
Non può invece l’autorità penale agire – ad esempio – per la nullità degli atti ex artt. 1343 o 1344 c.c., qualora si sia di fronte a reale alienazione dei beni, come nel caso in cui l’indagato preferisca monetizzare piuttosto che lasciare il compendio esposto al rischio di sequestro.
Insuperabili in proposito i principi di eccezionalità e tipicità dell’azione civile da parte del Pubblico Ministero stabiliti dall’art. 69 cpc, 75 Ord. Giud. RD 12/1941 e dall’art. 2907 c.c..
A corredo dei richiami normativi, è bene rammentare anche che con la misura cautelare non può ottenersi più di quello che si otterrebbe con il provvedimento definitivo (Cass. Pen. Sez. VI, 15807/2014), a ribadire l’impossibilità di applicazioni estensive delle misure reali eccedenti l’alveo del possibile provvedimento definitivo.
Gli spazi per l’accertamento presuntivo
L’argomento tocca molteplici istituti ed offre spunti per numerose considerazioni. In questa sede ci si limita a due brevi riflessioni.
La prima, in un’ottica comparativa, è legata alla constatazione che la decisione in parola, nel descrivere i limiti all’accertamento di natura civile in sede penale, delinea nel contempo gli strumenti per esercitare i poteri di garanzia patrimoniale a tutela degli interessi pubblici.
Nell’ambito infatti di talune fattispecie delittuose ove possa operare il sequestro e la confisca per equivalente, i poteri ablatori da parte dell’organo penale del negozio traslativo risultano alla fine sicuramente più incisivi e superiori, come naturale che sia, rispetto alle equivalenti vie percorribili in sede civile.
Se infatti il limite da parte del Pubblico Ministero è quello di non poter procedere ad azioni tipicamente revocatorie di un certo specifico atto effettivamente traslativo di un compendio immobiliare o societario, è anche vero che, a ben leggere la sentenza richiamata, l’azione cautelare e la successiva confisca possono essere esercitate non tanto (o non solo) compiendo una indagine circa la natura e le condizioni esistenti al momento in cui l’atto traslativo fu stipulato, quanto attraverso la verifica della ”disponibilità” dei beni in capo all’apparente disponente sulla scorta di aspetti fattuali successivi al negozio de quo.
Ai fini di tale accertamento – ritiene la Corte – l’onere probatorio in capo al pubblico ministero e al giudice penale si concretizza nella prova che l’indagato/imputato sia il reale possessore del bene e che il terzo non sia altro che la classica ”…testa di legno…”.
I margini di manovra in tal senso sono ampi, perchè la prova può essere data per presunzioni che possono risultare le “… più svariate…”, come precisa la cassazione.
In sintesi, la valutazione squisitamente civilistica delle circostanze che caratterizzano l’atto dispositivo e il suo contenuto negoziale sembra passare quasi in secondo piano, come pure il profilo psicologico dell’eventuale avente causa negoziale, contando piuttosto l’accertamento, anche con ampia logica presuntiva, della condizione di disponibilità, a qualsiasi titolo, in capo al reo del compendio oggetto di sequestro.
Inevitabile, poi, che la valutazione sia agganciata al concetto di attualità, abituale requisito in ambito penale delle misure cautelari non solo reali ma anche personali.
In definitiva, a parte i poteri di indagine di cui dispone l’organo procedente, è anche chiaro che in tali termini risulti semplificata la possibilità di addivenire ad una nullità, quale quella prevista dall’art. 26 L. 159/2011 ed alla confisca ex art. 322 ter cpp.
Natura del trust e simulazione
Altro punto che si evidenzia sono le considerazioni di carattere generale attorno all’istituto del trust rese dalla Corte.
Sicuramente il taglio motivazionale lascia percepire un senso di disfavore per questo strumento negoziale “… estraneo alla nostra tradizione di diritto civile…” che si affianca “… in modo efficace ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative…” (nei medesimi termini: Cass. Civ. 10105/2014).
In particolare proprio il trust familiare, costituito con atto unilaterale non recettizio, di natura gratuita a favore dei familiari, ha – sempre secondo la sentenza annotata – delle caratteristiche intrinseche che collimano proprio con quegli aspetti indiziari maggiormente significativi e di per sè sufficienti “…a fare ritenere la simulazione dell’atto…”, simulazione che se provata determina la confisca (conforme: Cass. Pen. 9229/2015).
E’ di per sè evidente che se le stesse caratteristiche intrinseche del trust familiare (atto a titolo gratuito, destinazione a favore della stretta cerchia familiare…) risultano essere anche argomenti fondanti la presunzione di simulazione, la distinzione tra lecito ed illecito, o simulato, può in alcuni casi risultare difficilmente percepibile.
A questo punto e a conferma della effettività della segregazione che contraddistingue l’istituto in parola diviene ovviamente fondamentale la presenza di un rigoroso regolamento negoziale, a cui il disponente deve strettamente, e senza sbavature, attenersi.
A proposito dell’aura di sospetto che caratterizza il trust, non può non ricordarsi in proposito che pure altre recenti decisioni della Suprema Corte, in materia tributaria, hanno affrontato, con esiti critici anche clamorosi, l’istituto del trust.
E’ noto che in Cass. Sez. trib. 3886/2015 si sia affermato seccamente come non possa sussistere trust senza trasferimento di beni a un trustee, il che renderebbe impossibile costituire per esempio il trust auto-dichiarato, pur variamente praticato (vedasi in tema anche Cass. 3735/2015 e 3737/2015).
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