In tema di possesso “ad usucapionem”, con il rinvio fatto dall’art. 1165 c.c. all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, sicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti, tali atti, aventi natura ricuperatoria o demolitoria, possono consistere anche in domande giudiziali accessorie rispetto ad altre, rivolte ad autorità giudiziaria anche diversa dal giudice civile, purché dotata della necessaria “potestas”.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Orilia – Rel. Grasso con la sentenza n. 22032 del 05.08.2024.
Nel caso di specie, il Tribunale di Velletri aveva accertato l’acquisito per usucapione del diritto di servitù a favore dell’immobile del convenuto e in danno di quello degli attori e del figlio incapace di agire.
La Corte d’Appello di Roma aveva rigettato l’impugnazione, proposta dagli attori, nella quale avevano sostenuto l’effetto interruttivo del tempo utile all’usucapione rappresentato dal ricorso dai medesimi proposto davanti al giudice amministrativo.
Gli appellanti proponevano allora ricorso in Cassazione, articolato in sei motivi.
Con il primo e il secondo motivo si denunziava la violazione dell’art. 949 cc per omessa considerazione di avvenuta interruzione del termine di usucapione ventennale (art. 1158 cc) attraverso il ricorso giurisdizionale notificato al proprietario del manufatto lesivo.
La Suprema Corte ha accolto tali motivi affermando che, nel caso al vaglio, i ricorrenti, agendo davanti al giudice amministrativo perché accertasse l’illegittimità della costruzione, avevano, altresì domandato la demolizione del manufatto abusivo, deducendo, tra l’altro, proprio la violazione delle distanze legali e, ottenuta la sentenza del TAR, avevano agito per l’ottemperanza all’ordine di demolizione (con un primo provvedimento del 2006 il TAR aveva imposto al Comune di dare esecuzione e con un secondo del 2007 aveva nominato un commissario “ad acta” per procedere alla demolizione; il procedimento esecutivo si era poi arenato per il sopraggiungere di leggi di sanatoria).
Talché i ricorrenti hanno rimosso efficacemente e validamente la loro situazione d’inerzia, procurando, quindi, l’interruzione del possesso “ad usucapionem”.
Per tali motivi la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinviato alla Corte d’Appello di Roma, in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
USUCAPIONE: LA TRASCRIZIONE DELLA SENTENZA DICHIARATIVA DEL FALLIMENTO NON HA EFFETTI INTERRUTTIVI
LA PRESA DI POSSESSO DA PARTE DEL CURATORE DEI BENI DEVE AVVENIRE IN MODO EFFETTIVO E NON MERAMENTE VIRTUALE
Sentenza | Corte di Cassazione, Sez. II Civ., Pres.Rel. GORJAN | 31.05.2021 | n.15137
LE VALUTAZIONI DEL MAGISTRATO NON SONO SINDACABILI IN SEDE DI LEGITTIMITÀ OVE CONGRUAMENTE MOTIVATE
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Mocci – Rel. Varrone | 06.12.2023 | n.34164
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