ISSN 2385-1376
Testo massima
Anche nel giudizio penale, ai fini della verifica dell’usura oggettiva è inammissibile la sommatoria degli interessi di mora a quelli corrispettivi.
Lo ha affermato il Tribunale di Torino, in persona del GUP dott. Giuseppe Marra, con l’ordinanza del 10 giugno 2014, che ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dal PM all’esito delle indagini preliminari che hanno riguardato un funzionario di banca, sospettato del reato di usura.
La sottoposizione alle indagini è scaturita dalla denunzia presentata da un cliente, sul presupposto che l’Istituto di credito con il quale aveva intrattenuto diversi rapporti di finanziamento avesse applicato interessi di mora usurari, determinando questi ultimi mediante la somma aritmetica del tasso corrispettivo e del tasso di mora.
Visti gli atti, il PM aveva presentato richiesta di archiviazione, argomentando sulla estraneità degli interessi moratori al reato di usura, in quanto gli stessi “scattano” in caso di inadempimento, mentre il reato di usura afferisce alla fase ontologica del rapporto e non a quella patologica.
Il GUP, nel respingere la richiesta della pubblica accusa, ordinando a quest’ultima il compimento di ulteriori indagini, ha evidenziato come, sulla base dell’interpretazione corrente della normativa antiusura in sede civile – gli interessi moratori non possono ritenersi estranei al fenomeno dell’usura, avendo più volte la stessa Corte di legittimità statuito la necessità di raffrontare il relativo saggio al c.d. tasso soglia.
Ciò che la Cassazione non ha mai affermato, invero prosegue il Tribunale è che, contrariamente a quanto asserito dalla persona offesa, gli interessi di mora debbano aritmeticamente sommarsi a quelli corrispettivi per ottenere il tasso effettivo da considerare ai fini dell’usurarietà oggettiva.
“Se si ragionasse diversamente” qui le parole chiarissime del Giudice torinese “vi sarebbe quasi sempre usura”.
In altri termini il GUP ha evidenziato l’erroneità del presupposto della denunzia del cliente,
richiamando tuttavia il PM alla valutazione della più recente giurisprudenza di legittimità, chiamata a giudicare su presupposti ed effetti civilistici del fenomeno usurario, la quale ha sottolineato la necessità di raffrontare anche gli interessi moratori (in sé considerati) al limite di usura.
Per tali ragioni, il Tribunale ha disposto un supplemento delle indagini, al duplice fine di individuare correttamente la misura del tasso di mora (da determinarsi per effetto della somma tra interessi corrispettivi e maggiorazione per l’inadempimento) per valutare la liceità del medesimo, in sé considerato, nonché di estrapolare dall’organigramma della Banca i soggetti realmente imputabili per l’eventuale contestazione del reato di usura (in altri termini, determinare a quali soggetti fosse ascrivibile l’eventuale “scelta” di praticare tassi usurari).
IL COMMENTO
La pronuncia in questione è degna di nota per aver stabilito, anche in sede penale, un ulteriore “no” all’illogico filone della sommatoria tra gli interessi corrispettivi e quelli moratori.
All’indomani della nota sentenza della Corte di Cassazione del 11 gennaio 2013 n.350, il contenzioso in danno degli istituti di credito è proliferato, sulla scorta di una lettura evidentemente distorta del dictum della Suprema Corte.
Si è affermato, da parte di alcuni clienti-mutuatari, che ai fini della valutazione della c.d. usura oggettiva, dovesse adottarsi la seguente formula di calcolo, per individuare il tasso effettivo:
interessi corrispettivi + commissioni/spese + interessi di mora
La giurisprudenza di merito successiva alla summenzionata pronuncia ha prontamente rilevato l’erroneità logico-giuridica di una tale sommatoria, a partire dalla decisione del Tribunale di Trani, dott.ssa F. Pastore, del 10 marzo 2014, nella quale è stato rilevato che “interessi corrispettivi ed interessi moratori, pattuiti come tassi diversi e alternativi, applicabili in ipotesi distinte e alternative non possono essere cumulativamente valutati ai fini del raffronto con il tasso soglia ex l.108/1996“.
L’alternatività dell’applicazione dei due tassi, che non vengono mai cumulativamente a gravare sul mutuatario salvo diverse, ma espresse, pattuizioni ne esclude l’additività ai fini del calcolo dell’usura.
Un diverso ragionamento è viziato, dunque, da un errore di carattere logico, prima che giuridico ed infatti, l’ordinanza in commento è chiarissima nell’affermare che “se si ragionasse diversamente vi sarebbe quasi sempre usura“.
È da ricordare che, semplificando al massimo lo svolgersi di un rapporto di mutuo, nella sua fase patologica, il mutuatario inadempiente è tenuto a “sopportare” un costo globale del finanziamento pari a:
interessi corrispettivi + spese/commissioni + maggiorazione a titolo di mora (c.d. spread)
In questi termini, si comprende l’illogicità della tesi secondo la quale, a questa formula, andrebbero nuovamente sommati gli interessi corrispettivi ai fini del raffronto con il valore-soglia, un’operazione che non trova alcun fondamento né nella realtà fattuale (salvo diverse pattuizioni od applicazioni divergenti dai patti) né nella realtà giuridica.
In tale ultimo senso, basterà richiamare a supporto il dettato dell’art.1224 cc, primo comma, a mente del quale:
Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.
Ne consegue che, in un’ipotetica situazione in cui le parti non abbiano pattuito la c.d. “maggiorazione a titolo di mora”, all’inadempimento del mutuatario farà seguito l’applicazione di interessi di mora “nella stessa misura” degli interessi corrispettivi.
Ad argomentare nel senso, qui criticato, si dovrebbe concludere che, in tale ipotetico caso, per la valutazione di usurarietà oggettiva dovrebbero sommarsi due volte gli interessi corrispettivi tra loro, considerandoli una volta quali corrispettivi veri e propri e la seconda a titolo di mora, e cioè, semplificando:
interessi corrispettivi (remunerazione) + interessi corrispettivi (mora)
È chiaro come tale tesi non possa essere sostenuta, correttamente interpretando la disposizione codicistica richiamata.
A tale considerazione ormai pacifica potrà aggiungersi un’ulteriore riflessione, relativa alla possibilità, già de jure condito, di considerare gli interessi di mora estranei al fenomeno dell’usura, nel senso chiarito, ad esempio, dalla recentissima pronuncia del Tribunale di Roma (ordinanza del 16 settembre 2014 – Pres. Dott.ssa F. D’Ambrosio Rel. Dott.ssa B. Perna -, che pare avviare un’inversione di tendenza nella giurisprudenza di merito, volta a superare il dictum della “sentenza 350”.
Invero, la rilevanza degli interessi di mora nel calcolo dell’usura oggettiva sembra essere dettata da un dato normativo apparentemente insuperabile: l’art.1 del D.L. 394/2000, di interpretazione autentica degli artt. 644 cp e 1815, secondo comma, cc dispone infatti che “s’intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo“.
L’inciso “a qualunque titolo”, che nel corpo dell’art. 644 cp viene riferito alle “remunerazioni”, è dunque ri-attribuito dal legislatore del 2000 agli interessi tout court, senza distinzione tra quelli corrispettivi che costituiscono la remunerazione del prestito e quelli moratori che predeterminano la misura del risarcimento dovuto al creditore per il ritardo nell’adempimento.
La disciplina dell’usura è comunque sempre fondata, a prescindere dal riferimento normativo, sull’integrazione della norma penale con la norma extrapenale di natura regolamentare che periodicamente individua i tassi medi, distinti per categorie omogenee di operazioni, in base ai quali si determina il tasso soglia: i decreti ministeriali trimestrali, che recepiscono le rilevazioni operate, con identica periodicità, dalla Banca d’Italia.
Orbene, l’organo di vigilanza in materia bancaria ha sempre espressamente escluso da dette rilevazioni i tassi di mora, operando a partire dal decreto di rilevazione emesso il 23 marzo 2003 una rilevazione separata, a meri fini statistici e conoscitivi della maggiorazione a titolo di mora, fissata nella misura del 2,1%.
Facilmente può rilevarsi, dunque, che se i tassi soglia sono determinati a partire da un valore che non comprende i tassi di mora, non pare del tutto coerente raffrontare il tasso di mora, anche in sé considerato, ad un valore soglia che è, rispetto ad esso, disomogeneo.
Ad argomentare nel senso della rilevanza degli interessi di mora per la normativa antiusura, si rischia altresì di scontrarsi con l’incoerenza del sistema, avuto riguardo all’inciso del già citato art. 1224 cc, ultimo comma (norma di ordine generale per la disciplina del danno nelle obbligazioni pecuniarie), a mente del quale “al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori“.
Se si torna un attimo al caso limite sopra ipotizzato (quello in cui la misura degli interessi moratori non sia convenuta dalle parti), si può ipotizzare che il creditore, a fronte dell’inadempimento del mutuatario, possa ottenere un risarcimento del maggior danno contenuto entro i limiti della soglia di usura?
Una tale conclusione non trova conforto in alcun dato normativo, né in un principio di “oridine pubblico”, cosicché si potrebbe a fortiori, argomentare che la legge 7 marzo 1996 n.108 non ha inteso limitare la pattuizione e/o l’incasso degli elementi “risarcitori” del “prestito”, bensì ha costruito un sistema che giunge a coerenza solo con riferimento alle “remunerazioni”, non comprendendosi altrimenti il perché il creditore possa conseguire giudizialmente un risarcimento superiore a quello che lecitamente può “pre-liquidare” in sede di pattuizione del tasso di mora.
Naturalmente non si vuol negare che l’ordinamento appresti tutela a quel mutuatario che sia chiamato a corrispondere oneri di mora eccessivi, ma semplicemente che questi possa trovare una specifica tutela nella normativa antiusura, restando esperibili i rimedi di ordine generale quali, in primis, la riduzione della penale ex art.1384 cc.
Il discorso, anche sotto il profilo della “audacia” delle argomentazioni è stato già approfondito nell’articolo “Usura bancaria: il dilemma degli interessi moratori” (a cura di A.DE SIMONE – W.G.CATURANO, in Gazzetta Forense, 2014, fasc.3, pp. 33 e ss., sul web in http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-bancaria-il-dilemma-degli-interessi-moratori.html ), al quale si rinvia per approfondimenti.
Il tradizionale contrasto in dottrina e la giurisprudenza oscillante, che si sostanziano, nell’ordinanza in commento, nel contrasto di posizioni tra il ragionamento seguito dal PM e quello adottato dal GUP rende comunque palese che ci si trovi innanzi ad una normativa di per sé oscura e che la questione assume un rilievo centrale solo dal punto di vista civilistico, essendo evidente, sotto il profilo penalistico, che l’incertezza normativa faccia venir meno l’elemento soggettivo del reato.
Già altro Tribunale si è espresso in questi termini, in fattispecie analoga, negando la sussistenza, nei direttori di filiale e/o nei funzionari coinvolti nelle indagini, della minima consapevolezza di violare scientemente il disposto dell’art. 644 cp (cfr. Tribunale di Arezzo, sentenza 29-01-2013 n.519).
Tanto fa emergere l’incoerenza del provvedimento con il quale il GUP ha disposto il supplemento di indagini, tant’è che il magistrato è “costretto” a precisare che “sarà poi compito del P.M. individuare nell’organigramma della banca a chi imputare la scelta di praticare tassi usurari“, lanciando un’integrazione “al buio” delle indagini che sembra avallare la tesi dell’incertezza applicativa della normativa antiusura, anche sotto il profilo dell’individuazione dei soggetti eventualmente responsabili.
Testo del provvedimento
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