ISSN 2385-1376
Testo massima
È costata cara al cliente di una banca un’infondata opposizione a decreto ingiuntivo, proposta sul presupposto dell’erronea tesi della sommatoria tra interessi moratori e corrispettivi.
L’opponente si è infatti visto condannare al pagamento di euro 120.000,00, di cui euro 60.000,00 per spese legali ed euro 60.000,00 per lite temeraria ex art. 96 cpc.
Il Giudice ha rilevato che l’opposizione era stata proposta al mero fine di ritardare l’emersione dell’evidente insolvenza della società, esposta per oltre 5 milioni di Euro, con mere parvenze di argomentazioni giuridiche, in effetti inconsistenti o smentite platealmente dal dato normativo, circostanza che integra la lite temeraria.
Trattasi della prima eclatante sentenza, nella quale si è affermato che la tesi apodittica della sommatoria tra interessi corrispettivi integra i presupposti della lite temeraria, posto che la parte secondo il Tribunale aveva agito in giudizio con dolo e colpa grave.
Tale presa di posizione, così netta e sfavorevole per il cliente, conferma che ormai la giurisprudenza di merito ha definitivamente superato le contestazioni mosse da mutuatari e correntisti all’indomani della nota sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione, che ha determinato in taluni la convinzione errata che ai fini della verifica di usurarietà oggettiva possa o debba operarsi il cumulo aritmetico tra il valore dell’interesse corrispettivo ed il saggio di mora.
IL CASO
La vicenda prende le mosse dal decreto ingiuntivo, ottenuto provvisoriamente esecutivo da una Banca in danno di una società debitrice, per l’ingente importo di 5.376.835,36 oltre interessi e spese, derivante dall’inadempimento ad un contratto di finanziamento stipulato in data 24.1.2003.
La debitrice proponeva opposizione sostenendo in particolare che:
1) la Banca, per effetto del c.d. ammortamento alla francese avrebbe applicato un tasso di interesse superiore a quanto stabilito in contratto ed avrebbe violato il disposto dell’art. 1283 c.c. in materia di anatocismo, con la conseguenza che al finanziamento doveva essere applicato il tasso legale.
2) Il tasso pattuito in contratto sarebbe stato superiore al tasso soglia d’usura. Per giungere a tale conclusione controparte “cavalcava” la nota tesi della sommatoria tra interessi corrispettivi e moratori interpretando a proprio favore ma in maniera distorta la sentenza della Suprema Corte n. 350/13;
3) La Banca avrebbe illecitamente applicato gli interessi di mora sull’intera rata e, dunque, anche sugli interessi corrispettivi.
LA SENTENZA
Il Giudice ha nettamente rigettato le domande attoree, con argomentazioni assai dettagliate e degne di nota, per quanto si dirà di seguito.
In primis, sulla liceità dell’ammortamento “alla francese”, il Tribunale ha richiamato copiosa giurisprudenza di merito (Trib. Benevento 19.11.2012, Trib. Milano 5.5.2014, Trib. Pescara 10.4.2014, Trib. Siena 17.7.2014), la quale ha ormai (si spera definitivamente) chiarito, che la previsione di un piano di rimborso del mutuo graduale in particolare con rata fissa costante (c.d. ammortamento alla francese) non comporta alcuna violazione dell’art. 1283 c.c. per i seguenti tre motivi:
1) gli interessi di periodo vengono calcolati sul solo capitale residuo;
2) alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso del mutuo, essendo tale pagamento periodico della totalità degli interessi elemento essenziale e caratterizzante, in particolare dell’ammortamento alla francese dove la rata costante e la quota capitale rimborsata è determinata per differenza rispetto alla quota interessi;
3) peraltro, visto che la rata paga, oltre agli interessi sul capitale a scadere, anche la quota del debito in linea capitale quota man mano crescente con il progredire del rimborso a ciò segue che il pagamento a scadenza del periodo X riduce il capitale che fruttifica nel periodo X+1, ossia si verifica un fenomeno inverso rispetto alla capitalizzazione”.
Quanto alla censura relativa all’usurarietà oggettiva, il Giudice ha perentoriamente chiarito, anzitutto, la differenza di natura e funzioni dei due tipi di interesse. “Resta il dato lapalissiano questo testualmente il dictum della sentenza che gli interessi corrispettivi si applicano soltanto sul capitale a scadere, essendo il corrispettivo del diritto del mutuatario a godere della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano soltanto sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). Il tasso di mora dunque sostituisce il tasso corrispettivo con formula equivalente può dirsi che, con riguardo al debito scaduto, al tasso corrispettivo si aggiunge lo spread di mora e pertanto i due tassi non possono sic et simpliciter sommarsi tra loro, come maccheronicamente pretende l’attore“.
Sull’eccezione relativa all’applicazione di interessi di mora sugli interessi corrispettivi, il Giudice, asseverando le difese della Banca, ha nettamente sancito che la doglianza “ignora arbitrariamente anche in tal caso il dato normativo”, in quanto “l’art. 32. della delibera 9.2.2000 CICR consente, per i mutui bancari, la produzione dell’anatocismo, – ossia la produzione di interessi moratori sulla quota di interessi corrispettivi compresa nelle rate scadute in caso d’inadempimento del mutuatario all’obbligo di restituzione delle singole rate” subordinatamente alla condizione che ciò sia pattuito in contratto, come nel caso di specie era esattamente avvenuto (in tal senso, cfr. Cass. 11400/14).
Infine, il Giudice ha accolto la domanda della Banca di condanna della controparte ex art. 96 c.p.c. per aver sostenuto tesi infondate, controproducenti (la difesa della Banca aveva infatti evidenziato come l’applicazione di un eventuale tasso legale richiesto dalla attrice in sostituzione di quello convenuto fosse addirittura più onerosa per la controparte) e contrarie al dato normativo che segnalano la non cumulabilità di interessi moratori e corrispettivi.
In definitiva, il cliente aveva agito in giudizio, come già accennato in premessa, al solo scopo di ritardare l’emersione dell’insolvenza, a fronte di un’esposizione nei confronti della Banca per importi assai rilevanti, rispetto ai quali sia l’an che il quantum debeatur potevano dirsi pacificamente accertati.
Il Giudice ha quindi liquidato le spese legali come da richiesta della Banca ed ha quantificato la condanna ex art. 96 c. 3 c.p.c. in una somma pari alle spese liquidate ossia ulteriori euro 60.000,00.
Testo del provvedimento
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