La sentenza in commento interviene a dirimere una vicenda processuale non infrequente, negli ultimi tempi. Il cliente della banca, a seguito del ricalcolo del conto corrente, inclusa la commissione massimo scoperto, ritiene che siano avvenuti superamenti del tasso soglia e pertanto intraprende l’iniziativa penale attraverso atto di denuncia-querela per il reato di usura (art. 644 c.p.).
Nel caso in esame il giudice dell’udienza preliminare, alla luce dei dati obiettivi (consulenza tecnica disposta dalla Procura), aveva rilevato come i superamenti fossero avvenuti in sole due occasioni, nonostante il rapporto di conto fosse durato nove anni, ed avessero avuto un impatto marginale. Tali elementi convincevano il GUP di Messina a pronunciare in data 25.2.2015 sentenza ex art. 425 c.p.p. di non doversi procedere perchè il fatto non costituisce reato, ritenendo insussistente il profilo psicologico del medesimo, non potendosi configurare un dolo ‘intermittente’ e limitato a due periodi, giudicando scusabile l’errore in cui il personale di banca era – a tutto concedere – incorso e reputando che il dibattimento non avrebbe consentito alla pubblica accusa di pervenire a risultati alla stessa favorevoli.
La Procura ha impugnato in Cassazione la decisione del GUP e la Suprema Corte, rievocati per sommi capi i punti salienti del provvedimento impugnato, ha convenuto sulla impossibilità di ulteriori sviluppi in senso favorevole all’accusa, dichiarando inammissibile il ricorso.
Va rilevato in linea di massima che la via dell’azione penale per aspetti di usurarietà nei rapporti di finanziamento, vuoi per ricalcolo della CMS che degli interessi anche moratori, è ricorrente, ma altrettanto frequenti sono i provvedimenti di archiviazione o di proscioglimento, come nel caso di specie, all’esito di udienza preliminare.
I casi per lo più scontano l’adesione piuttosto incondizionata ai noti e dibattuti orientamenti, come ad esempio quelli sviluppatisi all’indomani della pubblicazione della sentenza della Cassazione 26 marzo 2010, n. 12028 (stessa sezione, la II, della decisione qui in commento). Come a tutti noto questa decisione stabilì l’inclusione della CMS nell’ambito del calcolo del tasso soglia, a prescindere dai decreti ministeriali e dalle istruzioni di Banca d’Italia (anteriori all’1 gennaio 2010), sì da riconfigurare il requisito oggettivo del reato di usura.
Tale assunto ha generato un susseguirsi di iniziative non solo in sede civile, ma anche penale, con il perdurante confronto tra il ricalcolo secondo il criterio ”Banca d’Italia” e quello secondo la tesi “Cassazione 2010”.
Vi è subito da rilevare che la stessa Cass. 12028/2010 viene ricordata solo per il pronunciamento sopra richiamato, ma quasi mai per l’ulteriore corollario, pur enunciato, relativo al profilo soggettivo del reato di cui all’art.644 c.p., posto che la stessa decisione confermava il proscioglimento del giudice di prime cure il quale non aveva ravvisato, anche a cagione delle contrarie disposizioni dei decreti ministeriali e dei modesti superamenti del tasso soglia, coscienza e volontà di taluni imputati (funzionari di banca) di porre in essere una condotta usuraria.
In generale, i tentativi di trasfondere in sede penale questioni squisitamente civilistiche, afferenti in particolare al tema dell’usura bancaria sopravvenuta – aspetto tutt’altro che superato dalla L. 24/2001 e sulla cui rilevanza penale si discute e si dubita (es: Trib. Savona, sez. civ., 3.3.2016, dep. il 10.3.2016 in IlCaso.it; Semeraro, Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori – in Riv. Dir. Banc. 6/2015, p.1; Cass. Pen. sez. V, 8353/2013, in questa rivista con nota di Caturano, ISSN 2385-1376 – anno 2013) – scontano spesso un difetto di impostazione che consiste nel predominio concettuale dei requisiti oggettivi del reato su quelli soggettivi, quando addirittura di questi ultimi non si tenga neppure debito conto. Eppure, oltre a ragioni legate al momento di coesistenza tra la normativa secondaria che escludeva la CMS dal calcolo del tasso soglia e i contrari principi giurisprudenziali sopravvenuti, può essere che in taluni periodi del rapporto bancario si verifichino limitati superi del tasso soglia, a causa di addebiti di interessi o spese, ma questo può avvenire magari per ragioni puramente tecniche legate – ad esempio – a rettifiche in conto (che sovente, se conto di corrispondenza, congloba vari rapporti tra loro disomogenei e di differente natura). Che tale supero transitorio ed occasionale, che di regola dovrebbe essere impedito dai sistemi informatici in uso presso gli istituti di credito, sia sempre percepibile dal singolo dipendente di banca è ipotesi virtuale, risultando umanamente difficile avere nell’immediato contezza di simili errori del sistema.
Al fine dunque di non cadere nella responsabilità oggettiva, di difficile riconoscimento nel mondo penale (vedi peraltro in proposito proprio la sentenza del GUP del Trib. di Messina 25.2.2015 n. 63), per quanto riguarda il reato di usura sembra fondamentale l’analisi delle caratteristiche, della natura, della sistematicità o meno degli episodi di superamento del tasso soglia, e questo assunto è ben chiaramente esposto nella casistica (per lo più inedita) legata alle archiviazioni o ai proscioglimenti già in sede di udienza preliminare. Al di là infatti delle interpretazioni peritali, sovente foriere di variegate ipotesi di ricalcolo, e per ciò stesso inadeguate a fornire nell’ambito penale certezze circa i profili oggettivi del reato [es: GIP Trib. Salerno (dr.ssa Zambrano) – ord. 19.5.2015), sicuramente quanto all’elemento soggettivo non depone per la sua sussistenza il verificarsi di rari ed occasionali sforamenti [GUP Trib. Arezzo (Dr.ssa Loprete) – sent. 12.3.2013, n. 124] o anche l’essersi adeguati alle disposizioni di Banca d’Italia [GIP Trib. Milano (dr. De Marchi), ord. 24.4.2015] .
La stessa ricerca dei responsabili, sotto il profilo penale, dell’ipotizzata usura bancaria sopravvenuta, limitata a taluni periodi, è indagine in concreto di per sè difficoltosa. Arduo pensare che risultino tali il personale addetto alla filiale ove insiste il rapporto, che spesso non ha proprio modo di intervenire sui sistemi di computo dei tassi e delle spese stabilite dall’istituto (in proposito: GIP Trib. Campobasso (Dr.ssa Rinaldi) ord. 19.5.2015, in questa rivista ISSN 2385-1376 anno 2015, http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-accolta-richiesta-di-archiviazione-per-funzionari-di-banca).
Nè può generare penale rilevanza il sol fatto di ricoprire una posizione apicale della banca, posto che proprio per questo non si può avere il materiale controllo del singolo rapporto di conto, anzi delle singole annotazioni di uno specifico cliente, attività sicuramente inclusa in varie, diversificate deleghe aziendali.
In realtà tutte queste considerazioni risultano a ben vedere essere l’espressione o, meglio, la conferma della sicura difficoltà di inquadramento dell’usura bancaria sopravvenuta, non dunque originaria, nell’ipotesi tipica di cui all’art. 644 c.p.. Il successivo ed occasionale sforamento da un tasso originariamente lecito, per esperienza corrente dei sistemi che governano i conti bancari, non presenta di regola le caratteristiche di univocità e di riferibilità ad un determinato soggetto della condotta astrattamente prevista dalla norma e, per soprammercato, altrettanto arduo è il definirsi del momento volitivo o di rappresentazione dell’elemento doloso previsto dal delitto in parola.
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