Ai fini della verifica dell’usura non deve tenersi conto delle CMS applicate dalla banca fino al 31 dicembre 2009, essendo tenuto il giudice a procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della remunerazione bancaria, per pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario.
Così si è pronunciata la prima sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza del 22 giugno 2016, n. 12965, ponendo la parola “fine” ad una questione più volte oggetto di riflessione su questa rivista: la rilevanza della commissione di massimo scoperto nella composizione del tasso effettivo da raffrontare alla soglia di usura.
Anticipando le conclusioni del percorso argomentativo seguito dalla pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno definitivamente sancito che la disciplina dell’usura c.d. oggettiva si fonda unicamente sul confronto di dati omogenei, motivo per il quale le verifiche aritmetiche da compiersi in qualsivoglia giudizio avente ad oggetto la (supposta) usurarietà dei costi di un finanziamento non possono includere – ex post – oneri non rilevati – ex ante – da Bankitalia nell’ambito del processo che determina la formazione dei Tassi Soglia.
. . . la disciplina dell’usura c.d. oggettiva si fonda unicamente sul confronto di dati omogenei.
LA VICENDA PROCESSUALE E LA “STORIA” DELLA C.M.S.
La questione è giunta all’esame della Suprema Corte per effetto del ricorso proposto da una Banca contro la decisione del Tribunale di Venezia, che aveva respinto il reclamo ex art. 98 l.fall. avverso il decreto del giudice delegato di un fallimento, che aveva a sua volta negato l’ammissione al passivo del credito dell’istituto per ingenti importi a saldo di due conti correnti del debitore fallito.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che non fosse dimostrato, mediante idonea documentazione, che il saldo negativo dei conti fosse il frutto di del computo di oneri finanziari conformi ai limiti di cui alla legge n. 108 del 1996, posto che, in antecedenza, il fallito ne aveva contestato la superiorità rispetto alle soglie d’usura.
Nella specie, il giudice veneziano aveva preliminarmente individuato tra gli elementi da conteggiare nel tasso effettivo la commissione di massimo scoperto, da considerarsi tra le “remunerazioni” in decisivo collegamento con l’erogazione del credito, così entrando nella commisurazione del tasso usurario, quale costo sostenuto dal finanziato.
Dalla conseguente CTU espletata, il Tribunale aveva ravvisato l’applicazione di interessi e costi (per questa via) usurari, per importi superiori al credito insinuato, concludendo per l’esclusione di quest’ultimo dal passivo del fallimento.
Come noto, la questione della rilevanza della CMS nel computo del tasso usurario è strettamente ricollegata, avuto riguardo alla normativa primaria, alla lettera dell’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009, tant’è che la stessa Cassazione sottolinea come la questione sia solo “residualmente problematica”, in considerazione del fatto che la citata normativa prevede espressamente l’inserimento della commissione di massimo scoperto nel plafond per il calcolo del costo del finanziamento, rilevante ai fini della determinazione del tasso usurario.
Parimenti le nuove Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi oggi indicano tra gli oneri inclusi nel calcolo del TEGM, oltre agli oneri per la messa a disposizione dei fondi, nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato, “la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigente”.
Nell’analisi normativa, gli Ermellini non trascurano la presenza di una disciplina di carattere transitorio, a mente della quale il limite oltre il quale gli interessi sono usurari resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione “fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizione”.
Dunque il legislatore, da un lato, ha inteso “ratificare”, di fatto, l’operato di Bankitalia che aveva sino a quel momento escluso la CMS dalle rilevazioni trimestrali e, dall’altro, ha imposto a quest’ultima di includere pro futuro detta commissione tra i componenti del TEG, ancorando la data di entrata in vigore (rectius, di “operatività concreta”) del nuovo sistema al momento in cui sarebbero state effettuate le necessarie correzioni nel meccanismo di formazione delle soglie (come noto, il primo d.m. recante tassi soglia inclusivi delle CMS è quello del periodo 1 gennaio-31 marzo 2010).
Proprio la presenza di tale normativa transitoria impedisce di conferire al D.L. 185/2008 una portata retroattiva, o meglio di interpretazione autentica, avendo il legislatore inteso espressamente modificare il regime vigente solo a decorrere da un certo (futuro) termine.
Detto altrimenti: per il periodo antecedente al 2010 non vi sono ragioni per includere la CMS nel calcolo del TEG.
Non sembra questo, tuttavia, per gli Ermellini, il solo argomento, o comunque quello dirimente, a supporto di tale tesi.
L’analisi della Cassazione è infatti molto più approfondita e fornisce una pregevole ricognizione della stessa “storia” della commissione di massimo scoperto.
La pronuncia in commento non manca di notare, infatti, che prima dell’entrata in vigore dello stesso D.L. 185/2008 non vi era una univoca definizione di commissione di massimo scoperto, di tal che un problema di ordine preliminare è l’individuazione stessa di tale onere nei rapporti sorti antecedentemente.
Anzi, in passato si era radicalmente dubitato della stessa validità di una commissione che – finendo per assolvere ad una funzione sostanzialmente remunerativa del denaro messo a disposizione dalla banca al cliente – potesse causalmente sovrapporsi alla nozione di interesse e quindi rivelarsi nulla per mancanza di causa.
La pronuncia della Cassazione in commento ha pertanto ricostruito preliminarmente i passaggi normativi e le riflessioni della dottrina in ordine ad un onere introdotto nei contratti bancari a partire dalle norme bancarie uniformi (NBU) adottate dal 1 gennaio 1952 e tradizionalmente definito come “il corrispettivo dell’obbligazione assunta dalla banca di tenere a disposizione del cliente una determinata somma di denaro per un periodo di tempo (determinato o indeterminato), indipendentemente dal suo effettivo utilizzo”, che nella pratica si ritrovava in due forme: commissione di mancato utilizzo, calcolata sull’accordato (la disponibilità concessa al cliente) al netto dell’utilizzato e commissione di massimo scoperto (CMS), più frequente, calcolata sul picco più elevato della somma prelevata dal cliente in certo arco temporale, con la funzione di remunerare la banca non tanto per disponibilità concessa al cliente (accordato), quanto piuttosto per quella dallo stesso effettivamente utilizzata.
Rinviando alla lettura integrale della sentenza per approfondimenti su quella evoluzione normativa e giurisprudenziale, che aveva condotto alla definizione di alcuni punti fermi sulle condizioni di validità e corretta pattuizione di detta commissione, occorre ritornare sui rapporti tra la “storica” commissione di massimo scoperto (comunque definita ed individuata ante 2008-2009) e la disciplina antiusura, per giungere quindi al punto dirimente della pronuncia degli Ermellini.
LA RATIO DELL’USURA C.D. OGGETTIVA: IL CONFRONTO DI DATI OMOGENEI
Posto che la CMS è divenuta rilevante ai fini della determinazione del TEGM solo a partire dal 1 gennaio 2010 e che alla normativa del 2008-2009 non va attribuita portata di interpretazione autentica, in mancanza di espressi richiami in tal senso da parte del legislatore, l’analisi degli Ermellini è stata confortata da un dato che potrebbe dirsi dirimente: la necessità di utilizzare, nella rilevazione dei tassi usurari, dati tra loro effettivamente comparabili.
Qui l’iter argomentativo della Cassazione è chiarissimo e merita una citazione testuale:
“Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l’applicazione di uno spread sul TEGM; posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale.
Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato.
In definitiva, può sostenersi che quand’anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica – l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione”.
Il giudizio della Suprema Corte è tranciante: quand’anche le rilevazioni di Bankitalia ante 2010 dovessero ritenersi illegittime per mancata inclusione di un costo indiscutibilmente legato alla remunerazione del credito (la CMS), dalle stesse non potrebbe prescindersi ai fini del computo del tasso usurario.
Non può trascurarsi, infatti, che le sanzioni antiusura non si traducono solo in azzeramento – sul piano civilistico – degli interessi superiori alla soglia, ma anche in applicazione di misure limitative della libertà personale (reclusione ex art. 644 cp) per i responsabili dell’illecito.
Di fronte a tale valutazione, qualora si includessero ex post oneri non considerati ex ante nella formazione del TEGM, perderebbe di oggettività un sistema che è stato progettato proprio per sottrarre al giudicante ogni margine di discrezionalità.
Un discorso logico-aritmetico, dunque, prima che giuridico, al quale la Cassazione sembra aver definitivamente aderito, accogliendo il terzo motivo di ricorso proposto dalla Banca.
La pronuncia si pone al culmine dell’evoluzione giurisprudenziale che più volte è stata oggetto di diffusione sulle pagine web di questa Rivista.
Si confermano, in particolare, i principi espressi dalla Corte d’Appello di Milano in una pronuncia del gennaio 2016, alla quale si rinvia per ogni ulteriore approfondimento:
USURA: LA CMS FUORI DAL TEG PER I RAPPORTI ANTE 2010 PER ESPRESSA VOLONTÀ NORMATIVA
LA L. 2/2009 È UNA LEGGE DELLO STATO ED HA PARI DIGNITÀ RISPETTO ALLA NORMATIVA ANTIUSURA
In materia di usura oggettiva, per espressa previsione di legge la commissione di massimo scoperto non entra nel computo del TEGM per il periodo ante 2010, per cui non rileva ai fini della verifica del superamento del Tasso Soglia.
Invero, la L. n. 2 del 2009, la quale è una legge dello Stato in senso formale ed ha quindi pari dignità rispetto alla legge sull’usura, nel prevedere un nuovo sistema di rilevazione “all inclusive”,
ha espressamente stabilito che il sistema di calcolo del TEGM invalso precedentemente presso la Banca d’Italia, che era caratterizzato dalla esclusione della CMS dal calcolo degli interessi, sia considerato valido fino a tutto il 31.12.2009.
Sentenza, Corte d’Appello di Milano Pres. – Rel. Raimondo Mesiano, 12-01-2016 n.52
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