ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di usura bancaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori.
La deduzione della nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche d’ufficio, non integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere avanzata anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, ma ciò a condizione che “sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio”.
È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n.350 del 9 gennaio 2014, con la quale è stato accolto il ricorso di un cliente che lamentava la violazione della normativa relativa alla legge antiusura.
In particolare, la Corte, con una succinta motivazione, ha specificato che ogni interesse convenuto in un contratto deve sottostare al limite massimo fissato dalla legislazione antiusura (c.d. “tasso soglia”).
La vicenda trae origine dall’azione promossa dal cliente di una Banca al fine di far valere l’illegittimità della clausola relativa alla determinazione del tasso d’interesse di un mutuo, in quanto asseritamente produttrice di interessi superiori al c.d. “tasso soglia”.
Al rigetto del Tribunale di primo grado, parte attrice aveva fatto seguire appello, respinto anch’esso dalla Corte territorialmente competente.
In particolare quest’ultima, affermata preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione siccome basata su motivi aspecifici, aveva precisato che l’usurarietà del contratto di mutuo non poteva dipendere dalla considerazione nel computo del costo percentuale complessivo del finanziamento della maggiorazione del 3% a titolo di tasso d’interesse moratorio, data la peculiare e diversa natura di quest’ultimo.
Ricorrendo per cassazione, parte attrice ha riproposto, sotto la forma della denuncia del vizio di motivazione, le medesime doglianze, precisando che il tasso d’interesse comprensivo dell’interesse di mora poteva essere quantificato nella percentuale del 10.5%, in contrasto con quanto previsto dal D.M. 27 marzo 1998 (applicabile ratione temporis), indicante quale tasso praticabile per il mutuo quello dell’8.29%.
Fondato, è risultato tale motivo di ricorso relativo all’usurarietà in sé del contratto – sulla base del computo del tasso d’interesse realmente praticato.
Ebbene, gli ermellini hanno ritenuto di dover ricomprendere nel calcolo di quest’ultimo la maggiorazione dovuta a titolo di interesse moratorio, e ciò perché dall’interpretazione degli artt.644 cp, comma 3 e 1815 cc, comma 2, vanno ritenuti usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo.
Peraltro la Corte ha citato una precedente sentenza della Corte Costituzionale, la n.29 del 25 febbraio 2002, nella quale espressamente era stato precisato che “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”. E tale inciso era stato già ripreso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr.Cass., n. 5324/2003).
Se nel calcolo del tasso da raffrontare alla soglia antiusura vanno ricompresi gli interessi praticati “a qualunque titolo”, è evidente che, senza necessità di complessa motivazione, la Corte non ha potuto che cassare la sentenza d’appello, ritenendo errato il ragionamento del Giudice di merito circa la “diversa” natura dell’interesse moratorio.
L’affermazione del Giudice di legittimità, resta oggetto di un accesso dibattito.
Sul punto infatti l’ABF di Napoli, relativamente ad un altro caso già oggetto di approfondimento sulla rivista, aveva espressamente escluso la sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso moratorio nel computo del tasso effettivo praticato, sulla scorta dell’interpretazione del contratto, che prevedeva espressamente il secondo tasso quale sostitutivo del primo.
Certo è che nell’analisi dei costi percentuali effettivi di un contratto di mutuo non può prescindersi dalla corretta interpretazione delle clausole contrattuali, come caso per caso articolate.
Sul punto si rende necessario un approfondimento normativo per comprenderne appieno la complessità della materia.
Così, appare opportuno e necessario partire dal dettato codicistico, ove l’art.644 c.p. così come modificato dalla legge n. 108/1996, stabilisce che:
“Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari [c.c. 1448, 1815], è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000
Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario [c.p. 649].
La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:
1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;
3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;
5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.
Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”
La norma così strutturata, configura una norma penale in bianco il cui precetto è destinato ad essere completato da un elemento esterno, che completa la fattispecie incriminatrice.
Ed è proprio l’art. 2 legge 108/96 a disporre che tale limite è stabilito, mediante decreto del Ministero del Tesoro pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, nel tasso medio praticato dalle banche ed altri intermediari finanziari quale risultante dall’ultima rilevazione che viene effettuata trimestralmente, aumentato della metà.
Appare chiaro dunque come, la nuova formulazione dell’art. 644 c.p. è stata costruita dal legislatore come una “norma penale in bianco”, in cui una parte del precetto è rinvenibile dal 3° comma dello stesso articolo, mentre per un’altra parte (l’individuazione del tasso limite) deve farsi con riferimento ad una fonte esterna diversa di natura amministrativa.
Orbene, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso effettivo globale medio quale risulta dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà in base al disposto dell’art. 2, L. 7 marzo 1996, n. 108.
I tassi soglia non sono fissati dalla Banca d’Italia ma determinati da un automatismo stabilito dalla legge, a partire dai tassi medi di mercato rilevati trimestralmente dalla Banca d’Italia e pubblicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Ed è la Banca d’Italia che fornisce le istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura. La Banca d’Italia nell’agosto 2009 individua quali sono le voci di cui tener conto nel calcolo TEG e quelle che sono escluse.
La Banca d’Italia, con la Comunicazione del 3 luglio 2013, ha reso poi chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura (già oggetto di approfondimento sulla rivista) affermando chiaramente l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo del TEG.
In particolare precisa la Banca d’Italia che SONO ESCLUSI DAL CALCOLO DEL TEG
a) le imposte e tasse;
b) le spese notarili (es. onorario, visure catastali, iscrizione nei pubblici registri, spese relative al trasferimento della proprietà oggetto di lleasing);
c) i costi di gestione del conto sul quale vengono registrate le operazioni di pagamento e di prelievo, i costi relativi all’utilizzazione di un mezzo di pagamento che permetta di effettuare pagamenti e prelievi e gli altri costi relativi alle operazioni di pagamento, a meno che il conto non sia a servizio esclusivo del finanziamento;
d) GLI INTERESSI DI MORA E GLI ONERI ASSIMILABILI CONTRATTUALMENTE PREVISTI PER IL CASO DI INADEMPIMENTO DI UN OBBLIGO
e) con riferimento al factoring e al leasing, i compensi per prestazioni di servizi accessori di tipo amministrativo non direttamente connessi con l’operazione di finanziamento.
Le penali a carico del cliente previste in caso di estinzione anticipata del rapporto, laddove consentite, sono da ritenersi meramente eventuali e quindi non vanno aggiunte alle spese di chiusura della pratica.
Del resto il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, relativo alla pubblicazione dei tassi d’usura sposa le decisioni della Banca d’Italia e riporta all’art.3 comma 2: “le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art.2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia”.
Basti considerare che il tasso di mora è un interesse punitivo legato all’inadempimento e dunque derivante dalla rottura dell’equilibrio sinallagmatico addebitabile ad un evento patologico legato alla sfera volontaria e/o consapevole del cliente che si rende inadempiente.
Data dunque per evidente la diversa natura dei due tipi di interesse, non può che porsi in capo all’interprete il dubbio circa la correttezza “sostanziale” del ragionamento effettuato dalla Corte nella sentenza qui esaminata.
Il dubbio ermeneutico che rimane irrisolto è il seguente: se gli interessi corrispettivi e quelli moratori hanno natura diversa, se essi non gravano contemporaneamente sul debitore e se, infine, sono rilevati separatamente dalla Banca d’Italia ai fini della determinazione del t.e.g.m., quale può essere la ratio della ricomprensione del tasso moratorio nel calcolo complessivo del costo percentuale di un contratto di finanziamento?
Come accennato non si può fare a meno di notare che l’interesse moratorio attiene ad un profilo patologico del rapporto, motivo per il quale includere tale profilo nel costo complessivo di un’operazione di finanziamento può produrre un notevole effetto distorsivo in un meccanismo che mira, invece, a fornire un parametro oggettivo e stabile per la determinazione dell’interesse usurario, sia nell’interesse del cliente che di quello del creditore.
Tale tesi troverebbe una logica conferma dall’analisi dell’art.1224 cc, il quale prevede che “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori”.
Da quest’ultimo enunciato si evince che l’interesse moratorio ha una duplice funzione: da un lato, quella di tenere indenne il creditore dal danno subito per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, dall’altro, predeterminando sostanzialmente la misura di tale danno, quella di “proteggere” il debitore, nella misura in cui al creditore è preclusa l’azione per il risarcimento del maggior danno derivante dall’inadempimento.
Orbene, se si assume che l’inserimento in un contratto di mutuo della clausola relativa alla pattuizione dell’interesse moratorio sia previsto soprattutto nell’interesse del debitore, logica conseguenza dovrebbe essere la mancata ricomprensione di questa peculiare voce (si ribadisce, eventuale) di “costo” nel computo del tasso realmente praticato, da confrontare poi con il “tasso-soglia”.
In altri termini, il tasso moratorio non andrebbe sommato, ab origine, al tasso corrispettivo.
Naturalmente non può ammettersi l’inesistenza di qualsivoglia limite alla libertà delle parti di pattuire un interesse moratorio eccessivamente elevato, pena l’elusione delle finalità dell’intera normativa antiusura.
Una soluzione potrebbe allora essere trovata nella individuazione di un ulteriore e specifico tasso soglia per gli interessi moratori, da calcolarsi tenendo conto del t.e.g.m. maggiorato di 2,1 punti percentuali (sulla base della rilevazione effettuata a partire dal 2003 dalla Banca d’Italia e riportata poi nei vari decreti ministeriali successivi), cui vada poi applicata la formula individuata ratione temporis dell’aumento del 50% (fino al 30 giugno 2011) ovvero dell’aumento di ¼ più 4 punti percentuali (a partire dal 1 luglio 2011).
L’obiezione, anche piuttosto elementare, sta tutta nella natura meramente conoscitiva della rilevazione della maggiorazione del 2,1% effettuata dalla Banca d’Italia, ma tale tesi è sostenuta con particolare vigore dall’A.B.I. e non è affatto priva di una certa validità, in termini di giustizia “sostanziale”.
Senza una modifica normativa in tal senso, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità non può che continuare a muoversi nel solco tracciato dalla sentenza n.350 anche se non mancano orientamenti difformi.
Resta da interrogarsi su un profilo rimasto estraneo a tale pronuncia, vale a dire quello delle conseguenze, sul piano degli effetti, del superamento del “tasso soglia” quando nel tasso praticato siano inclusi gli interessi moratori.
La soluzione più corretta sembra essere quella di limitare la sanzione della nullità prevista dal legislatore al secondo comma dell’art.1815 cc alla sola clausola relativa all’interesse moratorio, con l’effetto che solo quest’ultimo dovrebbe ritenersi non dovuto al creditore, sulla scorta di una corretta applicazione dell’art.1419 cc, quando l’interesse corrispettivo, sommato agli altri costi rilevanti per la determinazione del TAEG non superi da solo il tasso soglia anti-usura.
La sentenza pur tuttavia non può essere esente da critiche atteso che, come detto, il tasso effettivo globale medio, ai fini del calcolo dell’usura, rilevato dalla Banca d’Italia non comprende il tasso moratorio ma solo il tasso corrispettivo.
L’interpretazione così fornita opererebbe un effetto distorsivo richiedendo la rilevazione del costo del denaro non già su elementi fisiologici quali appunto i tassi corrispettivi ma bensì su elementi patologici quali i tassi moratori.
Ad ogni buon conto, pur volendo accettare la decisione della Corte, l’eventuale nullità prevista dal legislatore al secondo comma dell’art.1815 cc si estenderebbe esclusivamente alla sola clausola relativa all’interesse moratorio, con l’effetto che solo quest’ultimo dovrebbe ritenersi non dovuto al creditore, sulla scorta di una corretta applicazione dell’art.1419 cc, quando l’interesse corrispettivo, sommato agli altri costi relativi per la determinazione del TAEG non superi da solo il tasso soglia anti-usura.
La sentenza così interpretata non fornisce, in realtà, un quadro giuridico compatibile con la realtà economica attuale nella quale la rilevazione del tasso soglia usura avviene solo ed esclusivamente sui tassi corrispettivi per cui la funzione attribuita dalla legge 108/1996 è quella di fissare esclusivamente il limite massimo del costo del denaro per gli interessi corrispettivi.
La decisione non ha poi preso in considerazione il disposto dell’art.1224 cc secondo comma e dunque della possibilità di conteggiare la clausola penale pattuita per il ritardo nel tasso soglia rilevante ai fini dell’usura, tenendo ben presente che la Banca d’Italia ha fissato in modo ragionevole l’importo degli interessi moratori nella misura del 2,1%. Tale percentuale è da considerare assolutamente ragionevole rispetto al danno da inadempimento, che può commisurarsi al lucro cessante, nel quale dovranno, di fatto, essere incluse le spese giudiziarie da sostenere e i lunghi tempi di giustizia necessari per conseguire effettivamente il recupero forzoso del credito.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28632/2010 proposto da:
I.D. (c.f. (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
BANCA S.P.A. (C.F. (OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2638/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 02/07/2010;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- I.D. ha convenuto in giudizio la BANCA SPA lamentando che il tasso applicato al contratto di mutuo con garanzia ipotecaria stipulato il 19.9.1996 per l’acquisto della propria casa era da considerare usurario. Il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda volta a sentir accertare l’illegittimità della misura degli interessi stabiliti nel contratto di mutuo, in relazione alla rata di Euro 20.052,48 richiesta con lettera del 6.11.2001, sulla base della considerazione che, ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, per la determinazione degli interessi usurari i tassi effettivi globali medi rilevati dal Ministero del Tesoro ai sensi della citata legge devono essere aumentati della metà. Considerato che il D.M. 27 marzo 1998, emesso dal Ministero del Tesoro, prevedeva per la categoria dei mutui il tasso dell’8.29%, ha quindi, escluso che il tasso contrattualmente fissato potesse essere ritenuto usurario.
La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado evidenziando che i motivi posti a base dell’appello erano aspecifici rispetto alla motivazione della decisione del Tribunale. L’appellante si era limitato ad invocare apoditticamente la natura usuraria degli interessi pattuiti senza contestare i parametri adottati dal primo giudice per valutare la fondatezza della domanda e senza indicare, in concreto, le ragioni di fatto e di diritto idonee a ribaltare la decisione impugnata. Privi di rilevanza erano i riferimenti allo scopo per cui era stato stipulato il mutuo. Infine, la maggiorazione del 3% prevista per il caso di mora non poteva essere presa in considerazione, data la sua diversa natura, nella determinazione del tasso usurario. Da ultimo, ha ritenuto che le richieste istruttorie di ordinare ex art. 210 c.p.c., l’esibizione del carteggio intercorso tra le parti e di ctu contabile che quantificasse le differenze incassate in eccedenza dalla Banca fossero inammissibili per la loro genericità e per il carattere meramente esplorativo nonchè prive di attinenza con i motivi posti a base del gravame.
Inammissibili erano le deduzioni per la prima volta proposte nella comparsa conclusionale ove I.D. cercava di sopperire alle carenze del gravame, indicando, per la prima volta, i tassi, a suo dire applicati (e non quelli pattuiti rilevanti ai fini dell’azione proposta) ed il tasso soglia che riteneva superato.
I motivi, sul punto, non erano specifici.
2.- Contro la sentenza di appello parte attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi con i quali denuncia 1) vizio di motivazione e 2) violazione dell’art. 1421 c.c..
Resiste con controricorso la BANCA SPA quale procuratore della (OMISSIS).
3.1.- Il primo motivo, sub a), contiene riferimenti alla nullità della clausola determinativa degli interessi (con riferimento al tasso ABI) che risulta si proposta in primo grado ma, sebbene implicitamente disattesa dal Tribunale, non risulta specificamente (ma neppure genericamente) riproposta in appello (v. trascrizione dell’atto di appello alle pagg. 3 e 4 del ricorso).
Si che la relativa censura è inammissibile.
Il profilo della censura relativo all’anatocismo, che neppure è menzionato nella sentenza impugnata, risulta dedotto in appello “in considerazione del fatto che con il piano di ammortamento la Banca ha di fatto applicato l’anatocismo vietato dalla legge” (v. trascrizione in ricorso, pag. 4).
Nel motivo di ricorso, invece, parte ricorrente lamenta che la banca “pretende interessi sugli interessi infrannuali come emerge dalle quietanze esibite“.
Trattasi di censura affatto nuova – oltre che generica – come tale inammissibile.
3.2.- Quanto al profilo sub b) (usurarietà dei tassi) va rilevato che parte ricorrente deduce che l’interesse pattuito (inizialmente fisso e poi variabile) era del 10.5%, in contrasto con quanto è previsto dal D.M. 27 marzo 1998, che indica il tasso praticabile per il mutuo nella misura dell’8.29%.
Tale tasso dovrebbe ritenersi usurario a norma della L. n. 108 del 1996, art. 1, comma 4, tanto più ove si consideri che fu richiesto per l’acquisto di un bene primario quale la casa di abitazione e che dovrebbe tenersi conto della prevista maggiorazione di 3 punti in caso di mora.
La censura sub b), nella parte in cui ripete l’assunto – già correttamente disatteso dalla Corte di merito – secondo cui la natura usuraria discenderebbe dalla finalità del mutuo, contratto per l’acquisto della propria casa, è infondata in quanto, ai sensi del nuovo testo dell’art. 644 c.p., comma 3, sono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge ovvero “gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria“.
E, a tale scopo, non è sufficiente dedurre che il mutuo è stato stipulato per l’acquisto di un’abitazione.
La stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perchè dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori“; Cass., n. 5324/2003).
3.3.- Sulla censura sub c) (relativa al mancato accoglimento di istanze istruttorie) va ricordato che “il provvedimento di cui all’art. 210 cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione” (Sez. 2, Sentenza n. 22196 del 29/10/2010). Peraltro, l’esibizione a norma dell’art. 210 c.p.c., non può essere ordinata allorchè l’istante avrebbe potuto di propria iniziativa acquisire la documentazione in questione (Sez. 1, Sentenza n. 149 del 10/01/2003), come nella concreta fattispecie.
Il ricorrente, poi, nulla deduce in ordine alla decisività di tale mezzo istruttorio, anche in considerazione di ciò, che la domanda era limitata alla rata richiesta con lettera del 6.11.2001 e il cui importo risulta determinato in Euro 20.052,48, in relazione alla quale soltanto erano state formulate le conclusioni in primo grado e in appello (“la non debenza dell’importo reclamato dalla banca”).
4.- Quanto al secondo motivo, la censura è infondata, posto che, pur trattandosi di questione (di diritto) rilevabile d’ufficio (nullità della convenzione di interessi usurari), gli elementi in fatto sui quali la questione era fondata e, dunque, l’indicazione del tasso applicato contenuta (soltanto) nella comparsa conclusionale non poteva che essere ritenuta tardiva, tenuto conto della necessità che i motivi di appello, ex art. 342 c.p.c., siano specifici e che con la comparsa conclusionale non possono essere dedotte nuove circostanze di fatto che non siano state già dedotte con l’atto di appello.
E’ vero, infatti, che la deduzione della nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche d’ufficio, non integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere avanzata anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, ma ciò a condizione che “sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio” (Sez. 1, Sentenza n. 21080 del 28/10/2005).
5.- Infine, quanto alle difese della banca e alla reiterazione della questione di nullità dell’atto di citazione, va rilevato che non risulta impugnata con ricorso incidentale l’affermazione della sentenza della corte di merito (che la resistente ritiene erronea) circa la necessità di riproposizione della questione stessa con appello incidentale e la conseguente inammissibilità dell’eccezione.
Si che sul punto si è formato il giudicato interno.
Da ultimo, quanto all’asserita carenza di interesse ad agire dell’attrice in ordine alla proposta domanda di accertamento negativo, è appena il caso di evidenziare che l’interesse è sorto dalla richiesta rivolta dalla banca alla mutuataria. Richiesta che si assume relativa a somme non dovute, previa declaratoria di nullità della pattuizione di interessi che si assumono usurari.
6.- La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta (determinazione del tasso soglia comprensivo della maggiorazione per la mora) con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione per nuovo esame e per il regolamento delle spese.
PQM
La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2013
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