Per gli interessi convenzionali di mora, che hanno natura di clausola penale in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento, trovano contemporanea applicazione l’art. 1815 c.c., comma 2, che prevede la nullità della pattuizione che oltrepassi il “tasso soglia” che determina la presunzione assoluta di usurarietà, ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, e l’art. 1384 c.c., secondo cui il giudice può ridurre ad equità la penale il cui ammontare sia manifestamente eccessivo. Sono infatti diversi i presupposti e gli effetti, giacchè nel secondo caso la valutazione di usurarietà è rimessa all’apprezzamento del giudice (che solo in via indiretta ed eventuale può prendere a parametro di riferimento il T.E.G.M.) e, comunque, l’obbligazione di corrispondere gli interessi permane, sia pur nella minor misura ritenuta equa.
Questo uno dei principi espressi dalla Corte di Cassazione, III sez. civ., Pres. Vivaldi – Rel. D’Arrigo, con la sentenza n. 26286 del 17.10.2019.
Si tratta anche di uno dei principi più controversi della pronuncia della Suprema Corte, perché affida al Giudice ed alla sua discrezionalità di valutare se gli interessi in concreto applicati siano o meno eccessivi, anche a prescindere dal rispetto del tasso soglia, con relativa facoltà di riduzione. In giudizio si potrebbe chiedere in via subordinata una riduzione ad aequitatem nei limiti del “tasso soglia ordinario”, soprattutto se pattuita la clausola c.d. “di salvaguardia”, solo nel caso di mancato superamento del “tasso soglia mora” e nell’ipotesi – piuttosto improbabile – di specifica richiesta avversaria ex art. 1384 c.c. La penale, infatti, può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.
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