Testo massima
In materia di usura bancaria, la diversa natura dell’interesse corrispettivo e di quello moratorio esclude che gli stessi possano essere sommati ai fini della verifica del superamento del tasso soglia.
Essi, infatti, non gravano contemporaneamente sul debitore, laddove dalle pattuizioni contrattuali emerga che l’applicazione dell’interesse moratorio è prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo.
Così si è espresso l’Arbitro Bancario Finanziario Collegio di Napoli, con la decisione del 26.11.2013, resa sul ricorso presentato dal cliente di un Istituto di credito al fine di far dichiarare nulla la pattuizione relativa agli interessi di un contratto di mutuo, siccome usurari e, di conseguenza, non dovuti.
In particolare, parte ricorrente argomentava le proprie doglianze sulla scorta dell’asserzione per la quale il tasso complessivamente da versare alla banca in virtù di un contratto di mutuo doveva essere calcolato sommando al tasso corrispettivo il tasso moratorio, determinato sulla base del tasso REFI aumentato di quattro punti percentuali. Così deduceva che, essendo il tasso REFI pari al 3% al momento della stipula del contratto ed il tasso corrispettivo fisso al 5,65%, doveva ritenersi, ai fini della normativa sull’usura, che il tasso realmente praticato si attestava al 12,65%, con sforamento di oltre quattro punti del c.d. “tasso soglia”.
A sostegno di tale pretesa il cliente citava la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, con la quale è stato chiarito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (cfr.Cass.Civ., sez.I, sent. 09.01.2013 n.350).
Nelle controdeduzioni, l’intermediario contestava nettamente la modalità di calcolo effettuata dal ricorrente, asserendo la non condivisibilità logico-giuridica di quella mera operazione aritmetica basata sulla sommatoria dell’interesse moratorio a quello corrispettivo.
Ricostruiva, all’uopo, la normativa di riferimento (legge n.108/1996), sottolineando come le “istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi” espressamente escludano dal “trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG” (cfr. C4 lett. d) “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”. Citava, inoltre, i “chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” forniti della Banca d’Italia il 3 luglio 2013, secondo cui “gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG”.
Precisava inoltre, come la propria tesi fosse coerente con le disposizioni della normativa sull’usura (legge 108/1996) che definisce usurari gli interessi che superano un certo limite “in corrispettivo di una prestazione di denaro” (cfr.art.644, comma 1 cp) e, dunque, per la determinazione di tale limite deve tenersi conto esclusivamente delle commissioni, remunerazioni e spese (escluse quelle per imposte e tasse) “collegate all’erogazione del credito” (art.644, comma 4 cp).
Ebbene, tali definizioni sosteneva l’intermediario non si attagliano agli interessi moratori, per i quali non vi è collegamento “funzionale all’erogazione del credito ed alla sua remunerazione, stante la diversa natura (risarcitoria) e la debenza del tutto eventuale. Gli interessi moratori, in altri termini, esulano dal rapporto causale del contratto, del quale al contrario presuppongono l’inadempimento.
Seguendo tale ragionamento, la Banca riteneva coerente l’esclusione degli interessi di mora dalle rilevazioni del TEGM effettuate dalla Banca d’Italia e riportate nei decreti ministeriali trimestrali, sottolineando come gli stessi fossero stati rilevati solo nel lontano 2002 quale mera indagine statistica ai fini conoscitivi.
Un eventuale inclusione del tasso moratorio nel calcolo del tasso praticato ai fini dell’usura, costituirebbe peraltro violazione del principio di legalità, nella misura in cui il legislatore ha inteso dettare, con l’art.644 cp, una norma penale “in bianco”, da integrarsi attraverso il sistema normativamente previsto per la rilevazione trimestrale dei tassi di mercato, che mira a fornire un parametro oggettivo, superato il quale l’interesse deve ritenersi ipso facto usurario, tenendo conto di una rigida “griglia” per l’individuazione del “tasso soglia”, che tenga conto di operazioni “omogenee”.
Sulla scorta di tale ultima asserzione, l’intermediario concludeva per l’impossibilità di sommare, nel calcolo del tasso praticato, valori che corrispondono a funzioni totalmente differenti e che possiedono una natura intrinsecamente disomogenea, affermando poi, che diversamente il tasso di mora avrebbe potuto configurarsi paradossalmente quale una sorta di “premio” per l’indadempimento.
In termini pratici, a voler seguire la tesi del mutuatario, essendo il tasso convenzionale nel caso di specie pari al 5,65% ed il “tasso soglia” dell’epoca l’8,09%, il cliente avrebbe avuto “diritto” all’applicazione, in caso di inadempimento, di un tasso moratorio non superiore al 2,44% (pari alla differenza tra il tasso soglia ed il tasso convenzionale), del tutto inferiore al tasso corrispettivo e, quindi, con effetti distorsivi e paradossali.
La difesa svolta dalla Banca giungeva infine a negare validità al principio dettato dalla recente giurisprudenza della Cassazione, con sentenza n.350 del 9 gennaio 2013, secondo cui si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori.
Ebbene, tale principio andrebbe considerato, al più, quale enunciazione di un concetto d’ordine generale, a fronte del quale il legislatore e gli organi deputati ad emanare i necessari provvedimenti attuativi potranno valutare se intervenire o meno per adeguare ad esso l’attuale normativa e la connessa metodologia di determinazione dei c.d. “tassi soglia” che, allo stato attuale, comunque esclude espressamente gli interessi di mora dalle voci oggetto di rilevazione (sui dubbi irrisolti dalla Corte e sui punti critici della sentenza n.350 del 9 gennaio 2013 ci si è già espressi su questa rivista in sede di commento).
Secondo l’istituto di credito, in sostanza, l’interpretazione fornita dalla Corte comunque non poteva condurre all’irragionevole conseguenza di sommare il tasso di mora alle altre voci che determinano il TEG del finanziamento, rilevando infine come il tasso moratorio in sé considerato nel caso di specie risultasse pari al 7%, dunque inferiore comunque al tasso soglia (8,09%) del relativo periodo.
Il Collegio napoletano dell’ABF ha ritenuto totalmente infondate le tesi di parte ricorrente, aderendo alla prospettazione della Banca convenuta, considerato che le argomentazioni dei ricorrenti postulavano una usurarietà contemporanea alla stipula del contratto e non già una usurarietà sopravvenuta, dal momento che fin dal inizio avevano inteso ricostruire il tasso loro applicato come la somma del tasso corrispettivo e del tasso di mora.
Orbene, l’ABF ha rilevato che l’argomentazione del mutuatario si fondava sul presupposto che, nel quadro delle pattuizioni contrattuali, fosse prevista l’applicazione del tasso di interesse attraverso la sommatoria del tasso contrattuale, degli interessi corrispettivi e di quello moratorio, così eccedendo il limite fissato imperativamente dal tasso soglia antiusura.
Tale circostanza, tuttavia, è risultata palesemente smentita tanto dalle prescrizioni contrattuali, dove l’applicazione dell’interesse moratorio era prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo, quanto dal resto della documentazione versata in atti.
Sulla scorta di tali considerazioni, il Collegio ha concluso per il rigetto il ricorso, in ciò confermando il proprio precedente orientamento (per il quale si veda decisione n.5877del 20 novembre 2013, già oggetto di approfondimento su questa rivista), con una decisione degna di nota per chiarezza espositiva del principio giuridico nonché per la ritenuta superabilità dell’orientamento di recente espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.350/2013.
Quest’ultima, come ha sottolineato l’intermediario nelle proprie difese, pare essere il frutto di un equivoco, in quanto l’art.1815 cc e l’art.644 cp fanno riferimento per l’individuazione degli interessi usurari, solo agli interessi previsti come corrispettivo di un finanziamento (e dunque non a quelli moratori).
Infatti l’inciso “a qualunque titolo” è stato trasferito nell’art.1, comma 1, della legge di interpretazione autentica dell’art.1815 cc (1. 24/2001) dall’art. 1, comma 1 della I. 108/1996 laddove, nell’ambito dell’elencazione di tutte le voci rilevanti ai fini del calcolo del TEGM (interessi, commissioni, “remunerazioni a qualsiasi titolo”, spese) era per l’appunto riferito al termine “remunerazioni” e non agli interessi.
Nella norma di interpretazione autentica, cui si riferisce la Cessazione per trarre il controverso principio di diritto già riportato, sono stati peraltro menzionati i soli interessi, aggiungendo ad essi la locuzione “a qualsiasi titolo” (probabilmente per sottolineare l’identità della materia oggetto di interpretazione).
Ne consegue che delle due l’una: o si ritiene che questa seconda norma abbia eliminato dal calcolo del TEGM gli ulteriori oneri rappresentati da commissioni, remunerazioni e spese (il che nessuno si è mai spinto a sostenere) oppure che l’inciso “a qualunque titolo” non può che essere riferito a queste voci (il cui elemento unificante è costituito dalla loro natura remunerativa) e non già agli interessi moratori.
Da qui la considerazione che la Cassazione ha inteso dettare un principio generale, in una prospettiva de iure condendo, il quale può essere tranquillamente superato quando, come nel caso di specie, ci si trovi di fronte a pattuizioni contrattuali che espressamente prevedono i due tassi d’interesse come sostitutivi e non additivi.
In conclusione, l’errore più frequente in cui incorre solitamente il cliente che lamenti l’applicazione di interessi usurari è dato dall’infondata operazione aritmetica di sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso moratorio, ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia.
Tale addizione è solitamente frutto di un’imprecisa lettura delle clausole contrattuali, laddove da queste ultime possa evincersi chiaramente la sostitutività del tasso moratorio rispetto al tasso corrispettivo
Testo del provvedimento
Arbitro Bancario Finanziario
Risoluzione Stragiudiziale Controversie
COLLEGIO DI NAPOLI
Relatore MAIMERI FABRIZIO
Nella seduta dei 26/11/2013 dopo aver esaminato:
– il ricorso e la documentazione allegata
– le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
– la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Con ricorso presentato il 12 settembre 2013, il ricorrente, insieme all’intestatario del rapporto controverso, rappresentati da un soggetto di loro fiducia, hanno precisato che il contratto di mutuo stipulato stabilisce, all’art. 4, che il tasso di interesse per il periodo di ammortamento è dovuto nella misura del 5,65% e che, “su ogni somma dovuta a qualsiasi titolo in dipendenza del contratto (dunque, anche a titolo di interessi), debbano essere corrisposti interessi di mora”, calcolati in misura pari al c.d. Tasso REFI, maggiorato di quattro punti percentuali. Evidenziano che, alla data della stipula del contratto il tasso REFI era del 3% annuo, sicché il tasso di mora avrebbe dovuto essere calcolato in misura pari al 7% annuo, rendendo, in tal modo, l’interesse complessivo da versare, sul capitale mutuato, nell’ipotesi di mora, pari ai 12,65%, ossia oltre quattro punti percentuali oltre il tasso soglia stabilito per il trimestre in questione (ai sensi della legge 108 del 1996, dei successivi decreti ministeriali applicativi, e della tabella pubblicata sul sito della Banca d’Italia).
Evidenziano altresì l’assenza di una clausola di salvaguardia. Richiamano altresì l’art. 1815 c.c. “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e la sentenza n. 350 del 9 gennaio 2013, con cui la Suprema Corte ha statuito che “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”. L’inciso “a qualunque titolo” consente di ricondurre alla definizione resa anche gli interessi moratori dovuti in seguito alla stipula di un contratto di mutuo (Corte cast. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori'”; Cass, n. 5324/2003).
Con la predetta pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ritiene, inequivocabilmente, che, al fine di classificare un Mutuo come usurario, per la determinazione del tasso soglia, rilevano anche il tasso di mora nonché le altre spese sostenute dalla parte mutuatane qualora, sommate, sconfinino oltre le determinazioni stabilite dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze vigente.
Nelle controdeduzioni l’intermediario riferisce che il 16 febbraio 2009 concedeva ai ricorrenti un mutuo fondiario dell’importo di euro 330.000,00 con durata dell’ammortamento in mesi 360 (30 anni) e rate mensili determinate nell’importo di euro 1.904,88 al tasso di interesse pattuito (cfr. art. 4 del contratto di mutuo) in misura fissa nello 0,470833% mensile, “pari al tasso nominale annuo del 5,65%”. Gli interessi di mora risultavano parametrati al “tasso pro tempore vigente durante la mora per le operazioni dí rifinanziamento marginale (marginal lending facility) fissato dalla Banca Centrale Europea (attualmente pari al 3%) e pubblicato (…) maggiorato di 4 punti percentuali annui”.
Ciò precisato in punto di fatto, l’intermediario osserva che la presunta usurarietà delle condizioni del mutuo, derivante dal superamento del tasso soglia di periodo, conseguente alla sommatoria tra il tasso convenzionale e il tasso moratorio è frutto un’interpretazione, non condivisibile, che non trova seguito in giurisprudenza, né risulta fondata sulla vigente normativa, basata com’è su di una mera operazione aritmetica, esercitazione accademica foriera di un risultato privo di qualsivoglia fondamento logico normativo. Riepiloga quindi la normativa di riferimento (legge n. 108/1996) e sottolinea come le “istruzioni per la rilevazione” dei tassi effettivi globali medi” espressamente escludano dal “trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG” (cfr. C4 lett. d) ‘gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”.
Inoltre, cita i recenti “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” della Banca d’Italia del 3 luglio 2013, secondo cui “gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG”.
Tale impostazione è d’altronde coerente con le disposizioni della legge 108/1996 che, nel – descrivere la fattispecie del reato d’usura, definisce come usurari gli interessi che superano un certo limite “in corrispettivo di una prestazione di denaro”, (art. 644, comma 1, c.p.) e precisano ulteriormente che per la determinazione di tale limite deve tenersi conto esclusivamente delle commissioni, remunerazioni e spese (escluse quelle per imposte e tasse) “collegate all’erogazione del credito” (art. 644 cit., comma 4). Definizioni che ben difficilmente si attagliano agli interessi moratori, per i quali non è ravvisabile collegamento funzionale all’erogazione del credito ed alla sua remunerazione, stante la diversa natura (risarcitone) e la debenza del tutto eventuale. Mentre, infatti, gli interessi corrispettivi concorrono ed integrare il sinallagma contrattuale (rappresentandone la causa), gli interessi di mora, esulano dal rapporto causale del contratto, dei quale al contrario presuppongono l’inadempimento.
Del tutto giustificata quindi – e conforme alla legge – è l’esclusione degli interessi moratori da parte della Banca d’Italia sin dalle prime istruzioni del 1998 e, da parte del Ministro del Tesoro, sin dal primo decreto ministeriale del 1998. Ed è dunque un dato di fatto indiscutibile che il tasso di mora non rientra nei tassi effettivi globali medi (“i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora”, cfr. i decreti ministeriali emanati nel tempo), come indirettamente confermato dalla circostanza che sin dall’entrata in vigore la l. 108/1996 il valore dei tassi moratori è stato rilevato solo una volta (nel lontano 2002) e a soli fini conoscitivi (“l’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente parti a 2,1 punti percentuali” (cfr. ad es. decreto ministeriale del 18 giugno 2010, che, come tutti i decreti successivamente pubblicati continua a menzionare tale dato nonostante sia oramai totalmente obsoleto perché disallineato sul piano temporale).
Secondo l’intermediario dunque il legislatore ha rimesso l’integrazione della norma penale al sistema di rilevazione trimestrale dei tassi di mercato (che non include però gli interessi di mora), sicché eventuali interpretazioni diverse dall’impianto normative/regolamentare in essere (come quella prospettata dai ricorrenti) costituirebbero violazione del principio di legalità (art. 25, comma 2 della Costituzione), oltre che del divieto di interpretazione estensiva/analogica che pure caratterizza la materia penale. D’altra parte, la previsione di un tasso oggettivo, superato il quale l’interesse deve ipso facto considerarsi usurario, in omaggio ad un meccanismo di presunzione assoluta, risponde alla ratio di eliminare le incertezze che avevano caratterizzato precedentemente l’individuazione del reato d’usura. L’attuale apparato normativo, quindi, per conseguire questa esigenza di determinatezza (c.d. usura oggettiva) presuppone una rigida “griglia” di individuazione del tasso soglia classificato per categorie di operazioni omogenee, tenendo conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata dei finanziamenti, dei rischi e delle garanzie. La rigidità del parametro preclude quindi qualsiasi aggiustamento/adeguemento in sede di applicazione, tant’è che nel periodo transitorio tra l’entrata in vigore della legge 108/1998 e la prima rilevazione dei tassi medi, la fattispecie di cui all’art.. 644 c.p., per quanto vigente, risultò non applicabile.
A conferma ulteriore della correttezza della ricostruzione proposta, richiama anche la metodologia adottata in occasione della revisione del regime commissionale per remunerazione degli affidamenti su conto corrente (sostitutivo della CMS), laddove, in coerenza con la disciplina introdotta dalle norme, di cui all’art. 2-bis della l. 2/2009, la Banca d’Italia è dovuta intervenire con l’emanazione di nuove istruzioni per la rilevazione delle soglie d’usura, che includevano anche le nuove commissioni sostitutive nel conteggio utile alla determinazione del T.E.G.M.
È evidente, quindi, a dire dell’intermediario, l’irragionevolezza del confronto o addirittura della somma del tasso di mora con i tassi corrispettivi (cosi come con i tassi effettivi globali medi), trattandosi di valori che corrispondono a funzioni totalmente differenti, la cui aggregazione non sarebbe possibile sul piano logico, attesa la loro intrinseca disomogeneità, oltre che il contrasto con i meccanismi di rilevazione dei tassi di interesse effettivi globali medi ai fini della legge sull’usura, che non tollerano l’introduzione estemporanea di altre e diverse voci rispetto a quelle previste nelle note metodologiche della Banca d’Italia. Ad ulteriore conferma della improponibilità del criterio prospettato dai ricorrenti segnala infine che, a ben vedere, in tal modo, si trasformerebbe il tasso di mora in una specie di “premio”, piuttosto che in una sanzione per l’inadempimento.
Ad esempio nel caso di specie, stante che il mutuo prevedeva un tasso convenzionale del 5,65% e che all’epoca della stipula il c.d. “tasso soglia” risultava pari all’8,09%, ne conseguirebbe (seguendo il ragionamento dei ricorrenti) l’impossibilità di applicare un tasso di mora superiore al 2,44% (8,09% – 5,65%), inferiore a quello degli interessi corrispettivi, con effetti, evidentemente, del tutto distorsivi e paradossali. Posto quanto sopra, il criterio proposto dai ricorrenti non risulta neppure in alcun modo desumibile dalla invocata sentenza n. 350 della Corte di Cassazione.
Infatti, fermo poi che le sentenze della Corte di Cassazione (per quanto autorevoli) fanno stato solo fra le parti e non producono (né potrebbero produrre) modifiche normative, evidenzia come il criterio proposto dagli odierni ricorrenti non risulti in alcun modo desumibile (neppure implicitamente) dalla predetta sentenza. Questa, infatti, a ben vedere, si è limitata ad affermare che “ai fini dell’applicazione dell’art.644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”.
La sentenza, peraltro, pare essere frutto di un equivoco, laddove si abbia a mente (come già evidenziato) che l’ad, 644 c.p. e l’art. 1815 c.c. fanno riferimento, per l’individuazione degli interessi usurari, solo agli interessi previsti come corrispettivo di un finanziamento (e dunque non a quelli moratori).
L’inciso “a qualunque titolo” è stato trasferito nell’art.1, comma 1, della legge di interpretazione autentica (1. 24/2001) dall’art. 1, comma 1 della I. 108/1996 laddove, nell’ambito dell’elencazione di tutte le voci rilevanti ai fini del calcolo del TEGM (interessi, commissioni, “remunerazioni a qualsiasi titolo”, spese) era per l’appunto riferito al termine “remunerazioni” e non agli interessi. Nella norma di interpretazione autentica, cui si riferisce la Cessazione per trarre il principio di diritto sopra riportato, sono stati peraltro menzionati i soli interessi aggiungendo ad essi la locuzione “a qualsiasi titolo” (probabilmente per sottolineare l’identità della materia oggetto di interpretazione); ne consegue che delle due l’una: o si ritiene che questa seconda norma abbia eliminato dal calcolo del TEGM gli ulteriori oneri rappresentati da commissioni, remunerazioni e spese (il che nessuno si è mai spinto a sostenere) oppure che l’inciso “a qualunque titolo” non può che essere riferito a queste voci (il cui elemento unificante è costituito dalla loro natura remunerativa) e non già agli interessi moratori.
Fermo quanto sopra, al più deve ritenersi che tale sentenza si sia limitata ad enunciare un concetto d’ordine generale a fronte dei quale il legislatore e gli organi deputati ad emanare i necessari provvedimenti attuativi potranno valutare se intervenire o meno per adeguare ad esso l’attuale normativa e la connessa metodologia di determinazione dei c.d. “tassi soglia” che, allo stato attuale, comunque esclude espressamente gli interessi di mora dalle voci oggetto di rilevazione.
In ogni caso la statuizione richiamata non comporta certo l’irragionevole conseguenza di sommare, ai fini del controllo dell’eventuale superamento delle “soglie d’usura” il tasso di mora alle altre voci che determinano il TEG del finanziamento, come propongono i ricorrenti.
In conclusione, la prospettazione dei ricorrenti inerente il superamento del tasso soglia risulta inficiata dalla stessa erroneità della premessa circa il metodo di calcolo da loro adottato e dalla mancata evidenza sul piano probatorio del fatto che il tasso soglia sia stato in concreto superato per effetto del computo degli interessi di mora.
Nel descritto contesto, l’eventuale accoglimento del ricorso risulterebbe ingiustificatamente penalizzante per l’intermediario che si troverebbe – suo malgrado- ad aver concesso a titolo gratuito un mutuo di euro 330.000,00 con rimborso trentennale; ciò, pur in assenza di violazione alcuna della normativa (avendo anzi operato nel rispetto delle disposizioni in materia) e sulla base di un parametro (tasso convenzionale + tasso mora) che non solo non trova fondamento in alcuna fonte (né normativa, né giurisprudenziale) ma risulta oltre che errato anche del tutto illogico.
Nella specie, d’altronde, il mutuo risulta in regolare ammortamento (risultano essere stati addebitati interessi di mora per soli euro 27,46 in relazione a ritardato pagamento delle rate di giugno e luglio 2011).
Ancora e per mero scrupolo argomentativo, l’intermediario rileva come il tasso moratorio in sé considerato (7%) risulti comunque inferiore al tasso soglia (8,09%) del relativo periodo; e che, se anche in futuro dovesse essere applicato (per esclusivo fatto dei ricorrenti che si rendessero inadempienti), sarebbe esso solo ad essere applicato, Infatti la diversa natura rivestita dalle due tipologie di interessi (corrispettivi e moratori) esclude che gli stessi possano essere sommati, non potendo gravare contemporaneamente sul debitore. Come noto, infatti, in materia finanziaria l’interesse, nel momento in cui si rende disponibile (ovvero alla scadenza di pagamento) diventa capitale.
Ad abundantiam evidenzia infine che le proprie procedure prevedono controlli che consentono di assicurare il rispetto da parte della stessa dei tassi soglia pro tempore vigenti in relazione al contratto di mutuo de quo.
In relazione alle tesi sostenute, í ricorrenti hanno chiesto che sia “dichiarata la nullità parziale del contratto di mutuo, ex art. 1419, comma 2, c.c. e, conseguentemente, il rimborso di tutte le somme versate, dall’inizio del rapporto, a titolo di interessi (di ammortamento e di mora), e chiedono che sia ordinato, alla banca, di astenersi, per il prosieguo, dall’addebitare qualsiasi tipo di interessi sulle rate a scadere”. L’intermediario ha chiesto di riconoscere e dichiarare non accoglibile il ricorso in quanto manifestamente immotivato, e comunque del tutto infondato in fatto come in diritto.
DIRITTO
Le argomentazioni dei ricorrenti postulano una usurarietà contemporanea alla stipula del contratto e non già una usurarietà sopravvenuta dal momento che fin dal inizio intendono ricostruire il tasso loro applicato come la somma del tasso corrispettivo e del tasso di mora. La domanda dei ricorrenti si fonda sui presupposto che, nel quadro delle pattuizioni contrattuali, fosse prevista l’applicazione del tasso di interesse attraverso la sommatoria del tasso contrattuale, degli interessi corrispettivi e di quello moratorio cosi eccedendo il limite fissato imperativamente dal tasso soglia antiusura. Tale circostanza risulta tuttavia palesemente smentita tanto dalle prescrizioni contrattuali, dove l’applicazione dell’interesse moratorio è prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo, quanto dal resto della documentazione versata in atti.
Queste considerazioni inducono il Collegio, in analogia con un orientamento già manifestato, a rigettare il ricorso.
PQM
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
GIUSEPPE LEONARDO CARRIERO
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno