ISSN 2385-1376
Testo massima
Interessi corrispettivi ed interessi di mora non si cumulano al fine della valutazione di usurarietà di un contratto di finanziamento in quanto i due tipi di tassi sono assai diversi tra loro per natura e funzioni in quanto si tratta di entità giuridicamente ed economicamente disomogenee, costituendo i primi la misura di remunerazione del capitale concesso in credito (e, per quanto qui interessa, di rimborso dei connessi costi) e i secondi quella del risarcimento del danno, dovuto in caso di inadempimento del conseguente obbligo restitutorio, come conferma la stessa rubrica dell’art.1224 cc.
Gli elementi di costo del credito che non siano contemplati nel calcolo dei tassi soglia non possono essere assoggettati all’applicazione della normativa antiusura.
È giuridicamente scorretto estendere agli interessi moratori la specifica disciplina sanzionatoria prevista, agli effetti civili, dall’art.1815, 2° comma cc.
Qualora la pattuizione del tasso moratorio appaia manifestamente iniqua, si applicherà, anche d’ufficio, la disciplina di cui all’art.1384 cc, che prevede la riducibilità della clausola penale eccessiva e non la nullità punitiva ex art.1815 secondo comma cc.
In questi termini si è pronunciato l’Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di coordinamento, con una decisione – la n.1875 del 28 marzo 2014 – che si inserisce a pieno titolo tra quelle più interessanti nel recente dibattito sulla computabilità degli interessi moratori al fine dell’applicazione della normativa antiusura. contribuendo ad arricchirlo di elementi e riflessioni ulteriori.
Nell’analisi della decisione è opportuno prendere le mosse dall’esame del caso di specie: la controversia trae origine dal ricorso presentato da una società titolare di un rapporto di conto corrente e di apertura di credito con tasso nominale al 5% e tasso di mora al 16,3875%, deducendo, anche con riferimento alla pronuncia della Suprema Corte 9/01/13 n. 350, l’usurarietà del tasso derivante dalla sommatoria dei due valori, rispetto al tasso soglia del periodo (16,3785%).
Emerge fin da subito un dato di fatto: a meno di non accogliere la tesi della sommatoria aritmetica del tasso corrispettivo e di quello moratorio (ormai bocciata quasi unanimemente dalla giurisprudenza di merito, a dispetto delle “fantasiose” interpretazioni del dictum della nota Cassazione n.350/2013 – ex multis, cfr. Tribunale di Trani, ordinanza del 10-03-2014), non si versa in ipotesi di usurarietà, atteso che sia l’interesse corrispettivo, sia quello moratorio sono al di sotto della soglia di riferimento (il moratorio, per la verità, coincide con la soglia).
A riprova dell’insussistenza di alcuna fattispecie usuraria, la previsione contrattuale della c.d. “clausola di salvaguardia” (per la quale si veda Trib. di Napoli, sezione quinta bis, dott.ssa Monica Cacace, Ordinanza del 09-01-2014), mediante la quale le parti hanno convenuto che il finanziato non possa mai essere obbligato al pagamento di interessi superiori al tasso soglia, pattuizione che escluderebbe anche l’eventuale configurabilità dell’usura “soggettiva” (peraltro non dedotta in tale controversia).
Sul cumulo aritmetico dei due tassi, l’ABF è subito e chiaramente contrario.
L’argomentazione è semplice e lineare: perché possa aversi la sanzione di cui all’art.1815, secondo comma cc, occorre che gli interessi siano “promessi o comunque convenuti” con effetto giuridicamente rilevante. “Da ciò discende che la somma che il ricorrente propone può essere presa in considerazione solo se ad essa corrisponde una somma di obblighi di pagamento”.
Ciò non accade quando vengano in rilievo gli interessi moratori, che sono e restano alternativi rispetto agli interessi corrispettivi. In sostanza, “la somma aritmetica proposta dal ricorrente non corrisponde alla individuazione di alcun obbligo di pagamento assunto con il contratto, ma, al contrario, contraddice alle pattuizioni intercorse ed è perciò priva di base giuridica”.
In tal modo, è presto smentita la prospettazione da più parti formulata all’indomani della citata sentenza n.350/2013.
L’importanza della pronuncia in commento, tuttavia, non si ferma a tale – ormai consolidata – affermazione. Tra i quesiti posti dal Collegio remittente, infatti, vi è quello della possibilità o meno di assoggettare gli interessi moratori alla disciplina sanzionatoria prevista dall’art.1815, secondo comma cc.
A tal proposito la Corte di Cassazione sembra chiara nel rispondere positivamente a tale domanda: anche gli interessi moratori devono sottostare alla soglia di usura, in virtù soprattutto dell’inciso “a qualunque titolo” promessi o convenuti, di cui alla norma di interpretazione autentica dell’art.1815, comma 2 (d.l.. 324/2000, convertito dalla L. 24/2001).
L’orientamento, tuttavia, non è “insuperabile”.
Come già si era sottolineato in sede di commento all’ordinanza del Tribunale di Trani del 10-03-2014 sussistono margini per ritenere che, in realtà, gli interessi moratori non abbiano rilievo ai fini dell’applicazione della normativa antiusura, ed il Collegio di coordinamento sembra dare “consistenza” ai dubbi sollevati su questa rivista.
Due gli aspetti che depongono a favore di una revisione dell’orientamento espresso dai giudici di legittimità:
1) la profonda diversità ontologica e funzionale tra le due categorie di interessi: “gli interessi corrispettivi sono stabiliti in dipendenza di un equilibrio concordato che determina anche i termini temporali in cui lo spostamento di disponibilità di una somma di denaro da un soggetto all’altro abbia effetto. Al contrario, gli interessi moratori compensano il creditore per la perdita di disponibilità di somme di denaro che esso non ha accettato, ma che solo subisce per effetto del ritardo nel pagamento che gli è dovuto e per un periodo di tempo non prevedibile. Il fatto che la misura degli interessi moratori possa essere preconcordata tra le parti non incide sulla differenza rilevata perché preliquidare l’ammontare del danno non muta la natura giuridica del debito risarcitorio”.
L’ABF insiste sulla natura risarcitoria degli interessi moratori e tale natura non può che far propendere per un’irrilevanza degli stessi ai fini dell’applicazione della legge n.108/1996, che invece è volta a colpire le voci di costo un prestito che costituiscano, direttamente o indirettamente, la “remunerazione” del capitale.
“Remunerazione” è il termine che compare nella legge 108/1996, mentre l’art.644 cp punisce chi si fa “dare o promettere […] in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari”, e soprattutto, se l’intero impianto normativo è volto a sanzionare il creditore che “imponga” interessi usurari, non può rilevare a tal fine l’applicazione di quel particolare tasso d’interesse dipendente da un fatto del debitore (l’inadempimento) e che è volto a ristorare il creditore per il danno conseguente all’inadempimento.
2) il peculiare procedimento di rilevazione del TEGM trimestrale e di conseguente individuazione del “tasso soglia” di riferimento.
Questo è l’aspetto su cui l’Arbitro si appunta con particolare interesse ed attenzione.
Il presupposto della riflessione è il seguente: la ratio della legge n.108/1996 è ricreare un sistema basato su soglie rigorosamente “oggettive” (in cui l’usura “soggettiva” rappresenta un’ipotesi meramente residuale) di usurarietà. In tal senso, la legge non fissa una volta per tutte tali soglie ma, più realisticamente e opportunamente, individua il procedimento di rilevazione del TEGM e di individuazione dei “tassi soglia” per categorie omogenee di operazioni.
Non sembra coerente, allora, con tale impostazione, comparare con le soglie di usura elementi che non contribuiscono a formare queste ultime – attraverso le rilevazioni trimestrali – e, come noto, gli interessi moratori non rientrano tra le “voci” che compongono il TEGM riscontrato dalla Banca d’Italia.
In sostanza, se non esiste “perfetta” simmetria tra i termini da comparare (il tasso d’interesse ed il tasso soglia) non può avvenire la comparazione, pena l’effettuazione di un’operazione priva di logica e del tutto antigiuridica. Infatti, “così come sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi pattiziamente convenuti per una data operazione di credito con i tassi soglia di una diversa tipologia di operazione creditizie, così come sarebbe palesemente scorretto calcolare nel costo del credito convenzionalmente pattuito gli addebiti a titolo di imposte, altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione ai fini della individuazione dei tassi soglia, perché in tutti i casi si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria”.
Sulla base di tali argomentazioni, il Collegio di coordinamento ritiene superabile la giurisprudenza di legittimità e le stesse affermazioni della Corte Costituzionale (“l’indicazione fornita [da quest’ultima] è un chiaro obiter dictum e si dovrebbe dimenticare tutto ciò che si è appreso circa l’analisi dei precedenti giurisprudenziali per dare valore se non vincolante, almeno pregnante, ad un inciso come quello formulato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 25/02/02 n. 29. Tanto più che dal contesto sembra emergere che la Corte intendesse solamente non escludere che i tassi moratori possano essere presi in considerazione al fine della formazione dei tassi soglia”), giungendo alla conclusione che seguire tale orientamento “equivale a dichiarare il disvalore dei tassi moratori ed a renderli come immeritevoli di tutela, assoggettandoli ad un soglia limite che non è la loro”.
Naturalmente ciò non equivale a dire che gli interessi moratori siano svincolati da qualunque controllo. L’ABF intende solo escludere che la tutela del mutuatario rispetto all’iniquità del tasso moratorio possa trovare la propria fonte nella normativa antiusura.
Se non è la legge n.108/1996 a disciplinare tale aspetto, il rimedio andrà trovato nell’applicazione dell’ordinaria disciplina codicistica dell’inadempimento e della clausola penale.
Per tale motivo il Collegio conclude per l’applicabilità, alla fattispecie sottoposta al proprio esame, dell’art.1384 cc (“Riduzione della penale – La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”). In altre parole, quando l’interesse moratorio, a prescindere dalle valutazioni in ordine alla sua usurarietà, sia manifestamente “iniquo” (e nella fattispecie all’esame dell’ABF è evidente la sproporzione tra il tasso corrispettivo, fissato al 5%, e quello moratorio, pattuito al 16,3785%), il Giudice può procedere anche d’ufficio alla sua riduzione.
Per compiere tale valutazione, il giudice può certamente far riferimento anche a quella rilevazione effettuata, a meri fini statistici, nel 2001 dalla Banca d’Italia relativamente ai tassi moratori (che individuava nel 2,1% il valore mediamente praticato dagli intermediari quale interesse di mora), che non può essere, allo stato, utilizzata al fine dell’individuazione di una “soglia” vera e propria, ma costituisce un valido parametro orientativo rispetto all’applicazione dell’art.1384 cc.
Le conclusioni a cui è giunto l’Arbitro Bancario Finanziario apriranno un nuovo dibattito tra le “fazioni” delineatesi all’indomani della sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione. Certo è che, a fronte delle recenti pronunce di merito contrarie al dictum degli ermellini, un intervento chiarificatore degli stessi Giudici di legittimità, o – ancor meglio – una riforma dell’intera materia da parte del legislatore sarebbe auspicabile, onde evitare il prodursi di un contenzioso ancor più ingente, destinato a produrre una giurisprudenza inevitabilmente oscillante.
Il rigore argomentativo del Collegio, tuttavia, sembra lasciare pochi dubbi sul fatto che, così come configurato, il sistema normativo antiusura non pare idoneo a risolvere – logicamente e giuridicamente – quello che ormai può definirsi il “dilemma” degli interessi moratori.
Può trarsi la seguente conclusione: giacché non può elidersi totalmente la lettera della normativa antiusura (nella sua interpretazione autentica ex d.l.324/2000 e l.24/2001), né può svuotarsi completamente di valore il dictum nomofilattico della Suprema Corte, l’orientamento dell’ABF può suggerire la ricostruzione di un sistema normativo in cui, da un lato, l’art.1815, secondo comma, cc punisce con la sanzione della nullità ogni pattuizione “corrispettiva” (ivi compresi i costi c.d. “accessori” volti indirettamente alla remunerazione del capitale) che superi il tasso soglia di riferimento. Dall’altro lato, il medesimo rimedio non può applicarsi alle pattuizioni concernenti il tasso di mora, la cui funzione è quella di “preliquidare” il debito risarcitorio del cliente che si renda inadempiente.
L’iniquità della mora, dunque, va “corretta” attraverso l’ordinario rimedio della riduzione della penale ex art.1384 cc, per l’applicazione del quale il Giudice si troverà comunque ad assumere come parametro di riferimento le soglie di usura (eventualmente aumentate, secondo l’interpretazione via via seguita, con il valore “statistico” del 2,1% rilevato dalla Banca d’Italia in relazione agli interessi moratori).
Attraverso tale ricostruzione, il sistema conserva una certa “coerenza”, nella misura in cui gli interessi moratori pattuiti in un contratto di finanziamento dovranno comunque sottostare (quale che sia il rimedio codicistico specificamente utilizzabile dal cliente) alle soglie di usura, secondo quanto stabilito dalla Cassazione con la discussa sentenza n.350/2013, ferma restando la necessità di valutare autonomamente i tassi corrispettivi e con la conseguenza che l’usurarietà derivante dall’applicazione della mora comporterà la riduzione degli interessi dovuti entro la soglia e non la nullità tout court delle clausole relative agli interessi.
Tale interpretazione è vieppiù coerente con la tesi di chi sostiene che l’applicazione degli interessi moratori siccome meramente eventuale al momento della pattuizione possa configurare, al più, un’ipotesi di usurarietà sopravvenuta.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 250/2014