“È noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della l. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso.”
PREMESSA
Con l’ordinanza n. 23192 del 4 ottobre 2017, la Corte di Cassazione sembra aver “riaperto la strada” al cumulo interessi corrispettivi ed interessi moratori ai fini della verifica di usurarietà.
Si consentirà di notare come, tuttavia, da una più approfondita lettura della pronuncia emerga quanto i giudici di legittimità abbiano – con “frettolosa” motivazione – perso l’ennesima occasione per chiarire alcuni dei punti cardine del contenzioso bancario in materia di usura, riversando nuova incertezza nelle aule dei tribunali di merito.
Se, infatti, nel “caos” interpretativo della disciplina ex l. 108/1996 si erano raggiunti alcuni punti fermi, tra questi poteva certamente annoverarsi l’infondatezza di tutte quelle prospettazioni, giuridiche e contabili, che dalla nota Cass. Civ. 350/2013 avevano strumentalmente tratto la necessità di cumulare interessi corrispettivi ed interessi di mora ai fini del raffronto al c.d. tasso soglia.
Operazione sonoramente bocciata, sin da subito, dalla giurisprudenza di merito, quale “errore di carattere logico, oltre che giuridico” (*), la tesi del cumulo aveva in sé (e continua ad avere) un doppio svantaggio: in primis, quello di sommare tra di loro elementi aritmeticamente disomogenei secondo una semplicistica addizione che non tiene conto della distinta base di calcolo (l’intero capitale mutuato per un dato periodo di ammortamento, nel caso degli interessi corrispettivi, la quota di obbligazione restitutoria rimasta inadempiuta, per un lasso di tempo differente, nel caso degli interessi moratori); in secundis, l’inconciliabilità logica di considerare unitariamente due tassi “pensati” per essere applicati (salve le eccezioni dei singoli casi di specie) in via alternativa tra loro.
Se a ciò si aggiunge la considerazione che una pattuizione originariamente usuraria produce, non solo le conseguenze civilistiche di cui all’art. 1815, secondo comma cc, ma anche e soprattutto il configurarsi dell’elemento oggettivo del reato ex art. 644 cp, ben si comprende l’allarme destato da una prima lettura della pronuncia di legittimità oggi in commento, come da ogni decisione che incida così radicalmente sulla individuazione delle componenti rilevanti ai fini del rilevo (ex post) del tasso usurario.
LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE
È opportuno pertanto approfondire l’iter argomentativo della Suprema Corte, allo scopo di comprendere se essa abbia inteso realmente tracciare una “nuova via” o se – a ben vedere – si sia limitata a muovere i propri passi su “sentieri” già noti.
La decisione trae origine dal ricorso in opposizione ex art. 98 l.fall. interposto da una banca avverso il provvedimento di esclusione dallo stato passivo di un fallimento limitatamente alla quota interessi vantata in relazione ad un rapporto di mutuo fondiario.
In particolare, il giudice delegato, prima, ed il tribunale, poi, avevano ritenuto di non poter riconoscere gli interessi moratori risultati usurari al momento della pattuizione e, conseguentemente, avevano concluso per la nullità tout court della clausola determinativa degli interessi (tanto corrispettivi, quanto moratori).
Avverso detta decisione, la banca ha pertanto promosso ricorso per cassazione, sul presupposto che, nel caso di affermata nullità degli interessi usurari moratori, detta nullità non potrebbe colpire gli interessi corrispettivi pattuiti entro la soglia.
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso perché “manifestamente infondato”, si è limitata a motivare sinteticamente il rigetto, richiamando il dettato dell’art. 1815, co. 2, c.c., a mente del quale “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e la disposizione di cui all’art. 1 d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in l. 28 febbraio 2001, n. 24, per la quale si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
Secondo gli Ermellini, “il legislatore […] ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore”.
Segue il puro e semplice richiamo, riportato in epigrafe, al dictum della recente ordinanza n. 5598/2017, secondo cui “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della l. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso”.
IL COMMENTO
Così ricostruito il percorso motivazionale dei giudici di legittimità, si noterà come manchi – in realtà – una reale argomentazione che aderisca al caso sottoposto all’esame della S.C.
Trattandosi, peraltro, di ordinanza di inammissibilità – come tale succintamente motivata – non potrà certo stupire il tenore apodittico della stessa.
È piuttosto compito degli interpreti del dettato della Cassazione (sic!) non travisarne il senso, ad esempio trasformando un argomento utilizzato in “negativo” per negare l’ammissibilità del ricorso, in principio da affermarsi in “positivo” per la generalità dei casi.
Si converrà, infatti, che l’ultimo periodo della massima riportata dagli Ermellini (“ha errato, allora, il tribunale nel ritenere […] che il tasso soglia non fosse stato superato”) non ha alcuna attinenza con il caso sottoposto all’attenzione della Corte. Nella vicenda de qua, invero, il tribunale aveva – all’opposto – ritenuto che il tasso soglia fosse stato superato dal tasso moratorio pattuito.
Anche nella prospettazione della banca ricorrente alcun cenno viene fatto ad operazioni di cumulo dell’interesse moratorio con quello corrispettivo. Non disponendo della c.t.u. espletata in sede di opposizione allo stato passivo, non è dato conoscere come fosse stato calcolato il tasso di mora effettivo; tuttavia è difficile immaginare che un elemento tanto rilevante non sia stato neppure accennato nella ricostruzione dei fatti di causa operata dalla stessa Cassazione.
Invero, il fulcro della questione (e del ricorso dichiarato inammissibile) va individuato nel trattamento – omogeneo o differente – da riservarsi due tipi di interessi ai fini della applicazione della sanzione civilistica ex art. 1815, secondo comma cc, e precisamente: quid iuris quando il tasso di mora risulti (di per sé) usurario ma il tasso corrispettivo sia stato pattuito entro la soglia?
Ancora una volta inspiegabilmente, la Cassazione ha fornito una risposta solo indiretta ad un interrogativo che continuerà ad ingenerare dubbi ed incertezze nella giurisprudenza di merito, limitandosi a ribadire sic et simpliciter il principio della rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica di usurarietà, di cui alla sentenza n. 350/2013 e successive conformi.
Nihil sub sole novum.
Quale peso specifico, poi, attribuire all’affermazione circa il cumulo degli interessi?
Si può ragionevolmente ipotizzare che il richiamo sia ultroneo, in quanto riferito a fattispecie differente, esaminata dalla Cassazione nell’ordinanza individuata quale precedente conforme (cfr. Cass. Civ. ord. n. 5598/2017). Nella pronuncia testualmente citata dagli Ermellini, infatti, il giudice di merito aveva del tutto omesso di valutare il superamento del tasso soglia in riferimento agli interessi moratori, mentre secondo la Corte di legittimità avrebbe dovuto procedere alla verifica anche considerando questi ultimi.
Si spiega così l’espressione “ha errato il tribunale nel ritenere in maniera apodittica […] solo perché non sarebbe consentito cumulare […]”.
Si torna, quindi, al delicato compito di “interpretare” il dictum della Suprema Corte senza attribuirvi una portata oltremodo espansiva.
Altro è, infatti, affermare: “il giudice di merito ha del tutto omesso di verificare l’usurarietà degli interessi di mora solo perché non sarebbe consentito sommarli a quelli corrispettivi”; altro è – in positivo – affermare che “ai fini della verifica di usurarietà occorre sempre sommare interessi corrispettivi ed interessi di mora”.
Tale ultima affermazione non può leggersi neppure tra le righe della decisione in commento
La differenza può sembrare solo lessicale ma, dal punto di vista giuridico, sposta in maniera determinante i termini della annosa questione.
È soprattutto per tale ragione che, come osservato supra, l’ordinanza oggi in esame si presenta come l’ennesima occasione perduta di fare chiarezza in una materia che – con la complicità di interpretazioni strumentali delle pronunce di legittimità – continua a veder crescere in maniera esponenziale il contenzioso seriale tra mutuatari ed istituti di credito, con risultati il più delle volte sfavorevoli ai primi, a dispetto dell’eco mediatica suscitata dalla soccombenza dei secondi.
Non a caso, risuonerà fortissimo nelle aule di tribunale il clamore acceso da questo ultimo arresto della Suprema Corte.
Clamore che, si noterà, è generato più da quanto gli Ermellini hanno taciuto, che da quanto abbiano inteso affermare.
Nell’attesa di un intervento che sia realmente in grado di risolvere il “dilemma” degli interessi di mora, è appena il caso di rilevare che, mentre in sede di legittimità sembra tornare in auge la tesi della sommatoria, la giurisprudenza di merito spesso si muove in direzione totalmente opposta, arrivando a negare – in netta contrapposizione con la stessa S.C. – la stessa rilevanza degli interessi di mora ai fini delle verifiche di usurarietà c.d. oggettiva.
Interessanti, sul punto, le argomentazioni del Tribunale di Savona, in persona del Dott. Fabrizio Pelosi, che, con sentenza del 20 febbraio 2017, n.204, ha individuato sette motivi per i quali il tasso di mora sfuggirebbe al raffronto col tasso soglia.
Dalla lettura di tale orientamento alternativo potrà ben rilevarsi quanto il dibattito sia destinato difficilmente ad esaurirsi.
(*) Tra le prime pronunce ad aver chiaramente smentito l’orientamento della c.d. sommatoria, l’ordinanza del Tribunale di Trani, Giudice dott.ssa Francesca Pastore del 10.03.2014 aveva poi trovato ampio seguito nella giurisprudenza di merito successiva.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno