ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione della sentenza il Dott. Alberto Leidi
“I criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale”
Così si è espressa la Corte di Cassazione, sezione prima, con sentenza n.21885 del 25 settembre 2013, con la quale si è pronunziata negativamente in ordine alla possibilità di ipotizzare l’esistenza di fenomeni di usura sopravvenuta per i rapporti sorti prima della entrata in vigore della legge anti usura del ’96 e non ancora esauriti.
In particolare è accaduto che, relativamente ad un contratto di mutuo stipulato nel 1979, una banca aveva notificato al mutuatario atto di precetto nel 1991. Proposta l’opposizione al precetto, venivano decurtati dal giudice di merito Euro 27.972,19, quali interessi calcolati in misura superiore a quella legale secondo i parametri della normativa antiusura.
Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso ex art. 111 Cost., articolato in quattro motivi.
La Corte ha precisato che, secondo i precedenti della stessa giurisprudenza di legittimità, al fine di stabilire se il tasso d’interesse praticato superi il tasso soglia è necessario verificarne l’ammontare al momento della stipulazione del contratto e non al momento del pagamento.
Con tale decisione è stato di fatto ribaltato il principio espresso con le sentenze della Suprema Corte del 11 gennaio 2013 n 602 e 603 (peraltro della medesima sezione) ove, all’opposto, aveva affermato che gli interessi maturati dopo l’entrata in vigore della legge 108 del 1996 su rapporti sorti prima della vigenza della stessa (e non esauriti) debbono sottostare alla soglia antiusura, di volta in volta determinata secondo le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia e trasfuse nei decreti ministeriali, ragione per la quale stante l’inapplicabilità dell’art.1815, comma secondo cc, come novellato gli interessi andrebbero periodicamente ridotti, sino a coincidere con il tasso soglia stesso, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall’art.1339 cc, in combinato disposto con l’art.1419, comma 2 cc.
Le sentenze nn. 602 e 603 del 2013, nel dare rilevanza al fenomeno dell’usura sopravvenuta con riguardo ai rapporti sorti ante 1996 e non ancora esauriti, costituiscono un precedente interpretativo quanto meno – “audace”, ponendosi in contrasto con l’indiscutibile interpretazione letterale del contesto normativo in vigore.
Ed infatti:
1) Secondo l’art. 644 cp (Usura) “chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni”;
2) A norma dell’art.1815 cc, comma 2, “se sono convenuti interessi usurari , la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”;
3) Il d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito in legge 28 febbraio 2001 n.24, con norma di interpretazione autentica, ha sancito che “ai fini dell’applicazione dell’art.644 cp e dell’art.1815, comma 2, cc, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono stati promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento“.
Se ne ricava, in maniera evidente, che il momento rilevante per la verifica dell’usurarietà delle condizioni contrattuali rispetto al tasso soglia è da individuarsi (unicamente) in quello della conclusione del contratto, atteso che vi è stata l’indiscussa valorizzazione del momento genetico della pattuizione, come peraltro ribadito dal legislatore per ben tre volte, con le norme sopra indicata.
“Promettere” e “convenire” sono i termini letterali utilizzati, per cui non pare possibile ricavare un’interpretazione differente, discostandosi da tale terminologia, per giungere all’elaborazione di tesi giurisprudenziali contrarie al dettato normativo.
Inoltre, va notato che l’intervento di interpretazione autentica del 2000 si è reso necessario proprio onde risolvere la dibattuta questione di diritto intertemporale, sorta a seguito dell’entrata in vigore della legge 108/1996.
In presenza di una voluntas legis così chiara, il dato normativo appare, senza dubbio, insuperabile.
Detto in altri termini ed in buona sostanza, qualsivoglia contratto di finanziamento è validamente concluso se prevede condizioni al di sotto del tasso soglia e non potrà essere inficiato dalla successiva dinamica della determinazione dei tassi soglia, anche nel caso di ribasso degli stessi.
Oltre al dato normativo, depongono in senso contrario alla tesi dell’usura sopravvenuta due fattori di ordine logico:
1) i decreti del ministero di rilevazione dei tassi soglia sono relativi solo ai rapporti bancari NUOVI (alias nascituri) e non per quelli già in essere;
2) vi sarebbe la palese violazione del principio di certezza, in quanto la banca creditrice di interessi convenzionalmente fissati ab origine ad un tasso inferiore al tasso soglia rilevato al momento della conclusione del contratto, non sarebbe mai sicura di ottenere quanto contrattualmente e lecitamente convenuto con il cliente.
La liceità del tasso pattuito non può essere messa più in discussione a distanza di anni per effetto della variazione dei tassi e della conseguente usura sopravvenuta, in quanto un tale meccanismo non è mai stato previsto dalla legge, né può ricavarsi dall’interpretazione di quella parte della giurisprudenza, che si è pronunciata in senso assolutamente contrario al principio di certezza del diritto.
Se tutte queste considerazioni non sono convincenti, per risalire alla volontà del legislatore si può ricorrere alla Relazione governativa di accompagnamento al decreto legge 29 dicembre 2000, n. 394, successivamente convertito, con modifiche, nella legge 24/2001, emergerebbe che l’intento del legislatore era quello, da un lato, di escludere la possibilità di applicare la l. 108/1996 ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore e, dall’altro, di escludere l’ammissibilità dell’ipotesi della cd. “usura sopravvenuta” concernente i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della l. 108/1996
In conclusione la legge del 108 del 1996 ha inteso contrastare il fenomeno dell’usura limitatamente al solo momento genetico della pattuizione del tasso d’interesse – e non al momento successivo del pagamento del medesimo ragione per la quale la sentenza in commento si pone correttamente in contrasto con la tesi della configurabilità dell’usura sopravvenuta ed appare largamente condivisibile, nei termini in cui si consideri irretroattiva la normativa di riferimento, che non trova in tal modo applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23045/2006 proposto da:
CASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (C.F. (OMISSIS)), in persona dei i Commissari Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA 48, presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.E.S. (c.f. (OMISSIS)), N.C. (C.F. (OMISSIS));
– intimati –
avverso la sentenza n. 126/2006 del TRIBUNALE di GELA, depositata il 05/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del terzo e quarto motivo, assorbimento o rigetto degli altri.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
S.E. e N.C. proponevano opposizione all’esecuzione immobiliare intrapresa con pignoramento notificato dalla cassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, il 21/6/2001. Gli opponenti, l’uno in qualità di debitore principale, l’altra in qualità di fideiussore, premesso che la banca aveva concesso un mutuo per miglioramento agrario da erogarsi in più stanziamenti in base agli stati di avanzamento delle opere da realizzare e da estinguersi in 15 anni a partire dalla stipula del contratto definitivo e che venivano complessivamente erogate L. 389.585.000, deducevano la nullità del precetto per illegittima applicazione del tasso degli interessi moratori in quanto superiori al tasso soglia. La parte opposta per quel che interessa rilevava che la nuova regolamentazione normativa dei tassi usurari non poteva avere efficacia retroattiva.
Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione sulla base delle seguenti affermazioni:
a) La L. n. 108 del 1996, non aveva effetto retroattivo ma secondo la sentenza della Corte di cassazione n. 1126 del 2000 poteva applicarsi limitatamente alla regolamentazione degli effetti dei rapporti ancora in corso alla data della sua entrata in vigore per la frazione temporale ad essi successiva. Nella specie, di conseguenza, alla luce della consulenza contabile eseguita, doveva essere espunta la somma di Euro 27.972,19, in quanto relativa all’ammontare degli interessi praticati limitatamente alla parte di rapporto intercorso dopo l’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996;
b) Doveva altresì escludersi la somma di Euro 101.460,00 in quanto il precetto era stato intimato per una somma (Euro 586.040.0959 pari al capitale scaduto) superiore dell’importo effettivamente erogato di Euro 389.585.000. Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso ex art. 111 Cost., la cassa s.p.a. in liquidazione coatta p amministrativa, affidandosi a tre motivi:
Nel PRIMO MOTIVO è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 83, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non essere stato radicato il giudizio davanti al Tribunale del luogo dove la banca ha la sede legale. Il motivo prospetta un’eccezione d’incompetenza sollevata del tutto tardivamente rispetto allo sbarramento temporale individuato nell’art. 38 c.p.c., ratione temporis applicabile nella prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), essendo stato affermato dallo stesso ricorrente che tale eccezione è stata sollevata per la prima volta in sede di comparsa conclusionale del procedimento svoltosi davanti al Tribunale di Gela.
Nel SECONDO MOTIVO viene dedotta la violazione art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata. Afferma al riguardo la parte ricorrente che gli opponenti avevano dedotto la nullità del precetto notificato contestando esclusivamente “l’assoluta nullità del calcolo degli interessi come effettuato in atto di precetto perchè superiore al tasso soglia individuato con la L. n. 108 del 1996”. Nessuna censura aveva riguardato l’ammontare del capitale.
Pertanto, il Tribunale di Gela provvedendo ingiustificatamente alla riduzione della sorte, per la parte ritenuta ingiustamente “non versata” è incorsa nel vizio di extrapetizione. Il motivo si chiude con rituale formulazione del principio di diritto. (no la domanda c’è).
Nel TERZO MOTIVO viene dedotta la violazione e falsa applicazione viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1372 e 1815 c.c., nonchè della L. n. 175 del 1991, art. 16, e del R.D. n. 646 del 1905, art. 38, e, più in generale dei principi in materia di credito fondiario. Precisava al riguardo il ricorrente che era stato stipulato un contratto di mutuo agevolato soggetto alle norme antecedenti il D.Lgs. n. 385 del 1993, che prevedeva un sensibile vantaggio ai sensi della L.R. siciliana n. 13 del 1986, per il mutuatario, costituito dall’obbligo di pagare soltanto una frazione degli interessi dovuti (pari al 3,30%) mentre la restante parte era a carico della Regione; l’ammortamento della somma mutuata in 15 anni a partire dal quarto anno successivo alla stipula dell’atto definitivo; la previsione del pagamento dei soli interessi nel periodo quadriennale di preammortamento, la previsione di una clausola risolutiva espressa operante con il mancato pagamento anche di un solo rateo.
Aggiungeva il ricorrente che il contratto definitivo non veniva stipulato e che veniva in concreto erogata la somma di L. 474.979.970 cui dovevano aggiungersi gli interessi di preammortamento scaduti relativi alle somme versate e non pagate fino al 30 giugno 2000 ed infine gli interessi moratori sul capitale scaduto. Il Tribunale è incorso nell’errore di confondere il capitale scaduto composto dal finanziamento erogato e dall’importo degli interessi di preammortamento relativi ai ratei scaduti e non pagati ed il capitale versato, limitando l’obbligo a carico del mutuatario al solo capitale versato. In realtà la banca ha richiesto del tutto legittimamente gli interessi di preammortamento contrattualmente pattuiti e maturati a far data dalle singole somministrazioni fino al giugno del 2000, sul capitale effettivamente erogato.
Tali importi dovevano necessariamente essere aggiunti al “capitale” andando a comporre l’entità del capitale scaduto, sulla quale dovevano essere corrisposti gli interessi moratori, la cui legittimità, secondo il ricorrente, oltre ad essere prevista dalla disciplina normativa relativa ai mutui fondiari, non era stata contestata dagli opponenti, sotto il profilo dell’anatocismo ma solo in ordine al dedotto tasso usurario. La eliminazione della quota di capitale relativa agli interessi di preammortamento scaduti costituisce una violazione della disciplina negoziale ex art. 1372 c.c., nonchè la violazione dell’art. 1284 c.c., nella parte in cui prevede la facoltà di prevedere interessi convenzionali superiori a quelli legali purchè disposti per iscritto. Infine è stato violato il principio dell’onerosità dei mutui previsto dall’art. 1815 c.c..
Il motivo si chiude con rituale quesito di diritto.
Nel QUARTO MOTIVO di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, e della legge d’interpretazione autentica n. 24 del 2001, per avere la sentenza impugnata non riconosciuto la somma di L. 27.972,19 perchè relativa ad interessi calcolati in misura superiore a quella legale secondo i parametri della normativa antiusura. Escludendo l’importo in questione la sentenza impugnata ha disatteso il più recente ma conforme orientamento di questa Corte in ordine all’applicazione della normativa antiusura dopo la L. n. 24 del 2001, ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 29 del 2002. Secondo la giurisprudenza di legittimità al fine di stabilire se il tasso d’interesse praticato superi il tasso soglia è necessario verificarne l’ammontare al momento della stipulazione del contratto, e non al momento del pagamento.
Nella specie il mutuo fu stipulato nel 1979 ed il precetto intimato nel 1991, con conseguente inapplicabilità radicale della disciplina normativa contenuta nella L. 108 del 1996. Peraltro, precisa la parte ricorrente il tasso applicato era “amministrato” per definizione ex lege e non era negoziato in senso stretto, oltre a non gravare se non in misura ridottissima (3,3,%) a carico del mutuatario. Inoltre gli atti concreti di erogazione erano stati anteriori all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 (27/9/93 e 5/4/1995).
Il secondo e terzo motivo devono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Pur potendosi ritenere inclusa nella censura di invalidità radicale del precetto e di non corrispondenza dell’importo azionato a quello dovuto, la domanda relativa alla riduzione della somma complessivamente richiesta a titolo di capitale “scaduto”, si deve osservare che l’importo di L. 101.460,00 non poteva essere espunto perche non materialmente erogato costituendo il corrispettivo sinallagmatico del versamento della somma concretamente mutuata. Il piano di preammortamento e di ammortamento del mutuo derivano dalla naturale natura onerosa del mutuo prevista dall’art. 1815 cod. civ. Secondo tale norma il mutuatario, salvo diversa volontà delle parti “deve” gli interessi al mutuante, perchè tali interessi costituiscono il costo per il mutuatario del finanziamento.
Essi hanno la natura d’interessi corrispettivi e, come correttamente evidenziato dal ricorrente compongono il capitale “scaduto” ovvero la complessiva sorte da pagare, costituita dall’importo erogato e dal “prezzo” del mutuo secondo il piano a scalare stabilito nel piano di ammortamento (comprensivo di quello di preammortamento). Ove i ratei vengano tempestivamente pagati non si applicano gli interessi moratori, In caso contrario essi devono essere corrisposti sugli interessi corrispettivi maturati sui ratei scaduti.
Nella specie era stato previsto un piano quadriennale di preammortamento, ovvero di ratei formati solo di una quota a scalare degli interessi corrispettivi complessivamente dovuti, peraltro, in virtù della natura agevolata del mutuo, posti solo in misura modesta (3,30%, mentre il restante 11,40% era di pertinenza dell’ente territoriale) a carico del mutuatario. Quest’ultimo non aveva corrisposto alcun rateo e ne era conseguita l’operatività della clausola risolutiva espressa e la richiesta di pagamento della quota (integrale a causa dell’omesso versamento dei ratei) degli interessi di preammortamento che fossero scaduti alla data di cessazione della vigenza del rapporto.
Si deve osservare, al riguardo, che in tema di mutuo fondiario, la debenza del c.d. capitale scaduto è prevista espressamente dal R.D. n. 646, art. 38, e dalla L. n. 175 del 1991, art. 16, ratione temporis applicabili. Nelle due norme è, infatti, prevista la decorrenza automatica degli interessi corrispettivi maturati alle singole scadenze nonostante l’opposizione del mutuatario e l’applicabilità degli interessi di mora sugli importi a tale titolo dovuti, al pari del capitale versato. (Cass.9695 del 2011; 3656 del 2013). La riduzione del capitale “scaduto” con l’eliminazione di quanto dovuto per interessi corrispettivi non corrisposti, nella specie non poteva, di conseguenza aver luogo, in quanto:
a) il piano di preammortamento era stato stipulato per iscritto in ossequio agli artt. 1815 e 1284 c.c.;
b) l’applicazione della normativa antiusura, incidente anche sugli interessi corrispettivi ex art. 1815, comma 2, non era applicabile ratione temporis, e non era stata neanche prospettata la questione dell’operatività nella specie del divieto di anatocismo. La sentenza impugnata, limitandosi all’esclusione dell’importo relativo agli interessi relativi al piano di preammortamento, mediante un’adesione non del tutto comprensibile alla consulenza tecnica d’ufficio, si è limitata ad affermare erroneamente che essi non costituiscono parte del capitale, così confondendo capitale versato e “scaduto”.
La sentenza impugnata, infine, non distingue tra interessi a scalare su ratei scaduti, da integrare nel capitale da restituire, e interessi su ratei non ancora scaduti e conseguentemente non dovuti in caso di domanda di rimborso anticipato dell’intero importo erogato (S.U. n. 12639 del 2008) limitandosi ingiustificatamente ad escludere dall’obbligo restitutorio la quota di capitale non riconducibile all’importo effettivamente erogato. Si ritiene, peraltro, di dover precisare che tale differenziazione degli interessi corrispettivi dovuti non è desumibile aliunde dalla lettura complessiva della pronuncia o del ricorso.
Il terzo motivo, merita, conseguentemente accoglimento, così come il quarto motivo, trovando applicazione l’orientamento più recente ma consolidato della giurisprudenza di questa Corte, alla luce del quale “I criteri fissati dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, (conv., con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale” (Cass. N. 4380 del 2003; 26499 del 2009). Risulta pertanto illegittima la riduzione degli interessi moratori per L. 27.912,19, operata in virtù dell’applicazione della L. n. 108 del 1996.
In conclusione il ricorso deve essere accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si procede ex art. 384 c.p.c., comma 2, alla decisione nel merito, e, conseguentemente, al rigetto dell’opposizione, con applicazione del principio della soccombenza in ordine al giudizio di merito e alla fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’opposizione all’esecuzione e condanna le parti resistenti al pagamento delle spese di lite del precedente grado di merito e del presente procedimento, liquidate, per il grado di merito in Euro 2.500,00 per onorari; Euro 1.500,00 per competenze;
Euro 300 per spese; per il presente procedimento in Euro 11.800,00 per compensi; Euro 200 per esborsi otre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2013
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 128/2013