ISSN 2385-1376
Testo massima
Non si verifica fattispecie usuraria quando, in un contratto di conto corrente, il tasso soglia risulti sforato per effetto dell’applicazione della commissione di massimo scoperto, di cui non vi sia prova della pattuizione.
Se da un lato, infatti, questa non è dovuta dal correntista, dall’altro il suo costo percentuale non può incidere sul computo del TEG.
È questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza n. 8824 del 12 giugno 2014, emessa dal Tribunale di Napoli, in persona del dott. Ciro Caccaviello, che concorre a chiarire una fattispecie del tutto peculiare nell’ambito di un’interpretazione sistematica della normativa antiusura.
Nella specie, la controversia sorge dall’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da due debitori avverso l’ingiunzione ottenuta dalla banca creditrice in virtù di scoperto di conto corrente, nella quale gli attori hanno dedotto, in particolare, l’applicazione di tassi usurari e della commissione di massimo scoperto non prevista in contratto.
La vicenda processuale, descritta in parte motiva, è assai semplice da ricostruire: la Banca ha provato il proprio credito mediante la produzione del contratto di conto corrente e di apertura di credito, con la pattuizione delle condizioni economiche e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, senza tuttavia produrre il separato foglio analitico non richiamato in contratto asseritamente contenente le clausole relative alle valute convenzionali, alle spese ed alla cms.
In difetto di tali prove documentali, il Giudice ha provveduto, previa consulenza tecnica d’ufficio, a ridurre il saldo di conto corrente, escludendo tutto quanto non previsto in contratto, ha revocato il decreto ingiuntivo e condannato gli opponenti alla corresponsione del saldo così rideterminato.
In tale lineare argomentazione, il Tribunale ha avuto modo di precisare un importante principio: nel rideterminare il credito in favore del cliente, non tenendo conto delle voci non pattuite (rectius, di cui non sia data prova della pattuizione in giudizio), le medesime voci non possono pur se, a rigor di logica, illegittimamente applicate concorrere percentualmente a determinare il tasso effettivo globale del rapporto, vale a dire il valore da confrontare con il tasso soglia antiusura.
Dietro tale affermazione, apparentemente semplice, vi è un ragionamento che conduce ad affermare (o meglio a confermare) due concetti fondamentali in materia di usura.
In primis, se per il raffronto con la soglia di usura vanno considerate le voci di costo come pattuite e non come applicate la verifica della fattispecie usuraria va compiuta con unico riferimento al momento della sottoscrizione del contratto e non al momento della percezione degli interessi con la conseguente irrilevanza di qualsivoglia vicenda sopravvenuta alla pattuizione. In altre parole, se gli interessi sono lecitamente pattuiti al di sotto della soglia, essi vanno sempre corrisposti dal cliente, senza che eventuali “addebiti-indebiti” successivi possano concorrere alla formazione ex post del tasso effettivo globale.
Tale principio, se portato alle estreme conseguenze, potrebbe condurre in un discorso ben più complesso, che esula dall’analisi della pronuncia in commento alla tesi dell’inconfigurabilità della categoria dell’usura sopravvenuta.
Il secondo concetto è strettamente collegato al primo.
La non incidenza, ai fini della sanzione ex art.1815, comma secondo, cc, delle voci di costo applicate senza prova della pattuizione s’inserisce nella logica che sottende all’intera normativa antiusura ex L.108/1996: ciò che rileva, in via principale, è l’oggettivo superamento del “tasso soglia”, mentre l’usura soggettiva è relegata a fattispecie residuale.
Infatti, se ai fini della verifica di usurarietà non assume rilevanza alcuna l’indebita percezione di quei costi accessori non pattuiti (e comunque giudizialmente espunti dal saldo dovuto), e se la verifica del rispetto della soglia va compiuta al momento della pattuizione, l’elemento soggettivo del creditore che chiede ed incassa interessi usurari (sia chiaro, nell’ipotesi in cui lo faccia nella consapevolezza di chiedere ed incassare somme superiori alla soglia, profilo che non viene minimamente sfiorato dalla decisione in commento) cede di fronte all’assenza di un regolamento contrattuale oggettivamente usurario.
In conclusione, ai fini dell’accertamento di una fattispecie usuraria in sede civile presupposto indefettibile è l’esistenza di una pattuizione (rectius, della prova della pattuizione), ragion per cui, qualora questa manchi, le somme indebitamente applicate dovranno sì essere restituite dalla banca creditrice, ma non incideranno percentualmente sul computo del tasso effettivo globale.
Su questi ultimi aspetti, già oggetto di approfondita analisi sulla rivista, si rinvia alla consultazione della rassegna giurisprudenziale “IL PUNTO SULL’USURA BANCARIA”.
Testo del provvedimento
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