ISSN 2385-1376
Testo massima
In relazione ad un titolo esecutivo giudiziale ormai formatosi, non può considerarsi fatto modificativo sopravvenuto la promulgazione della L. n. 108 del 1996, in quanto gli interessi pretesi con quel titolo non sono suscettibili di alcuna valutazione in termini di usurarietà alla luce dei criteri della legge sopravvenuta.
Enunciando tale principio di diritto, la Cassazione civile, sezione terza, con sentenza n.3968 del 19/02/2014, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema degli effetti intertemporali della normativa antiusura.
Nel caso di specie, la sentenza trae origine dal ricorso per cassazione presentato da due debitori esecutati avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che aveva respinto l’appello dagli stessi promosso avverso la pronunzia del Tribunale di Lecco di parziale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione immobiliare avviata ai loro danni da alcune banche.
In particolare, le contestazioni dei ricorrenti avevano ad oggetto l’indeterminabilità del tasso in rapporto alle specifiche ed inintellegibili previsioni contrattuali nonchè la sopravvenuta usurarietà del tasso di interesse inizialmente pattuito nel contratto di mutuo in conseguenza della promulgazione della L. n. 108 del 1996.
Ad avviso dei due debitori esecutati, infatti, la normativa antiusura aveva comportato una illegittimità sopravvenuta della parte del conteggio di interessi che si poneva oltre il tasso soglia.
Ebbene, la Cassazione civile, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, con tale sentenza ha rilevato che i criteri fissati dalla disciplina introdotta dalla L. 7 marzo 1996 n. 108, in ordine alla determinazione del carattere usurario degli interessi, non possono essere applicati a rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore.
Secondo gli Ermellini, dunque, la promulgazione della L. n. 108 del 1996 è assolutamente inidonea, per quanto innanzi detto, a scalfire l’autorità del giudicato, in quanto non può essere considerata alla stregua di fatto modificativo sopravvenuto e, come tale, deducibile in sede di opposizione all’esecuzione, laddove sono precluse tutte le doglianze sul merito della pretesa che possano essere fatte valere in sede di impugnazione del titolo.
Alla luce di tale considerazione, la Suprema Corte, ritenuto che, in presenza di un titolo esecutivo giudiziale già formato, gli interessi con lo stesso pretesi non possono essere in alcun modo suscettibili di valutazione in termini di usurarietà alla stregua dei parametri fissati dalla sopravvenuta L. n. 108 del 1996, ha rigettato il ricorso.
Ne discende, ampliando la riflessione, l’irretroattività della legge antiusura, principio già espresso dagli Ermellini in diverse pronunce ed, in particolare, in una recente sentenza, la n.21855 del 25.09.2013, laddove, con portata ben più ampia, si era fatto riferimento anche ai rapporti non ancora esauriti alla data di entrata in vigore della riforma del ’96.
In particolare, la Cassazione aveva affermato che “i criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 per la determinazione del carattere usurario degli interessi non trovano applicazione con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della stessa legge, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, primo comma, D.L. 29 dicembre 2000, n. 394 (conv., con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n. 24), norma riconosciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza n. 29 del 2002 della Corte Costituzionale”.
Con tale decisione era stato, di fatto, ribaltato il principio espresso con le sentenze del 11 gennaio 2013 nn. 602 e 603 (peraltro della medesima sezione) ove, all’opposto, era stato affermato che gli interessi maturati dopo l’entrata in vigore della legge 108 del 1996 su rapporti sorti prima della vigenza della stessa (e non esauriti) debbono sottostare alla soglia antiusura, di volta in volta determinata secondo le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia e trasfuse nei decreti ministeriali, ragione per la quale stante l’inapplicabilità dell’art.1815, comma secondo cc, come novellato gli interessi andrebbero periodicamente ridotti, sino a coincidere con il tasso soglia stesso, in virtù del meccanismo di integrazione legale del contratto previsto dall’art.1339 cc, in combinato disposto con l’art.1419, comma 2 cc.
Tale pronuncia, la prima della Cassazione a dare rilevanza all’usura sopravvenuta (dopo le disposizioni di interpretazione autentica del 2000-2001), aveva risvegliato i sostenitori della tesi dell’applicabilità dei meccanismi di cui alla L.108/1996 anche a rapporti sorti del tutto lecitamente prima dell’entrata in vigore della stessa, tesi che proprio in virtù del d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, convertito in legge 28 febbraio 2001 n.24, e del riferimento esplicito al momento in cui gli interessi sono stati “promessi o comunque convenuti“, sembrava del tutto accantonata.
Attenta dottrina aveva comunque notato come, in realtà, la sentenza 602/2013 non abbia inciso sulla questione della retroattività-irretroattività della legge antiusura, limitando l’operatività di quest’ultima esclusivamente agli effetti prodottisi successivamente all’entrata in vigore della stessa, con un meccanismo che, a rigor di logica, non può essere assimilato a quello della retroattività (sul punto cfr. A.A.DOLMETTA, La Cass. n. 602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, in www.ilcaso.it ).
In conclusione, la Legge 108/96 non ha carattere retroattivo, pertanto è da escludere la possibilità di applicare tale normativa ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che la percezione di interessi superiori alle soglie di usura è del tutto legittima e non può dirsi usuraria, se gli stessi siano stati lecitamente pattuiti sotto la vigenza della precedente normativa o riconosciuti in sentenza passata in giudicato prima del ’96.
Testo del provvedimento
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