La nullità della convenzione riguardante gli interessi di mora non si estende anche al patto che riguarda gli interessi corrispettivi, che sono sempre dovuti, non potendosi generare una nullità derivata.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, III sez. civ., Pres. Armano Rel. Cricenti, con la sentenza n. 9237 del 20 maggio 2020.
Nell’ambito di una controversia bancaria, il cliente ricorre per Cassazione deducendo l’erroneità della decisione emessa dal giudice di merito, ritenendo che la convenzione usuraria relativa agli interessi convenzionali di mora debba comportare la nullità anche della pattuizione degli interessi corrispettivi.
La Corte ha ritenuto che la circostanza che gli interessi di mora non fossero mai stati applicati non costituisse motivo di inammissibilità atteso che, in realtà, è noto che il momento determinante, per la valutazione del superamento della soglia consentita, è proprio la pattuizione, a prescindere dalla effettiva corresponsione degli interessi.
In particolare gli Ermellini hanno osservato che tra i due tipi di interesse (moratori e corrispettivi) non vi è una diversità netta di funzione, risarcitoria per gli uni e remuneratoria per gli altri, e che anche gli interessi convenzionali moratori hanno una loro funzione di remunerazione, in quanto dovuti per il godimento prolungato (ossia oltre il termine di scadenza per la restituzione) del denaro da parte dell’accipiens.
Tuttavia, questa analogia di funzione, pur messa in luce di recente dalla Corte (Cass. 27442/2018), non comporta necessariamente che la nullità degli uni si estenda agli altri. In sostanza, l’analogia di funzione non è necessariamente un argomento per dedurne l’analogia di regime; e viceversa, la tesi opposta secondo cui i due tipi di interesse avrebbero funzioni nettamente diverse tra loro, non può portare di per sé alla conclusione che abbiano un regime a sua volta nettamente diverso.
Non sempre il parallelismo di funzioni è altresì parallelismo di conseguenze sul piano delle sanzioni.
In particolare è da ritenere che ciò che conta è il fatto che i due interessi infatti non coesistono nell’attuazione del rapporto, ma si succedono, o meglio, gli uni si sostituiscono agli atri, e le rispettive poste mantengono una ideale autonomia, anche in caso di inadempimento e di operatività dei moratori.
Questa configurazione impedisce di considerare come cumulabili i due tipi di interessi ai fini del calcolo del loro ammontare (ossia del superamento della soglia) ma impedisce altresì di dire che se sono nulli i moratori, per superamento della soglia, la nullità si estende anche ai corrispettivi.
Tale costruzione logica trova il suo fondamento nel fatto che i due interessi non si cumulano, proprio perché operano l’uno in sostituzione dell’altro.
Cosi argomentando la Corte ha ritenuto che la pattuizione sugli interessi corrispettivi è sempre valida ove siano rispettosi del tasso soglia, non potendosi generare una nullità derivata.
Alla luce dell’esposto percorso motivazionale, la Corte ha rigettato il ricorso con condanna al pagamento delle spese di lite.
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