Nella fase del giudizio di merito, è indubbio che la disciplina regolamentare in materia di superamento del tasso soglia ai fini della valutazione dell’usura abbia carattere integrativo della normativa dettata in via generale dalla legge penale e civile, e debba pertanto essere conosciuta dal giudice del merito, ed applicata alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata. Atteso il particolare tecnicismo dell’ambito di operatività di tali disposizioni, le norme di carattere secondario, continuamente aggiornate, realizzano una etero-integrazione del precetto normativo, e non consentono, dunque, neanche di ritenere che le norme penali effettuino in tal modo un rinvio in bianco (cfr. sul punto Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18683 del 04/09/2014, in relazione agli illeciti amministrativi che rinviino a “disposizioni generali o particolari impartite dalla CONSOB o dalla Banca d’Italia”). Pertanto il Giudice del merito non può dare rilievo, ai fini della prova dell’illecita pattuizione o applicazione di interessi usurari, alla mancata produzione dei D.M., in parola nel corso del giudizio di merito, potendo acquisirne conoscenza, o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti, ovvero anche attraverso la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione o l’acquisizione di una CTU tecnico-contabile.
Questo il principio di diritto enucleabile dall’ordinanza n. 8883 del 13 maggio 2020 della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, Pres. Travaglino – Rel. Fiecconi.
La controversia era sorta, in prime cure, dall’ingiunzione conseguita in via monitoria da una banca per il pagamento del saldo di conto corrente, cui aveva fatto seguito l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dal fideiussore sul presupposto che l’esposizione debitoria fosse il frutto di una serie di “anomalie bancarie”, tra cui – in particolare – la sussistenza di ipotesi di usura oggettiva.
Proprio in relazione alla censura di (supposta) usurarietà oggettiva, il fideiussore era rimasto soccombente nel duplice grado di merito, in quanto il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avevano ritenuto che l’opponente non avesse assolto all’onere processuale della produzione dei decreti ministeriali recanti i “Tassi Effettivi Globali Medi” – da cui si ricavano i Tassi Soglia – onere che, con riferimento agli atti contenenti una normativa secondaria, incombeva sulla parte deducente, in quanto tali dati non rientrano nella scienza comune, e ciò in base a quella giurisprudenza che assegna ai decreti ministeriali la natura di atti amministrativi, facendo valere il principio dispositivo, e non il principio jura novit curia.
Accogliendo la censura mossa dal fideiussore in sede di ricorso per cassazione, l’ordinanza oggi in commento muta la prospettiva di osservazione rispetto alla giurisprudenza sinora dominante in subjecta materia.
Il ragionamento è il seguente.
Il principio tradizionalmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla natura meramente amministrativa dei Decreti Ministeriali e della non acquisibilità ex officio degli stessi, sarebbe stato esteso oltre l’ambito ristretto che la stessa Suprema Corte avrebbe inteso delimitare.
La Corte di legittimità, si sarebbe limitata ad affermare che la nuova produzione di normativa secondaria sia inammissibile, e non superabile con il principio iura novit curia, unicamente in relazione al giudizio di legittimità, ove è precluso un ingresso di documentazione non prodotta nei precedenti gradi di giudizio: “In tema di tasso di riferimento degli interessi, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di decreti ministeriali determinativi del suddetto tasso, allorchè essi non risultino acquisiti agli atti del giudizio di merito, in quanto fermo restando che la loro produzione non può avvenire per la prima volta nel giudizio di legittimità, in forza del divieto di cui dell’art. 372 c.p.c., comma 1 – la loro natura di atti amministrativi rende inapplicabile il principio “jura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c., che va coordinato con l’art. 1 preleggi, il quale non comprende detti atti nelle fonti del diritto (principio affermato con riferimento a motivo di ricorso afferente alla violazione di decreti emanati del D.P.R. n. 902 del 1976, ex art. 20, L. n. 108 del 1996, artt. 2 e 3 e L. n. 183 del 1976, art. 15)” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8742 del 26/06/2001 (Rv. 547760-01)). Pertanto in sede di giudizio di legittimità non sarebbe scrutinabile, in mancanza di pregressa idonea allegazione nella fase di merito, una nullità di tal tipo, posto che i decreti ministeriali in questione fungono da parametri di riferimento necessari per la valutazione della fattispecie, che deve essere osservata e ricostruita dal giudice del merito, e non dal giudice di legittimità.
Pur dando seguito a tale indirizzo, l’ordinanza in esame precisa che nella fase del giudizio di merito, è indubbio che la disciplina regolamentare in materia di superamento del tasso soglia, ai fini della valutazione dell’usura, abbia carattere integrativo della normativa dettata in via generale dalla legge penale e civile, e debba pertanto essere conosciuta dal giudice del merito, ed applicata alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata.
Il particolare tecnicismo dell’ambito di operatività di tali disposizioni imporrebbe di considerare le norme secondarie quali fonti di etero-integrazione del precetto normativo, che non consentono neanche di ritenere che le norme penali effettuino in tal modo un rinvio in bianco.
Secondo la Suprema Corte, nel caso in questione, il Giudice del merito non avrebbe dovuto dare rilievo, ai fini della prova dell’illecita pattuizione o applicazione di interessi usurari, alla mancata produzione dei D.M., in parola nel corso del giudizio di merito, potendo acquisirne conoscenza, o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti, ovvero anche attraverso la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione o l’acquisizione di una CTU tecnico-contabile.
IL COMMENTO
La pronuncia in esame ha un effetto “spiazzante” per gli operatori e non si può certo dire che renda merito alla funzione nomofilattica della Corte di legittimità.
In verità, spesso negli ultimi anni la Suprema Corte ha prodotto una giurisprudenza ondivaga sugli aspetti maggiormente controversi di una disciplina di per sé tecnicamente complessa, quale quella dell’usura bancaria (basti pensare al “dilemma” degli interessi di mora, attualmente al vaglio delle Sezioni Unite), senza attenzione alle concrete difficoltà tecnico-applicative degli orientamenti di legittimità.
Nel caso di specie, però, la Cassazione ha sottratto una delle poche certezze agli specialisti del settore bancario: l’onere di allegazione dei D.M. trimestrali recanti i Tassi Soglia grava sulla parte che intende far valere il fenomeno usurario e, trattandosi di atti amministrativi, il “materiale” è sottratto ai poteri-doveri di acquisizione officiosa del giudice, non potendosi applicare il principio “jura novit curia”.
Per offrire un quadro chiaro dell’orientamento dominante, si può partire dall’ordinanza n. 2311 del 30.01.2018 della Corte di Cassazione, Pres. Amendola, Cons. Cirillo, con la quale viene affermato a chiare lettere che «La contestazione della natura usuraria dei tassi avrebbe dovuto comportare, da parte dell’opponente, la necessità di indicare in sede di merito la pattuizione originaria, le somme pagate ogni anno a titolo di interessi e non solo l’aliquota, il tutto in rapporto al capitale oggetto del finanziamento”… “Acquista quindi fondamentale importanza l’indicazione dei tassi di interesse pattuiti al momento della stipula del contratto e non basta specificare soltanto l’entità dei tassi anno per anno con l’indicazione dei tassi soglia, poiché ciò non consente in effetti di ritenere pacifica l’esistenza della usurarietà, risolvendosi nella sollecitazione allo svolgimento di una c.t.u. esplorativa».
Se quanto esposto vale, in generale, a disciplinare l’onere probatorio, in altro ambito la Suprema Corte ha invece sempre ritenuto che «La natura di atto amministrativo dei decreti ministeriali osta all’applicabilità del principio “iura novit curia”. Ne consegue che spetta alla parte interessata l’onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti» (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 9441/2009; Cass. n. 27776/2019; Cass. n. 2543/2019; Cass. n. 18770/2016; Cass. n. 11483 del 03.06.2016; Cass. n. 5604 del 22.03.2016; Cass. N.15065 del 02.07.2014; Cons. Stato n. 1018 del 4.03.2014; Cass. n. 8742 del 26.06.2001).
Con sentenza del 6.12.2019 n. 31886, invece, la Suprema Corte, pronunziandosi in altro ambito, ha individuato quali siano i poteri istruttori del consulente tecnico d’ufficio, in quali casi risulti ammissibile una deroga ai limiti stabiliti ex lege e quali conseguenze processuali discendano in caso di travalicamento dei poteri concludendo che «Il consulente tecnico d’ufficio non può indagare su fatti o acquisire documenti non ritualmente dedotti dalle parti, a pena di nullità».
Si è sempre ritenuto, peraltro, che la richiesta di CTU possa considerarsi esplorativa se la parte non indica con precisione i fatti posti a fondamento della pretesa, producendo la documentazione di supporto.
In tema di usura si discute, inoltre, se la sola produzione delle tabelle di sintesi contenute nei D.M. che trasfondono le sole rilevazioni di Bankitalia sia sufficiente ai fini della corretta e completa introduzione in giudizio del “dato” relativo al “Tasso Soglia” in quanto documentazione equipollente, oppure, se sia necessario produrre l’intero estratto della Gazzetta Ufficiale, contenente le tre parti di cui si compone il D.M.: (1) testo del decreto (2) l’allegato A) con tabella tassi effettivi globali medi (3) la nota metodologica.
La decisione della Suprema Corte qui in commento non affronta tutti gli aspetti appena indicati, costringendo gli operatori ad uno sforzo interpretativo per tentare di incastrare coerentemente i vari tasselli che compongono l’intero mosaico dei diversi profili ermeneutici – processuali e sostanziali – legati all’applicazione della disciplina antiusura.
A chi scrive sfugge, intanto, la reale motivazione di un così repentino cambio di prospettiva, posto che la parte motiva dell’ordinanza sembra fondare il revirement sulla semplice considerazione che la Suprema Corte avrebbe sempre affermato il principio della non acquisibilità dei D.M. solo in seno al grado di legittimità (“in forza del divieto di cui dell’art. 372 c.p.c., comma 1”). Ma, a ben vedere, così non è, in quanto la medesima giurisprudenza citata a supporto sembra confinare tale aspetto ad una notazione solo incidentale, fondando il ragionamento sulla “natura giuridica” della normativa secondaria («fermo restando che la loro produzione non può avvenire per la prima volta nel giudizio di legittimità, in forza del divieto di cui dell’art. 372 c.p.c., comma 1 – la loro natura di atti amministrativi rende inapplicabile il principio “jura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c. […]») (sic!).
In definitiva la decisione lascia agli operatori il “senso” di un’assoluta incertezza sulle regole di ordine processuale da applicare al contenzioso in materia di usura, ponendosi in aperta contraddizione con precedenti decisioni di legittimità da intendersi assolutamente pacifiche. Non è difficile immaginare che i “coni d’ombra” dell’ordinanza in commento potranno comportare una nuova oscillazione della giurisprudenza di merito, che si troverà a risolvere il medesimo problema in direzioni opposte ed incompatibili, benché altrettanto “ineccepibili” dal punto di vista delle “radici” di legittimità.
Sia consentito chiudere con una critica alla Suprema Corte, il cui preciso compito è fornire decisioni che possano offrire ai giudici di merito un punto fermo nella risoluzione delle controversie con coordinate interpretative chiare ed uniformi nell’ottica della certezza del diritto.
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