ISSN 2385-1376
Testo massima
1.- Nel caso esaminato dall’ordinanza milanese del 28 gennaio 2014 (giudice dottoressa Cosentini; R.G. 58808/2013) il cliente affermava la sussistenza di una fattispecie di usura originaria: a tale risultato giungendo in via di sommatoria del patto degli interessi compensativi (contati per l’intero) con il patto degli interessi moratori (pure contati per l’intero). Così, nel dettaglio: tasso soglia fissato, all’epoca della stipula, nella misura del 10,23%; patto di interessi compensativi attestato, allo stesso momento, sulla misura del 6,68%; patto di interessi moratori pesante, sempre alla detta data, per la misura dell’8,20% (nella valutazione del cliente; in quella della banca, il tasso era più alto). E dunque, in totale: 10,23% vs 14,88%.
Ora, questo è un modo assai diffuso, nella pratica attuale, di impostare il tema dei rapporti tra usura e interessi moratori: quanto, per la verità, senz’altro sbagliato. Esso dà vita, in effetti, a una lettura non realistica della norma dell’art. 644 c.p. (perché viene sostanzialmente a conteggiare due volte i compensativi, poi aggiungendo la crescita dei moratori) e tecnicamente scorretta della stessa.
Gli interessi moratori (le clausole penali, in genere) vengono pattuiti per il caso si venga a verificare un evento di inadempimento; la stessa promessa del cliente di pagare i moratori sconta in thesi, cioè, un simile presupposto. Altrimenti detto e guardando la cosa da un diverso angolo: nella fisiologia delle pattuizioni tra banca e cliente (come pure, per la verità, tra soggetti altri), interessi compensativi e interessi moratori sono alternativi; nel senso che, se si applicano questi ultimi (in sé funzionali a coprire il danno da inadempimento, seppure «misurato» in via preventiva e con taglio di approssimazione forfettaria), non si applicano i primi (che costituiscono il corrispettivo del «godimento» del capitale ex art. 820, comma 3, c.c.). Secondo quanto è desumibile senza grande fatica, d’altra parte, dal contesto normativo dell’art. 1224 c.c.
Posto questo insieme di dati, il Tribunale ha avuto gioco decisamente facile nel respingere la pretesa di usura formulata dal cliente.
2.- Com’è agevole intuire, i passaggi successivi, che l’ordinanza milanese svolge in via di prosieguo (logico) della motivazione, costituiscono tutti dei semplici obiter dicta. Il che peraltro non toglie loro interesse, come pure è cosa naturale.
Ciò vale, in particolare, per la distinzione tra l’aspetto del patto di interessi moratori (la stipula della clausola penale) e quello dell’effettiva applicazione nel rapporti dei medesimi, cui la stessa annette forte rilevanza in punto di ricostruzione dei nessi correnti tra usura e mora. Posto il carattere solo eventuale dell’onere economico dato dai moratori, tale distinzione rappresenta, in effetti, una pietra quasi angolare della materia: che consente, tra l’altro, di uscire dalle secche costituite dall’alternativa tra il negare tout court rilevanza usuraria alla mora ovvero, al contrario, di assegnargliela comunque.
La prima opinione (che è quella prediletta, in buona sostanza, dalla Banca d’Italia) pecca, per così dire, per difetto: la prospettiva della vigente legge sull’usura è quella di prendere in considerazione il fenomeno come vicenda che affligge complessivamente il negozio (per l’insieme delle varie articolazioni economiche che lo concernono, cioè); la tesi, per di più, falsifica il dato materiale: come detto, gli interessi moratori (le clausole penali in genere) per definizione non esprimono il danno effettivo che viene recato dall’inadempimento (cfr. la parte finale del primo periodo dell’art. 1224, comma 1, c.c., nonché il comma 2 dell’art. 1382 c.c.), sì che il loro peso non potrebbe mai essere considerato come dato in principio neutro. La seconda tesi pecca per contro per eccesso, dato che il fatto dell’inadempimento non è cosa automatica, né immediata nel tempo. Quali oneri eventuali, gli interessi moratori e le altre penali da inadempimento non appartengono davvero all’ambito della fisiologia del rapporto.
3.- La tesi per ultima riferita è, per la verità, quella accolta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (il riferimento va, da ultimo, alla sentenza n. 350/2013), oltre a trovarsi spesso frequentata dai giudici di merito . Sì che l’ossequio che l’ordinanza ritiene di dovere tributare alla linea della Cassazione (: è da «condividersi il principio affermato dalla Corte secondo cui la verifica del rispetto della soglia d’usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora») si manifesta più formale, a ben vedere, che di ordine sostanziale.
In realtà, nel pensiero dell’ordinanza in commento l’usurarietà del negozio per causa del patto di mora (: il tasso soglia è superato in ragione della «maggiorazione» fissata nel patto) non conduce alla compiuta gratuità del contratto, che è disposta dall’art. 1815 c.c. (come sarebbe a seguire filata la tesi della Supremo Collegio). Conduce invece alla sola eliminazione della possibilità di applicare gli interessi moratori (sia quelli ex pactu, sia pure quelli legali, sembra di capirsi dal contesto complessivo del discorso), con connessa sopravvivenza di quelli compensativi. Il che, se può risultare coerente con una lettura «autonoma» (se non istologica, per così dire) degli interessi moratori quale fenomeno di previsione negoziale, pure appare scontrarsi, per la verità, con la disciplina (non ablativa, bensì) riduzionistica che la norma dell’art. 1384 c.c. consegna alla clausola penale di misura eccessiva.
Comunque, la rilevanza della mora quale semplice segmento di un’usura complessiva del negozio (: è l’insieme del carico economico a fare risultare usurario il contratto) viene recuperata dall’ordinanza sul piano dell’applicazione effettiva di tale tipo di interessi, e cioè «in presenza di [un] ritardato pagamento»: a livello di esecuzione del rapporto, a contare avverte netto il provvedimento è proprio la «concreta somma degli interessi
conteggiati a carico del mutuatario» (più gli altri oneri nei fatti applicati, eventuali o meno che siano è bene puntualizzare).
Di tale rilevanza della mora, tuttavia, l’ordinanza non indica quale ritenga essere lo specifico risvolto rimediale (del resto, si è già detto, si tratta di passaggi motivazionali con forte impronta di obiter). In effetti, non può per nulla ritenersi scontata, in proposito, l’applicazione della sanzione di gratuità di cui al comma 2 dell’art. 1815 c.c.: basta pensare che il superamento della soglia a seguito dell’applicazione della mora, in quanto legata al verificarsi di un evento di inadempimento, configura per sé un caso caratteristico di usura sopravvenuta.
Testo del provvedimento
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