ISSN 2385-1376
Testo massima
È generica, oltre che del tutto illogica, la censura in ordine alle eccessività del tasso di interesse applicato, che si limiti a denunciare ‘a spanne’ detta eccessività, senza tenere in alcun conto la durata del finanziamento ed il numero delle rate.
Non può trovare accoglimento la domanda tesa ad accertare il carattere usurario degli interessi applicati, nel caso in cui il cliente attore non ottemperi al prescritto onus probandi, allegando i decreti ministeriali che fissano il limite di legge, ossia il tasso soglia oltre il quale gli interessi risultano usurari, trattandosi di atti amministrativi che non appartengono alla scienza ufficiale del giudice e che non possono essere valutati, se non prodotti dalla parte che intende affermare la nullità delle pattuizioni usurarie o dei relativi addebiti.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Mantova, dott. Marco Benatti, con sentenza n. 651, depositata in data 25.06.2015.
Nel caso di specie, la società S.p.A, poi confluita nella Banca per effetto di articolate vicende societarie, erogava un prestito a Tizio. A seguito di alcune inadempienze nel pagamento delle singole rate, la Banca, divenuta titolare del credito, otteneva decreto ingiuntivo nei confronti del cliente, il quale spiegava dunque opposizione.
In particolare, l’opponente contestava in via preliminare la legittimazione processuale della Banca, non essendogli stata mai notificata la cessione del credito tra le predette società, deducendo altresì la nullità della pattuizione degli interessi, in quanto la somma di corrispettivi e moratori risultava “al di fuori del limite legale”. L’istante concludeva, pertanto, per la revoca del decreto ingiuntivo e, in subordine, affinché il tasso di interesse fosse ridotto nel limite di legge.
Si costituiva in giudizio la Banca opposta, la quale contestava ogni addebito, concludendo per la conferma del provvedimento opposto.
Il Tribunale, rigettando in toto le doglianze di cui all’atto di citazione in opposizione, ha preventivamente disatteso l’eccezione relativa al difetto di legittimazione della Banca, precisando che “le vicende societarie intervenute nel frattempo, non costituiscono cessioni del credito in senso proprio, ma situazioni del tutto assimilabili alle trasformazioni sociali e in tal modo regolate. È del resto intuibile come la fusione o la scissione di istituti di credito renderebbe impossibile la notifica agli innumerevoli debitori di ciascuna specifica cessione del credito”.
In ogni caso, ha chiarito il Tribunale, ove anche fosse ipotizzabile “una cessione in senso proprio, l’efficacia della stessa nei confronti del debitore non condiziona il diritto del cessionario ad ottenere il pagamento, ma solo la possibilità per il debitore di essere liberato in caso di pagamento al cedente essendo all’oscuro della cessione. La notifica è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario”.
Quanto al merito delle contestazioni articolate da parte opponente, il Giudice adito ne ha rilevato l’assoluta genericità, oltre che illogicità, essendosi il cliente limitato “a valutare ‘a spanne’ l’eccessività dell’interesse, senza tenere in alcun conto la durata del finanziamento e il numero delle rate. A ciò si aggiunga come parte opponente non abbia in alcun modo prodotto i decreti ministeriali che fissano il limite di legge, ossia il tasso soglia oltre il quale gli interessi potrebbero definirsi usurari”.
Respinte, altresì, le ulteriori censure attoree, afferenti al mancato tempestivo deposito, da parte della Banca, di tutta la documentazione allegata all’originario ricorso per decreto ingiuntivo, da cui deriverebbero l’irritualità della successiva allegazione e dunque la mancata prova del credito azionato. Sul punto, il provvedimento in commento ha chiarito che “se è pacifico come sia onere dell’ingiungente, nella causa d’opposizione, depositare i documenti già prodotti unitamente al ricorso ex art. 638 c.p.c., non può ritenersi che la produzione debba sottostare agli stessi termini perentori ex art. 183/6 c.p.c., previsti nel giudizio ordinario. Deve infatti aversi riguardo al fatto che i documenti in questione sono già stati depositati e messi a disposizione dell’opponente al momento in cui gli è stato notificato il decreto ingiuntivo opposto ed egli li ha senz’altro esaminati al fine di proporre l’opposizione ex art. 645 c.p.c., con la conseguenza che lo sbarramento processuale può riguardare tutt’al più le nuove produzioni, ma non può inficiare un thema probandum che si è già fissato ancor prima dell’opposizione”.
Ad ogni modo, non avendo parte opponente sollevato alcuna contestazione circa la predetta documentazione e non essendo pertanto insorta l’esigenza, per il Giudice, di condurre accertamenti sulla stessa, la circostanza che il deposito da parte della Banca sia avvenuto successivamente non assume alcun rilievo specifico.
Alla luce delle argomentazioni esplicate ed in considerazione dell’assoluta infondatezza e della totale genericità dell’opposizione, il Tribunale ha disposto, nella quantificazione della condanna alle spese dell’attore soccombente, l’aumento di un terzo previsto dall’art. 4/3 D.M. 55/2012.
Testo del provvedimento
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