La verifica della usurarietà c.d. oggettiva non può essere condotta con il criterio della sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori. Tale modo di procedere è, infatti, del tutto illogico sotto il profilo sia giuridico che matematico, atteso che gli interessi corrispettivi e quelli moratori sono destinati non a cumularsi, ma ad essere applicati in via alternativa, a condizioni e con funzione diverse gli uni rispetto agli altri: i primi, se ed in quanto vi sia inadempimento, con funzione di risarcimento del danno; i secondi, nella fisiologia del rapporto, quale corrispettivo dell’erogazione del finanziamento.
Gli interessi moratori devono sottostare applicazione della legge antiusura e non possono essere ricondotti nell’alveo delle clausole penali (con conseguente applicazione dell’art. 1384 cc), atteso che la ratio del sistema congegnato dalla L. n. 108 del 1996, si fonda su una oggettivizzazione della verifica dell’usura.
Nella verifica dell’usura compiuta tenendo conto anche degli interessi moratori, il tasso soglia non può essere incrementato di quel 2,1% risultante da indagine campionaria della maggiorazione mediatamente applicata in caso di mora compiuta dalla Banca d’Italia, che è stata effettuata per un solo anno (2001/02), ed è ormai risalente nel tempo.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Trento, in persona della dott.ssa Monica Attanasio, con sentenza del 18 febbraio 2016.
In particolare è accaduto che, nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore principale e dai suoi fideiussori nei confronti della banca creditrice, è stata affrontata la vexata quaestio dell’inclusione o meno degli interessi moratori tra gli oneri rilevanti ai fini del riscontro di usura c.d. oggettiva, vale a dire nel raffronto con il Tasso Soglia.
Ricostruendo il contesto normativo e tracciando alcune linee ricognitive della giurisprudenza di legittimità e di merito, il Tribunale trentino non si discosta da quel dato letterale ex art. 1 del D.L. 29 dicembre 2000, n. 39, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, convertito dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24 (il quale ha stabilito che «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento»), disposizione che pur è stata oggetto di rimeditazioni giurisprudenziali, per porre rimedio ad alcune incongruenze applicative.
Ebbene, per il giudice della sentenza in commento, il sistema antiusura non può che “occuparsi” di sanzionare anche gli interessi di mora oltre la soglia, benché questi non rientrino tra gli oneri rilevanti ai fini della segnalazione e della formazione del TEGM.
Tale problema viene risolto dal giudicante con l’osservazione che «il tasso soglia usurario non coincide col tasso effettivo globale medio rilevato dalla Banca d’Italia e recepito nei decreti ministeriali, ma fra l’uno e l’altro vi è sempre stato uno spread (pari, in passato, al 50% del Tegm, e, attualmente, ad un quarto del Tegm più quattro punti percentuali, con una soglia massima di ben otto punti percentuali in più), atto a consentire all’operatore finanziario di “tarare” il tasso degli interessi al rischio della singola operazione».
In altri termini, l’istituto di credito sarebbe libero di individuare nel “range” tra il tasso medio ed il tasso soglia il valore della maggiorazione di mora che sia più idoneo a “coprire” il rischio di inadempimento.
Sulla scorta di tale presupposto, il Tribunale affronta (e respinge) i “correttivi” proposti da una parte della giurisprudenza per rendere coerente il sistema.
Nell’ordine, il Giudice:
1) ritiene non condivisibile l’assimilazione degli interessi di mora alla clausola penale (equazione che renderebbe inapplicabile la sanzione antiusura e praticabile una riduzione equitativa della penale per il tramite dell’art. 1384 cc). Tale soluzione, «presenta margini di incertezza e variabilità assai maggiori di un sistema che, come quello congegnato dalla L. n. 108 del 1996, si fonda su una oggettivizzazione dell’usura»;
2) non aderisce alla tesi per la quale i nuovi “interessi legali di mora” ex art. 1284 cc – applicabili dal momento della proposizione della domanda giudiziale – risultando per talune categorie di operazioni ben superiori alle soglie di usura, dovrebbero condurre alla conclusione della inapplicabilità della normativa antiusura agli interessi di mora, in quanto questi ultimi non potrebbero essere soggetti a due distinti trattamenti a seconda che siano imposti dal legislatore o pattuiti liberamente tra le parti. Secondo il Tribunale, la riforma dell’art. 1284 cc «rappresenta una delle misure messe in campo col D.L. n. 132 del 2014 a fini di deflazione e velocizzazione del contenzioso civile, tant’è vero che l’applicazione ne è prevista, non in ogni caso di costituzione in mora, ma solo in quello di proposizione di una domanda giudiziale; la deroga alla legge sull’usura che può derivarne è dunque legata a quella finalità, rispondente ad un interesse di carattere generale, e non appare dunque predicabile al di fuori ed in assenza di essa»;
3) ritiene inammissibile il criterio dell’individuazione di un’autonoma soglia per gli interessi di mora, ottenuta mediante la maggiorazione della soglia ordinaria di quel 2,1% risultante da indagine campionaria della maggiorazione mediatamente applicata in caso di mora compiuta dalla Banca d’Italia: «per un verso, infatti, la omogeneità dei dati posti a confronto, e cioè del Tegm da un lato e del Taeg dall’altro, può essere un’esigenza di cui il legislatore si fa carico, come avvenuto per la commissione di massimo scoperto con l’art. 2 bis, comma 2, del D.L. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 2 del 2009, ma non è imposta dalla L. n. 108 del 1996, tant’è vero che alcune categorie di operazioni (quali ad es. le operazioni a tasso agevolato o di favore o quelle in cui le posizioni sono state classificate a sofferenza, etc.), che secondo le istruzioni della Banca d’Italia dalla rilevazione del Tegm, non lo sono però dall’ambito di applicazione della legge; per altro verso, l’indagine campionaria della Banca d’Italia è stata effettuata per un solo anno (2001/02), ed è ormai risalente nel tempo».
Così ricostruito il sistema, il Tribunale di Trento ha però rilevato che, nel caso di specie, nella prospettazione di parte opponente, l’usura era stata configurata per effetto della sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori.
Tale modo di procedere è radicalmente inammissibile («del tutto illogico sotto il profilo sia giuridico che matematico») in quanto i due interessi (moratori e corrispettivi) sono destinati non a cumularsi, ma ad essere applicati in via alternativa, a condizioni e con funzione diverse gli uni rispetto agli altri: i primi, se ed in quanto vi sia inadempimento, con funzione di risarcimento del danno; i secondi, nella fisiologia del rapporto, quale corrispettivo dell’erogazione del finanziamento.
Pertanto, verificato che sia il tasso corrispettivo che quello di mora – autonomamente considerati – fossero ad un livello inferiore al tasso soglia, il Tribunale ha respinto l’opposizione e condannato i debitori al pagamento delle spese di lite.
IL COMMENTO
La sentenza del Tribunale trentino torna ad attestarsi su una lettura abbastanza “rigida” della normativa antiusura, riportando le lancette dell’orologio alla prima metà del 2013, quando la giurisprudenza di merito si è trovata a dover riempire di contenuti il dictum sibillino della Suprema Corte (sent. 350/2013), per la quale anche gli interessi di mora devono sottostare al rispetto delle soglie di usura.
Da allora, diverse pronunce sono tornate ad affrontare il problema “applicativo” degli interessi di mora, diversi per natura e funzione da quelli corrispettivi, rispetto ai quali inevitabilmente è “pensato” e costruito il sistema antiusura predisposto dal legislatore del ’96.
Invero, non può sfuggire all’interprete che l’art. 644 cp configura l’usura in relazione alla promessa di interessi “in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità” e che da sempre le rilevazioni dei tassi medi effettuate da Bankitalia su delega del MEF – dalle quali si ricava il Tasso Soglia – hanno escluso gli oneri di mora tra le voci di costo rilevanti, anche per non sottaciute finalità calmieristiche del costo del denaro.
Ne consegue che la verifica di usurarietà dei tassi di mora, operata in raffronto alle ordinarie soglie di usura, è di per sé un’operazione aritmeticamente (prima che giuridicamente) discutibile, in quanto i termini del raffronto sono tra loro disomogenei.
Orbene, che il complesso sistema antiusura si fondi – anzitutto – sull’omogeneità dei termini di raffronto è un dato indiscutibile, derivante dalla stessa configurazione di un meccanismo di rilevazione oggettiva, che oggettiva non è se ex post si includano nel computo del tasso effettivo oneri non presi in considerazione ex ante per la formazione delle soglie di usura.
Lo ha confermato lo stesso legislatore del 2009 quando, intervenendo con la legge n.2/2009 sulla questione della rilevanza o meno della CMS (sempre esclusa da Bankitalia dalla composizione dei Tassi Effettivi Globali Medi) ai fini delle verifiche antiusura, si è sentito in “dovere” di ratificare l’operato dell’Organo di Vigilanza, stabilendo che tale onere dovesse comunque essere escluso dal computo del tasso effettivo, sino all’entrata in vigore dei nuovi meccanismi di rilevazione all inclusive.
Sembra, pertanto, che troppo sbrigativamente abbia superato l’obiezione della disomogeneità il Tribunale di Trento nella pronuncia in esame, semplicemente affermando che i Tassi Soglia sono già maggiorati rispetto ai Tassi Effettivi Globali Medi e che nella “forbice” tra i due valori le banche avrebbero piena libertà nello stabilire le maggiorazioni a titolo di mora.
Tale ricostruzione lascia perplessi poiché il “range” tra TEGM e Tasso Soglia è pensato per garantire al sistema creditizio quel minimo di operatività e flessibilità che garantisca, da un lato, la valutazione del merito creditizio del cliente e, dall’altro, la stessa concorrenzialità tra gli operatori del credito.
Questo margine di flessibilità non può che riguardare l’aspetto fisiologico del contratto (la remuneratività del capitale), che si assottiglia oltremodo se l’intermediario è “costretto” a contemplarvi anche gli oneri di mora.
Non convince neppure la motivazione con la quale il Tribunale ha trascurato le indicazioni fornite dalla normativa sui nuovi “tassi legali di mora”, poiché è incoerente un sistema che assegna ad istituti dalla medesima natura (cioè gli interessi di mora) trattamenti e “sanzioni” diverse: il legislatore, infatti, da un lato imporrebbe tassi legali di mora “usurari” e dall’altro li sanzionerebbe (persino con la reclusione da due a dieci anni) se pattuiti tra le parti allo stesso livello.
La spiegazione fornita dal Tribunale è singolare: il legislatore sarebbe libero di derogare al sistema antiusura, al fine di tutelare l’interesse di carattere generale alla deflazione ed velocizzazione del contenzioso civile”.
Un “curioso” esempio di bilanciamento di interessi contrapposti.
Qui non può che rinviarsi alla lettura di alcune decisioni (Tribunale di Milano 28.04.2016 – Tribunale di Padova 09.01.2015) che, interpretando il combinato disposto degli artt. 1284 cc, 1815 cc e 644 cp, hanno ritenuto di poter escludere del tutto la rilevanza degli interessi di mora ai fini delle verifiche antiusura, diversamente qualificandosi il legislatore come “schizofrenico”.
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