ISSN 2385-1376
Testo massima
Nell’ambito di un contenzioso finalizzato ad accertare l’applicazione, in un rapporto bancario, di un tasso ultralegale superiore al tasso soglia come determinato dai decreti ministeriali varati in attuazione della L. n. 108 del 1996, la parte istante è tenuta a provare in maniera puntuale, ai sensi dell’art. 2697 c.c., il fondamento della propria domanda, anzitutto producendo in giudizio i predetti decreti ministeriali.
L’eventuale inottemperanza al prescritto onus probandi rende inammissibile la consulenza tecnica d’ufficio per la verifica della congruità del calcolo degli interessi contabilizzati in violazione della c.d. legge antiusura, non potendo essa consentire alle parti di rimediare ad eventuali carenze sul piano dell’onere probatorio e non potendo avere carattere esplorativo.
Questi i principi ribaditi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dott. Maurizio Spezzaferri, con la sentenza depositata in data 11 maggio 2015.
Nel caso in esame, gli attori citavano in giudizio l’istituto bancario sul presupposto che, in qualità di fideiussori di una società, avevano ricevuto, unitamente al debitore principale, l’invito alla restituzione della somma oggetto di finanziamento oltre agli interessi di mora maturandi, lamentando la mancata cognizione dei criteri di contabilizzazione degli interessi in base al capitale concesso in prestito, nonché la nullità del contratto di finanziamento per l’applicazione di interessi ultralegali non riferiti a parametri “centralizzati”.
Sulla base di tali doglianze, gli istanti chiedevano la condanna della banca al risarcimento dei danni subiti per l’illegittima segnalazione alla Centrale Rischi in Bankitalia, la declaratoria di nullità del contratto di finanziamento garantito e delle relative clausole vessatorie, oltre che la ricostruzione dell’intero rapporto dare/avere nei confronti dell’istituto di credito, con accertamento dell’inesistenza del credito vantato da quest’ultimo, con relativa condanna alla restituzione di quanto indebitamente riscosso.
Si costituiva in giudizio la banca, eccependo la totale infondatezza, in fatto ed in diritto, della domanda attorea ed articolando riconvenzionale nei confronti dei fideiubendi, al fine di ottenere la condanna degli stessi al pagamento della somma integrante il credito insoluto.
Il Giudice, con la sentenza in commento, ha rigettato le domande proposte dagli attori ed accolto la riconvenzionale articolata dalla Banca, argomentando le proprie statuizioni come di seguito chiarito.
Il Tribunale ha preliminarmente evidenziato la completa genericità degli addotti motivi di nullità del contratto di finanziamento relativamente all’applicazione degli asseriti interessi ultralegali, non avendo gli attori indicato né il parametro di riferimento né i criteri di contabilizzazione seguiti in concreto dalla banca. Di contro, risultavano invece specificati, in relazione alla durata del contratto di mutuo, sia il tasso di interessi mensile, sia la decorrenza ed il metodo di calcolo degli eventuali interessi di mora, risultando le relative clausole debitamente sottoscritte dal debitore principale.
Quanto alla dedotta presenza di clausole vessatorie contenute nel contratto di finanziamento, il Tribunale rilevava, oltre alla indeterminatezza di tale deduzione, che la clausola in contestazione, richiamata al n. 8, lett. A) del detto contratto in quanto “clausola risolutiva espressa” non rientra tra quelle di cui al comma secondo dell’art. 1341 c.c., e richiamando la conforme giurisprudenza sul punto, precisava che la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento è insita nel contratto stesso a norma dell’art. 1453 c.c., per cui la detta clausola non fa altro che rafforzare tale facoltà ed accelerare la risoluzione (cfr. Cass. n. 15365/2010; Cass. n. 20818/2006; Tribunale Torino, 15-11-2005, in Giur. piemontese 2005, 3, 412; Tribunale Roma, 19-06-2002 in Giur. romana 2003, 265).
Dunque, a parere del Giudicante la pattuizione apposta al contratto, mediante la quale si prevede che l’inesecuzione di una specifica obbligazione – secondo le modalità concordate – ne determina la risoluzione, non costituisce una clausola particolarmente onerosa, riconducibile alla categoria di quelle vessatorie, non potendo essere ricondotta tra quelle che sanciscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, aggravando la situazione di uno dei contraenti, poiché la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto sarebbe insita nel contratto stesso, a norma dell’art. 1453 c.c. e detta clausola non farebbe altro che rafforzare tale facoltà, pertanto, non può considerarsi come una clausola vessatoria che necessita della c.d. doppia sottoscrizione di cui all’art. 1341 c.c..
Nel merito, anche all’esito della espletata CTU accertava che non vi è stata, da parte dell’istituto bancario, alcuna applicazione e/o superamento dei tassi soglia, come rilevati nel periodo in contestazione.
Sul punto, però il Giudicante sottolinea che, anche a voler prescindere dalla verifica contabile del CTU, “la doglianza degli attori si palesa priva di pregio anche per la violazione del principio di cui all’art. 2697 c.c., non avendo gli stessi ottemperato all’onere probatorio posto in capo alla parte interessata, con riferimento all’applicazione, da parte dell’istituto di credito, di interessi ultralegali in misura eccedente il tasso soglia, come determinato dai decreti ministeriali varati in attuazione della L. n. 108 del 1996”.
Ed invero, il Giudicante, richiamando la Suprema Corte (Cass. n. 8742/2001) evidenzia che i decreti ministeriali sono atti amministrativi, per cui non trova applicazione il principio jura novit curia posto dall’art. 113, primo comma, c.p.c., in quanto tale norma deve essere letta ed applicata con riferimento all’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, che contiene l’indicazione delle fonti del diritto, le quali non comprendono gli atti suddetti.
In conclusione ritiene il Tribunale, che gli attori, sebbene tenuti all’onere probatorio di allegazione, non hanno prodotto i decreti ministeriali relativi ai diversi tassi, con la conseguenza che la CTU, volta alla verifica della congruità del calcolo degli interessi contabilizzati in violazione della c.d. legge antiusura sarebbe stata oltre che inutile – stante la mancata produzione dei documenti sopraindicati da parte degli attori – anche inammissibile, non potendo essa consentire alle parti di rimediare ad eventuali carenze sul piano dell’onere probatorio e non potendo avere carattere esplorativo.
In virtù di tali argomentazioni il Tribunale ha rigettato la domanda attrice e, in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, ha condannato i fideiussori della società srl, in solido tra loro al pagamento in favore dell’istituto bancario, della somma individuata dal CTU, unitamente agli interessi di mora, dalla domanda al saldo, tuttavia la complessità delle questioni trattate, la natura tecnica delle verifiche e la posizione delle parti soccombenti, hanno giustificato la compensazione integrale tra le parti delle spese di lite, ad eccezione delle spese di CTU poste definitivamente a carico degli attori, in solido tra loro.
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