ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di usura, dall’affermazione che gli interessi moratori sono superiori al tasso soglia non discende, come conseguenza, che non siano dovuti affatto interessi, dovendo evidenziarsi che l’art. 1815 comma II c.c. prevede, in caso di pattuizione di interessi usurari, che “la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, dunque la nullità va limitata alla sola clausola che prevede gli interessi moratori e ne indica la misura, non estendendosi anche alla previsione negoziale degli interessi corrispettivi, che quindi continuano ad essere dovuti.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Novara, in persona della dott.ssa Simona Gambacorta, con sentenza del 08.10.2015, che dirime l’ennesima controversia sul rapporto tra interessi moratori e disciplina antiusura.
Nel caso all’attenzione del Giudice piemontese, un mutuatario ha convenuto in giudizio la banca mutuante, sul presupposto dell’usurarietà degli interessi di mora pattuiti in misura superiore al c.d. tasso soglia. Da ciò, l’attore ha concluso per la gratuità tout court del mutuo, in applicazione della sanzione ex art. 1815, II co., cc.
Dal canto suo, la Banca si è difesa sottolineando la diversità di natura e funzione degli interessi di mora rispetto agli interessi corrispettivi, che escluderebbe la sottoponibilità dei primi alle soglie di usura o comunque impedirebbe la possibilità di applicare la sanzione di nullità ex art.1815, II co. cc ai secondi, ove pattuiti entro la soglia.
Il Tribunale ha ritenuto di dover aderire all’orientamento per il quale anche gli interessi moratori debbano sottostare al tasso soglia, alla luce della famosa sentenza della Cassazione n.350/2013, secondo la quale “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori“.
Al contempo, il Giudice ha però evidenziato che il tenore letterale dello stesso art.1815 cc, che fa riferimento al singolare alla nullità della “clausola” determinativa degli interessi (“la clausola è nulla e non sono dovuti interessi“), impedisce di adottare una soluzione unitaria, sul piano delle sanzioni, a due elementi negoziali distinti (la clausola che stabilisce la misura degli interessi corrispettivi e quella che fissa invece gli interessi moratori), proprio in quanto i due tassi si applicano in via alternativa tra loro, in presenza di differenti condizioni, “l’uno nella fisiologia del rapporto, l’altro in ipotesi di patologia dello stesso per l’inadempimento del mutuatario“.
Ne discende che l’eventuale nullità della mora per superamento del tasso soglia non pregiudica la validità della pattuizione relativa allo svolgimento fisiologico del rapporto (si legga “del tasso corrispettivo“).
Per tale ragione, considerato che nel caso di specie non si era fatta applicazione degli interessi di mora nel corso del rapporto, il Tribunale ha respinto la domanda del mutuatario, con condanna alla refusione delle spese di lite.
A margine, si segnala un altro principio degno di nota nella decisione in commento.
Nel valutare (e respingere) la doglianza relativa al mancato rispetto degli obblighi ex artt 6 della delibera Cicr 9.2.2000 (che prescrive che, in caso di capitalizzazione infrannuale, debba essere indicato in contratto il tasso effettivo su base annua come risultante per effetto della capitalizzazione) il Tribunale ha espressamente chiarito:”il sistema di ammortamento alla francese non comporta alcuna capitalizzazione infrannuale degli interessi, in quanto [
]la rata è composta da una quota interessi ed una quota capitale, pertanto, mediante il pagamento rateale, il capitale si riduce progressivamente, e siccome gli interessi di periodo vengono calcolati sul solo capitale residuo e quest’ultimo è mano a mano ridotto, si verifica un fenomeno esattamente inverso rispetto alla capitalizzazione, in cui invece si assiste al progressivo aumento del capitale su cui vengono calcolati gli interessi“.
Tale argomentazione “spegne” sul nascere alcune delle classiche doglianze dei clienti-mutuatari nel contenzioso bancario, affermando la piena legittimità del meccanismo di ammortamento c.d. alla francese.
IL COMMENTO
La decisione, concettualmente corretta nel principio espresso e coerente con la giurisprudenza dominante, presta il fianco ad alcune critiche per l’omessa valutazione dei più recenti orientamenti in materia di sottoponibilità degli interessi di mora alle soglie di usura.
In particolare, l’errore del Giudicante sta nell’aver utilizzato, per la valutazione di usurarietà degli interessi di mora, la stessa “soglia” calcolata con riferimento agli interessi corrispettivi.
Tale ragionamento presenta un vizio logico prima che giuridico ancor più evidente se si consideri l’esatta qualificazione operata dal Tribunale con riferimento ai due tipi di interessi.
Sta di fatto che è evidente che l’interesse moratorio, lungi dal costituire elemento corrispettivo del credito, è collegato all’inadempimento contrattuale e deve essere considerato alla stregua di una penale, per essere una sanzione contrattuale, assolvendo alla funzione della predeterminazione forfettaria del danno risarcibile, secondo il disposto di cui al secondo comma dell’art.1224 cc.
Su tale aspetto la decisione del giudice novarese è formalmente corretta.
Il passaggio successivo, tuttavia, è quello relativo alla possibilità concreta di raffrontare l’interesse moratorio con le soglie di usura (ragionamento per il quale comunque, nella decisione in esame, si sancisce l’usurarietà oggettiva del tasso di mora).
Sul punto va considerato che l’interesse di mora, non costituendo corrispettivo per la concessione del credito (l’art. 644 cp, peraltro, fa riferimento agli elementi “remunerativi” del mutuo), non è mai stato considerato dai decreti ministeriali trimestrali recanti i c.d. Tassi Effettivi Globali Medi (dai quali si determina la soglia di usura), in quanto le rilevazioni periodiche di Bankitalia sono sempre state condotte con riferimento esclusivo ai tassi corrispettivi.
Ne discende che manca, allo stato attuale, un indice di raffronto, ossia un “tasso soglia moratori”, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare.
Detto in altri termini, utilizzare il parametro rilevato per gli interessi corrispettivi per verificare l’usurarietà degli interessi moratori in chiave oggettiva è un errore logico, oltre che giuridico.
È un errore LOGICO, in quanto è ovvio che tale indice viene rilevato sul fisiologico del rendimento del credito (interessi corrispettivi) e non su patologico (interessi moratori), per cui vi è un evidente disomogeneità dei dati da raffrontare in termini di usura oggettiva.
È un errore GIURIDICO, poiché, ragionando in tal senso, si nega valore precettivo alle istruzioni della Banca d’Italia, organo al quale la stessa normativa primaria assegna un ruolo decisivo per il “funzionamento” dei meccanismi antiusura (senza dimenticare che è l’organo al quale le banche stesse rispondono sotto il profilo disciplinare), laddove è sempre stato chiarito che “gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TAEG perché non dovuti al momento dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. Direttive, quelle della Banca centrale, fatte proprie anche dai decreti trimestrali del MEF, redatti nell’esercizio dell’attività di vigilanza del credito, attraverso cui è stato chiarito che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per il ritardo nel pagamento“.
A tale ragionamento è poi da aggiungere che il nuovo art.1284 quarto comma cc ha introdotto i NUOVI TASSI LEGALI DI MORA con la seguente previsione: “Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali“.
Si noti che tale disposizione rinvia ad un tasso – rilevato semestralmente ed attualmente pari al 8,125% – di gran lunga superiore alla soglia di usura per rilevanti categorie di operazioni creditizie.
L’interrogativo che ne nasce è il seguente: se lo stesso legislatore impone l’applicazione (per legge) di un tasso di mora superiore alle soglie di usura, come può configurarsi l’usurarietà dei tassi di mora convenzionali?
Se, infatti, tra le due categorie (tassi di mora convenzionali e legali) il discrimen risiede nella fonte (pattizia, appunto, o legale) e non nella funzione, il sistema non può che perdere di coerenza quando si imponga il rispetto delle soglie di usura solo alla mora convenzionale.
Dalle argomentazioni appena svolte può trarsi un’unica conseguenza che peraltro trova riscontro in alcune “coraggiose” decisioni giurisprudenziali di merito: o il tasso di mora non può affatto essere rilevante ai fini della verifica dell’usura c.d. oggettiva, dovendo essere inquadrato come una semplice e pura penale da inadempimento, eventualmente da valutare ex art. 1384 cc, ovvero l’usurarietà della mora non può comunque valutarsi con riferimento alle ordinarie soglie, determinate con riferimento esclusivo ai soli elementi “remunerativi“.
In tale ultimo caso andranno individuati alcuni “correttivi“, al fine di determinare un’autonoma (e superiore) soglia alla quale raffrontare i tassi di mora.
Per altri precedenti, tra i tanti pubblicati, si rinvia, in particolare a:
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