La Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 458 del 01.02.2019 spiega gli effetti della mancata rilevazione del parametro per l’assenza di un legittimo provvedimento amministrativo, operando una critica costruttiva alla decisione della Corte di Cassazione n.27442 del 20.10.2018 ove ha evidenziato le ragioni per le quali il provvedimento non è condivisibile.
In particolare la Corte si è soffermata sul dilemma tra l’applicazione della maggiorazione del 2,1%, prevista dall’indagine statistica e la possibile inoperatività della disciplina per mancata rilevazione del limite, in assenza di un legittimo provvedimento amministrativo (richiesto dall’art. 2 L. 108/1996 per la determinazione del tasso soglia) per cui nessun tasso soglia risulterebbe fissato con riguardo alla pattuizione degli interessi moratori al fine di stabilire se il tasso in concreto pattuito nel singolo contratto abbia carattere usurario oppure no.
Per una migliore comprensione si trascrive la parte motivazione di per se esplicativa del ragionamento della Corte.
Determinazione del tasso soglia dell’usura per gli interessi di mora.
La Corte di Cassazione con la sentenza sopra citata (n. 27442/2018) ha anche stabilito che:
- i Decreti Ministeriali, che rilevano il tasso medio praticato dalle banche e dagli intermediari finanziari, senza distinguere il tasso medio degli interessi corrispettivi dal tasso medio degli interessi moratori, e rilevano il suddetto tasso medio, senza tenere in considerazione la maggiorazione del tasso per il caso di mora, sono corretti, perché l’art. 2 L. 108/1996 consente di distinguere la rilevazione solo per tipo di operazione (cioè per tipologia contrattuale) e non già per titolo giuridico;
- per conseguenza il raffronto, al fine di verificare l’usurarietà o meno del tasso di mora pattuito, deve essere condotto tra il tasso di mora effettivamente pattuito nel contratto e il tasso medio rilevato nei Decreti Ministeriali senza tenere in considerazione la maggiorazione per la mora praticata dagli operatori autorizzati del sistema bancario e finanziario.
La Corte d’appello non ritiene di uniformarsi alle statuizioni suddette per le ragioni di seguito esposte.
– Innanzitutto occorre evidenziare, come del resto sostenuto anche dalla citata sentenza della Corte di Cassazione, che il concetto di usurarietà è definito esclusivamente nell’art. 644 c.p., che configura il reato di usura; quindi, l’interesse pattuito può considerarsi usurario, e per conseguenza nullo, solo se configura il reato di usura, come definito dall’art. 644 c.p. (cf. Cass. S.U. n. 24675/2017 ).
– Ai sensi dell’art. 14 preleggi, l’art. 644 c.p., trattandosi ovviamente di legge penale, non si può applicare “oltre i casi e i tempi in esso considerati”.
– Con riguardo all’interpretazione letterale, gli art 1 (che ha introdotto il nuovo testo dell’art. 644 c.p.) e 2 della L. 108/1996 sul punto sono chiarissimi:
- innanzitutto prevedono che sia individuato e pubblicato (da parte del Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano Cambi) per ogni trimestre il tasso medio (cd. TEGM) degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi per operazioni omogenee;
- quindi statuiscono che il limite (oltre il quale sussiste il carattere usurario) sia costituito dal suddetto tasso medio con un determinato aumento (fino al 2011 “della metà”, ora “di un quarto con un’aggiunta di quattro punti percentuali ma con un massimo di otto punti percentuali”);
- il confronto deve essere effettuato tra il tasso concreto pattuito in un determinato contratto (TEG) e il limite (cd. tasso soglia) come sopra determinato;
- per la determinazione del tasso concreto pattuito (TEG) si devono utilizzare gli stessi criteri utilizzati per la determinazione del tasso medio (TEGM) di confronto e per conseguenza del tasso soglia; infatti, ai sensi dell’art. 644 c. 4 c.p, per determinare il tasso concreto pattuito (TEG), si deve tener conto “delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse collegate alla erogazione del credito”, così come, per determinare il tasso medio di confronto (TEGM), vi si devono ricomprendere, ai sensi dell’art. 2 c. 1 L. 108/1996, le “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse”; come si vede entrambi i tassi devono essere determinati, secondo la legge, prendendo in considerazione i medesimi elementi, esplicitamente individuati.
Con riguardo all’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore, risulta evidente che:
con il reato di cui all’art. 644 c.p. si è inteso punire (con pena ora della reclusione da due a dieci anni) chi richiede per un determinato servizio (cioè la messa a disposizione della controparte di denaro o di altra utilità) un prezzo (interesse) esageratamente più alto (fino al 2011 superiore del 50%, ora superiore del 25% + 4 punti percentuali) rispetto al prezzo medio, richiesto dalla generalità delle banche e degli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti da Banca d’Italia; è quindi evidente che per valutare il carattere esagerato del prezzo richiesto dal singolo soggetto si deve necessariamente confrontarlo con quello richiesto dalla generalità degli altri operatori per il medesimo servizio ed è evidente che vi è una differenza tra “il prestito fisiologico” (quello cioè per il quale sono richiesti interessi corrispettivi) e “il prestito patologico” (quello cioè per il quale sono richiesti interessi moratori), tanto che l’intero sistema finanziario (come rilevato da Banca d’Italia a partire dall’indagine del 2002 recepita nel Decreto Ministeriale a decorrere dal 1.4.2003) richiede per l’interesse moratorio un tasso maggiorato del 2,1% (recentemente ridotto al 1,9%); d’altro canto una normativa che punisse con sanzione penale, come implicitamente ritenuto dalla sentenza della Corte di Cassazione citata, il soggetto che richiedesse per il servizio offerto un prezzo ritenuto sproporzionatamente eccessivo rispetto al prezzo richiesto dalla generalità degli altri operatori autorizzati, non già per il medesimo servizio ma per un servizio differente, sarebbe certamente affetta da illegittimità costituzionale.
– Pertanto la Corte d’appello ritiene che, per verificare se un determinato tasso di interesse moratorio, concretamente pattuito in un determinato contratto, abbia carattere usurario o meno, ai sensi dell’art. 644 c. 1 e 3 c.p., è in ogni caso necessario verificare se superi oppure no il limite calcolato sul tasso di interesse moratorio medio, trimestralmente rilevato nel Decreto Ministeriale, praticato dal sistema bancario e finanziario.
– La Corte di Cassazione con la sentenza sopra citata ha, peraltro, rilevato che:
- in primo luogo la L. 108/1996 prevederebbe un tasso soglia unico e non già due tassi soglia differenziati in base al differente titolo giuridico, tra quanto cioè è omnicomprensivamente pattuito come compenso corrispettivo (cioè come interesse corrispettivo e oneri aggiuntivi) e quanto invece è, sempre omnicomprensivamente, pattuito come compenso per il ritardo nella restituzione (cioè come interesse moratorio);
- in secondo luogo i decreti ministeriali finora emanati rilevano di fatto un solo tasso medio per tipologia di operazione (cioè per tipologia di contratto), sul quale applicare l’aumento per determinare il tasso soglia, cioè il tasso medio praticato dal sistema finanziario quale interesse corrispettivo pattuito, senza prendere in alcun modo in considerazione il tasso medio praticato per gli interessi moratori.
– Al riguardo si deve innanzi tutto rilevare come proprio le due suddette obiezioni costituirebbero semmai una dimostrazione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione nelle sentenze sopra citate, tanto il legislatore quanto la Pubblica Amministrazione, chiamata a contribuire all’applicazione della normativa in questione, in realtà hanno escluso che nella fattispecie dell’usura possa rientrarvi anche la pattuizione di somme dovute per il ritardo nella restituzione della somma mutuata.
Con riguardo alla pattuizione degli interessi moratori, potrebbe sussistere il reato di usura (e quindi la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1418 c.c.) solo quando ricorresse la fattispecie di cui all’art. 3 L. 108/1996 che prevede: “Fino alla pubblicazione di cui al comma 1 dell’articolo 2 (NdR cioè del decreto del Ministro del Tesoro di rilevazione dei tassi medi) è punito a norma dell’articolo 644, primo comma, del codice penale chiunque, si fa promettere, sotto qualsiasi forma, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità.”, dato che tale disposizione esplicitamente disciplina la configurazione del reato di usura, di cui all’art. 644 c.p., proprio per il periodo intercorrente fino a quando il tasso soglia non venga fissato con Decreto Ministeriale e quindi sarebbe applicabile alle pattuizioni dei tassi moratori, al fine di valutarne il carattere usurario o meno, non risultando fissato il limite da un legittimo Decreto Ministeriale, come richiesto dalla legge.
In conclusione nella fattispecie in esame, con riguardo alle eccezioni espressamente riproposte dall’appellante nel giudizio d’appello (posto che quelle non espressamente riproposte si intendono rinunciate ai sensi dell’art. 346 c.p.c.), si evidenzia che:
- se si ritiene legittimo, come questa Corte ritiene, il tasso soglia desumibile dal D.M. 17.12.2004 con riferimento anche alla maggiorazione del 2.1% rilevata dall’indagine della Banca d’Italia, (maggiorazione media di mora), aumentato della metà (differenziale di usura), il tasso moratorio, concretamente pattuito dalle parti nel contratto del 8.2.2005, è inferiore al limite, oltre il quale avrebbe avuto carattere usurario. Infatti, già il tasso soglia relativo alla categoria “Altri finanziamenti a breve e a medio/lungo termine” (valore TEGM: 5,74; tasso soglia: 8,61) appare di misura superiore al tasso indicato da SOCIETA’ (6,29, cfr. doc. 2 del fascicolo di parte in primo grado);
· se si ritiene, invece, che il suddetto tasso soglia non è utilizzabile, in quanto individuato nel Decreto Ministeriale solo sulla base di un’indagine statistica a fini conoscitivi della Banca d’Italia del 2002, deve ritenersi che nessun limite risulta validamente statuito come invece richiesto dall’art. 2 L. 108/1996, e pertanto non può che applicarsi la disciplina prevista dall’art. 3 L. 108/1996, per il caso in cui non sia intervenuto un valido decreto ministeriale a fissare il tasso soglia; ma, dato che non risulta né allegato, né tanto meno provato da parte dell’appellante (su cui incombeva il relativo onere) che la stessa si trovava in condizioni di difficoltà economica o finanziaria e che il tasso pattuito era sproporzionato a quello praticato dal sistema bancario e finanziario per operazione similare, la domanda dell’appellante non può che essere in ogni caso respinta.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno