Testo massima
Agire in giudizio deducendo l’usurarietà dei tassi applicati dalla banca sul presupposto della sommatoria tra interessi convenzionali ed interessi moratori è indice di ignoranza normativa e giurisprudenziale o di dolo processuale, che va sanzionato ex art. 96, comma 3, c.p.c.
È falsa la deduzione secondo la quale la Corte di Cassazione con la sentenza 350/134 avrebbe sancito che, ai fini della verifica se il tasso pattuito sia o meno usurario, gli interessi corrispettivi vadano sommati agli interessi moratori. La Suprema Corte, infatti, non ha mai affermato una simile mostruosità e la condotta attorea denota la volontà di creare un contenzioso seriale e/o comunque di indurre in errore il giudicante sul fatto che una certa sentenza della Suprema Corte abbia detto una cosa che in realtà non ha mai detto, contegno che va opportunamente sanzionato ex art. 96 c.p.c. con la condanna al quintuplo delle spese di lite.
Il multiplo delle spese di lite liquidate ai sensi del DM 55/2014 è un paramento per la liquidazione della condanna ex art. 96 cpc.
Così si è espresso il Tribunale di Padova, in persona del dott. Giorgio Bertola con la sentenza del 10 marzo 2015, che ha respinto a chiare lettere, bollandola come “fantasiosa“, la tesi della sommatoria aritmetica di tasso corrispettivo e tasso di mora ai fini della verifica dell’usura oggettiva.
La pronuncia s’iscrive nel tipico contenzioso cliente-banca, nel quale il primo conviene in giudizio la seconda al fine di ottenere la ripetizione delle somme corrisposte in esecuzione di un contratto di mutuo, a titolo di interessi, sul presupposto dell’usurarietà oggettiva ex L.108/96 delle pattuizioni.
Nel caso di specie, tuttavia, l’azione si è palesata come meramente speculativa.
In particolare, l’attore aveva sottoscritto un contratto di mutuo a tasso variabile per euro 170.000,00, con interessi corrispettivi e di mora fissati sin dall’origine (ed anche a seguito di rinegoziazione) ben al di sotto della soglia di usura, che impropriamente a detta della difesa del mutuatario, sarebbe stata superata considerando come tasso effettivo quello risultante dalla somma aritmetica dei due tassi.
A sostegno di tale tesi il cliente attore ha (erroneamente) riportato il dictum della nota sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione.
Il Tribunale di Padova ha sanzionato la domanda con condanna per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art.96, comma 3 c.p.c.
La tesi attorea è stata infatti definita “fantasiosa” e soprattutto interpretata come sintomo di ignoranza inescusabile del dettato normativo e dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di usura bancaria.
Il Giudice infatti ha testualmente affermato che “fortunatamente la Cassazione non ha mai detto una simile mostruosità poiché la citata decisione ha solo detto che il tasso di mora deve essere tenuto in conto ai fini della valutazione della usurarietà e ciò vuol dire che il Giudice deve verificare se, il tasso convenzionale e quello di mora singolarmente considerati, superino o meno il tasso soglia non potendosi accontentare di verificare il solo tasso convenzionale come era opinione isolata ma presente prima di quella decisione“.
E d’altronde, ben analizzando il caso di specie, trattandosi di mutuo a tasso variabile, questo “o ha tassi usurai fin dal suo sorgere oppure non può mai essere usurario visto che i suoi tassi salgono o scendono in base all’andamento degli indici di riferimento collocandosi sempre per definizione entro il tasso soglia“.
Senza necessità di far ricorso ad accertamenti contabili, il Giudice patavino ha riscontrato che, sin dall’origine (ma anche a seguito di rinegoziazione), il mutuo de quo è stato stipulato con tassi corrispettivi e moratori che singolarmente considerati, così come è corretto fare si presentavano ben al di sotto della soglia di usura.
Parte attrice avrebbe pertanto potuto dimostrare l’usurarietà del contratto, se e soltanto se “si ritenesse che la sentenza 350/2013 della Cassazione abbia detto che al fine della verifica si debbano sommare il tasso convenzionale con quello moratorio“.
Detto che il principio non si ritrova nella citata pronuncia degli Ermellini, il Tribunale ha ritenuto la condotta di parte attrice come indice di ignoranza inescusabile del dettato normativo e dell’evoluzione giurisprudenziale, e addirittura come tentativo di instaurare un contenzioso “seriale” inducendo il giudicante in errore su una principio mai affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con l’aggravante dunque della falsità e della strumentalità del riferimento.
In altri termini, il contegno processuale ha denotato negligenza, colpa grave e/o addirittura dolo processuale, conducendo alla condanna ex officio per lite temeraria ex art. 96, comma 3, c.p.c., secondo la considerazione che le azioni meramente strumentali e speculative arrecano un danno all’intero sistema giudiziario e per l’effetto allo Stato italiano, per le condanne subite dalla CEDU a cagione delle lungaggini processuali, motivo per il quale è stata introdotta, peraltro, la c.d. Legge “Pinto“.
Per queste argomentazioni, il Tribunale ha quantificato la sanzione nel quintuplo delle spese di lite, giungendo ad una condanna per il cliente, per complessivi euro 52.230,00 di cui 8.705,00 per spese processuali e 43,525,00 ex art. 96 comma 3 cpc.
La decisione in commento costituirà certamente un ulteriore “monito” per chiunque intenda instaurare un contenzioso in materia di usura bancaria, su presupposti privi di riscontro normativo e giurisprudenziale.
Per approfondimenti si consiglia di consultare la rassegna relativa alla lite temeraria, prendendo visione, in particolare, delle seguenti decisioni.
LITE TEMERARIA: LA SANZIONE PECUNIARIA VA CALCOLATA NEL QUADRUPLO DELLE SPESE DI LITE
CONDANNA DI EURO 125.000,00 PER RESPONSABILITÀ AGGRAVATA EX ART.96 CPC
L’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. avverso un decreto ingiuntivo deve essere diretta a dimostrare che il decreto sia stato l’effetto di dolo o collusione a danno del terzo opponente e giammai che il decreto ingiuntivo sia stato ingiustamente emesso per insussistenza del credito vantato (opposizione disciplinata dall’art. 645 c.p.c.).
La condotta processuale dell’attore che si sostanzia nel non esaminare gli stringenti limiti di ammissibilità previsti dall’art. 404 c.p.c. comporta la condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c. ad un importo individuato nel quadruplo delle spese legali.
Dal foro meneghino un’altra esemplare condanna per lite temeraria ex art.96 cpc – di euro 100.000,00, pari al quadruplo delle spese legali, oltre spese di lite – nei confronti del cliente che adisce l’autorità giudiziaria al solo fine di ottenere la sospensione del decreto ingiuntivo definitivo, ottenuto a pieno titolo dalla Banca.
Tribunale di Milano, dott. Marcello Piscopo, 25-11-2014
USURA: ANCORA UN “NO” ALLA TESI DELLA SOMMATORIA DEGLI INTERESSI MORATORI CON I CORRISPETTIVI
CONDANNATO PER LITE TEMERARIA IL CLIENTE CHE HA SOSTENUTO LA TESI, CONTRARIA AL DATO NORMATIVO, DEL CUMULO DEI DUE TASSI
È costata cara al cliente di una banca un’infondata opposizione a decreto ingiuntivo, proposta sul presupposto dell’erronea tesi della sommatoria tra interessi moratori e corrispettivi.
L’opponente si è infatti visto condannare al pagamento di euro 120.000,00, di cui euro 60.000,00 per spese legali ed euro 60.000,00 per lite temeraria ex art. 96 cpc.
Il Giudice ha rilevato che l’opposizione era stata proposta al mero fine di ritardare l’emersione dell’evidente insolvenza della società, esposta per oltre 5 milioni di Euro, con mere parvenze di argomentazioni giuridiche, in effetti inconsistenti o smentite platealmente dal dato normativo, circostanza che integra la lite temeraria.
Tribunale di Torino, dott. Enrico Astuni, 17-09-2014
Testo del provvedimento
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