Testo massima
In tema di verifica dell’usurarietà di un contratto bancario, criteri di coerenza logica e metodologica, e quindi di equità giuridica, ancor più alla luce delle conseguenze civili e penali derivanti dal superamento del tasso soglia, impongono di accedere al confronto tra il Teg applicato dalla singola banca e il tasso soglia del periodo, utilizzando quella stessa metodologia di calcolo che Banca d’Italia, ufficializzata nelle Istruzioni, non solo impone alle banche di rispettare, ma che soprattutto essa stessa applica per rilevare il tasso medio effettivo globale da cui si ricava il dato di soglia.
L’uso ex post di un criterio di verifica diverso sarebbe infatti iniquo, oltre che scientificamente inattendibile, per la disomogeneità dei dati di riferimento.
In materia di contratti bancari, è irrilevante che il contratto rechi la sottoscrizione del solo cliente. Invero, l’espressione testuale di cui all’art.117 TUB che, prescrivendo che i contratti siano “redatti per iscritto e consegnati al cliente”, mostra di valorizzare la necessità dell’atto scritto come dettata da esigenze di trasparenza e conoscibilità da parte del cliente stesso, e non piuttosto come volta ad assolvere alle funzioni codicistiche di certezza e pubblicità cui è riferita la prescritta forma ad substantiam di cui all’art.1350 c.c..
Il legislatore ha infatti prescritto una “nullità di protezione”, in conformità ai principi della normativa comunitaria, là dove è nell’interesse del cliente che allo stesso sia reso noto il regolamento contrattuale, e all’opposto nessuno svantaggio è arrecato al cliente dal fatto che la banca, che ha predisposto detto regolamento contrattuale, possa non averlo sottoscritto (mancanza che in ogni caso non consente alla banca alcun diritto di impugnazione).
È lecito l’addebito in conto della “commissione per istruttoria”, che sia avvenuto successivamente all’entrata in vigore del nuovo art.117 bis TUB e cioè dal 1 luglio 2012 che l’ha resa legittima, anche laddove la pattuizione sia antecedente a tale data.
Sono questi gli importanti principi di diritto sanciti e per molti versi ribaditi dal Tribunale di Milano, in persona della dott.ssa Laura Cosentini, con sentenza del 19 marzo 2015 n.3586.
IL CASO
La pronuncia è stata resa nell’ambito del più “classico” contenzioso bancario, promosso da una società correntista nei confronti dell’istituto di credito presso il quale l’attrice intratteneva un rapporto di conto corrente, al fine di ottenere la ripetizione delle somme poste a debito ed (asseritamente) non dovute, con particolare riferimento alla illegittima applicazione di interessi debitori ultralegali, commissione di massimo scoperto, interessi anatocistici e/o comunque usurari oggettivamente e soggettivamente.
Dal canto proprio, la Banca convenuta ha dedotto l’esistenza di un contratto validamente sottoscritto, inclusivo delle pattuizioni relative alla capitalizzazione ed alle singole voci di costo e, in merito alla contestazione di usurarietà, l’infondatezza del sistema di calcolo utilizzato da parte attrice, siccome basato su formule differenti da quelle fornite dalla Banca d’Italia.
Al di là degli aspetti contabili che la correntista richiedeva accertarsi dettagliatamente mediante consulenza tecnica d’ufficio, non ammessa dal Tribunale meneghino la pronuncia mette in luce alcuni punti “chiave” del contenzioso banca-cliente, sia dal punto di vista sostanziale che processuale, e precisamente:
– Il valore vincolante delle Istruzioni di Bankitalia nella verifica dell’usura oggettiva;
– La validità del contratto bancario sottoscritto dal solo cliente;
– La liceità della capitalizzazione pattuita sotto la vigenza della delibera Cicr del 9.2.2000 e della c.d. “commissione per istruttoria”.
I singoli passaggi meritano di essere analizzati nel dettaglio.
SUL VALORE VINCOLANTE DELLE ISTRUZIONI DELLA BANCA D’ITALIA IN MATERIA DI USURA
L’aspetto maggiormente degno di nota della pronuncia in esame è la soluzione fornita a quello che può definirsi “punctum dolens” del contenzioso bancario in materia di usura, vale a dire la considerazione del valore vincolante delle istruzioni della Banca d’Italia in tema di applicazione della legge 108/1996.
Trattasi di un problema di “sistema“, che sorge da una considerazione complessiva del meccanismo antiusura predisposto dal legislatore del ’96.
Come noto, con l’introduzione della fattispecie dell’usura “oggettiva“, la sanzione di nullità della clausola determinativa degli interessi, di cui all’art.1815, 2 comma c.c., consegue alla semplice verifica di sforamento del c.d. “tasso soglia“.
I diversi tassi soglia in relazione alle diverse categorie “omogenee” di operazioni” sono determinati trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla scorta dei dati elaborati da Bankitalia in base ai tassi medi rilevati nel trimestre precedente, e trasfusi in decreti di identica periodicità.
In tale sistema, l’Organo di vigilanza svolge un duplice ruolo:
– da un lato, determina il valore dei tassi effettivi globali medi, per ogni operazione di credito, sulla scorta delle segnalazioni ricevute dai diversi istituti bancari sottoposti alla propria vigilanza;
– dall’altro, dispone mediante apposite direttive o “istruzioni” quali tra gli oneri imposti al mutuatario-cliente siano rilevanti ai fini della formazione dei detti tassi effettivi globali medi o, in buona sostanza, quali commissioni, interessi o spese le banche siano obbligate a segnalare. In tale ottica, elabora un’apposita formula di calcolo per stabilire l’incidenza delle singole voci di costo sul valore del tasso effettivo globale medio e, per l’effetto, del tasso soglia.
Alla luce di tale ricostruzione, si pone il problema di sancire se, nell’ambito di un contenzioso bancario, il cliente possa dolersi dell’usurarietà oggettiva del rapporto, includendo nel tasso effettivo globale della singola operazione di finanziamento oneri o spese irrilevanti nella formazione del tasso effettivo globale medio (così come segnalato dalle banche secondo le disposizioni dell’Organo di vigilanza) ovvero se possa utilizzare, al fine del computo del tasso effettivo, formule di calcolo differenti rispetto alle istruzioni di Bankitalia.
Vero è che le disposizioni emesse da quest’ultima non possono essere annoverate tra le fonti primarie, avendo natura amministrativa e/o comunque regolamentare, pur tuttavia l’interpretazione da adottare in giudizio non può fermarsi ad un’analisi meramente formale della gerarchia delle fonti.
In tal senso vengono in rilievo le ben argomentate considerazioni del Tribunale milanese.
Invero, il Giudice nota come “i Decreti Ministeriali annuali, a decorrere dal primo emanato in data 23.9.96, hanno sempre demandato a Banca d’Italia la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, e che i vari D.M. trimestrali, nel rendere pubblici i dati rilevati, hanno sempre disposto, all’art.3 (a partire dal primo D.M. 22.3.97), che le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del tasso soglia, si attengano ai criteri di calcolo indicati nelle Istruzioni emanate da Banca d’Italia; Banca d’Italia, ai sensi degli artt.4 e 5 TUB, è d’altro canto l’organo cui compete la vigilanza nei confronti delle banche e che, nell’esercizio di tale funzione, è deputato a impartire istruzioni alle stesse“.
Peraltro, dette “istruzioni“, da un lato rispondono alla primaria esigenza di raccogliere dagli intermediari dati tra loro coerenti ed omogenei al fine di determinarne il valore medio (da cui individuare il tasso soglia), e dall’altro rispondono all’esigenza di poter raffrontare dati omogenei nel momento in cui si imponga la necessità di accertare se il Teg applicato nel singolo caso sia rispettoso o meno del tasso soglia di usura del periodo.
Sono dunque ragioni di ordine logico e metodologico, e quindi di equità giuridica, ad indurre il Tribunale lombardo ad affermare la necessità di accedere al confronto tra il Teg applicato dalla singola banca e il tasso soglia del periodo, utilizzando quella stessa metodologia di calcolo che Banca d’Italia, ufficializzata nelle Istruzioni, non solo impone alle banche di rispettare, ma che soprattutto essa stessa applica per rilevare il tasso medio effettivo globale.
“In altri termini prosegue il Giudice può affermarsi che, se tale è la formula seguita dal Ministero del Tesoro/Banca d’Italia per rilevare trimestralmente il Tegm applicato dalle banche, tasso medio in relazione al quale è individuato il tasso soglia, tale deve essere la formula che conseguentemente deve essere utilizzata per accertare se di fatto la singola banca abbia rispettato o meno detta soglia nell’addebitare costi di credito nel singolo rapporto di conto corrente (sarebbe iniquo, oltre che scientificamente inattendibile, un confronto di due dati, ove il primo sia calcolato computando le voci di costo secondo una data metodologia, e il secondo sia calcolato, o computando voci di costo diverse o computando le stesse, ma secondo metodologia diversa)”.
La necessità di un raffronto omogeneo, poi, si accompagna a considerazioni di “merito” sulla formula adottata da Bankitalia.
Infatti il Tribunale non trascura di notare come le stesse modalità di calcolo adottate dall’Organo di vigilanza siano improntate al contenimento del TEGM rilevato per ogni categoria di operazioni di finanziamento, che determina un proporzionale abbassamento delle soglie di usura.
In tal senso, sarebbe senza dubbio iniquo, per gli intermediari, vincolati al rispetto di un tasso soglia conteggiato secondo una metodologia volta a contenerne il dato, effettuare una verifica, circa l’effettivo tasso applicato, seguendo una metodologia di calcolo diversa, che, qualora utilizzata in sede di rilevazione del Tegm, avrebbe condotto a un tasso soglia più elevato.
In altri termini, ed in conclusione, il Tribunale ha ritenuto di affermare che non possono trovare accesso, nell’ambito del contenzioso banca-cliente in materia di usura, formule di calcolo diverse rispetto a quelle contemplate dall’Organo di vigilanza.
Detto ancora altrimenti, le istruzioni di Bankitalia sono vincolanti, e per l’intermediario, e per il cliente.
Analogamente si era espresso lo stesso Tribunale di Milano, in persona del dott. Francesco Ferrari, con sentenza del 23.12.2014, già oggetto di approfondimento su questa Rivista, laddove si affermava addirittura che formule di calcolo diverse da quelle adottate dall’Organo di vigilanza vanno ritenute inattendibili e, pertanto, rendono inammissibile in quanto esplorativa una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile che pretenda di applicarle.
Sul punto si rinvia altresì ai precedenti raccolti nella rassegna giurisprudenziale “Istruzioni della Banca d’Italia: valore vincolante nel calcolo dell’usura”.
SULLA VALIDITÀ DEL CONTRATTO SOTTOSCRITTO SOLO DAL CLIENTE
Il Tribunale di Milano ha altresì respinto l’eccezione di nullità del contratto di conto corrente, sollevata sul presupposto della mancata sottoscrizione da parte della banca.
Trattasi di contestazione che ormai “tradizionalmente” si ritrova negli scritti a difesa del cliente, superata tuttavia da consolidata giurisprudenza, della quale su questa rivista si è dato ampiamente conto (su tutti cfr. Trib. Napoli, dott. Caccaviello, sentenza del 30.09.2014).
L’irrilevanza della sottoscrizione della Banca, ai fini della validità del contratto, è infatti in re ipsa derivante dalla natura della nullità di cui al combinato disposto degli artt. 117 e 127 del Testo Unico Bancario.
Assegnando detta normativa al solo cliente la facoltà di far valere la nullità di forma di cui all’art. 117 cit., o comunque le nullità sancite a suo vantaggio, il legislatore assegna a tale sanzione il valore di “nullità di protezione“, in conformità ai principi del diritto comunitario.
La ratio è quella di assicurare al cliente la conoscenza e/o conoscibilità del regolamento contrattuale predisposto dall’istituto di credito e pertanto non sussiste svantaggio, per il primo, dalla mancata sottoscrizione del testo contrattuale, da parte del secondo, così come la Banca non può in alcun modo rimettere in discussione la validità di un regolamento che non abbia sottoscritto.
D’altronde come si rileva da analoghe pronunce la forma scritta richiesta dal legislatore per i contratti bancari non ha carattere di forma solenne, ma è uno strumento atto a riequilibrare i rapporti di forza tra le parti.
Dal lato dell’istituto bancario, invece, l’effettiva instaurazione del rapporto costituisce fatto concludente più che univoco, così come fatto concludente è, ad esempio, la comunicazione degli estratti conto.
SULLA LICEITÀ DELLA CAPITALIZZAZIONE E DELLE COMMISSIONI PER ISTRUTTORIA
A margine, interessanti sono le argomentazioni con le quali il Tribunale milanese si è pronunciato sulla liceità delle condizioni economiche pattuite e poi applicate nel corso del rapporto, siccome conformi alle clausole espressamente sottoscritte dal cliente e per altro verso aderenti al dettato normativo.
Sulle doglianze in tema di anatocismo, in particolare, è risultata assicurata l’identica periodicità trimestrale per interessi sia a debito sia a credito, nel rispetto degli artt.2 e 6 Delibera Cicr 9.2.2000, la cui portata derogatoria al divieto di anatocismo di cui all’art.1283 c.c. trova ragione nella norma primaria di delega di cui all’art.120 comma 2 TUB.
La peculiarità della pronuncia in esame emerge poi dalle considerazioni sulla c.d. “commissione per istruttoria“.
Sul punto è d’uopo rammentare che l’articolo 117 bis del T.U.B., introdotto dall’art 6-bis D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, al comma secondo prevede quanto segue:
“A fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento”.
Orbene, benché tale norma sia entrata in vigore solo a partire dal 1 luglio 2012 e, nel caso di specie, il contratto fosse stato concluso in data anteriore, il Tribunale ha ritenuto lecito l’addebito in conto della “commissione per istruttoria”, risultando dall’esame degli estratti-conto che gli addebiti erano successivi all’introduzione della novella legislativa.
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Rigettata, infine, anche la doglianza relativa all’usura soggettiva, per la genericità delle deduzioni di parte attrice, la società correntista è stata condannata alla rifusione delle spese processuali, posto che tutte le domande da questa formulate sono state disattese, confermando che i principi di diritto applicati nel caso di specie possono ormai ritenersi consolidati nella giurisprudenza di merito.
Testo del provvedimento
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