Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
Premesso che ai sensi dell’art. 1, D.L. n. 394/2002 “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, con l’inciso “a qualunque titolo”, il legislatore ha, evidentemente, inteso riferirsi a tutti gli oneri comunque concepiti che siano pur sempre in rapporto di corrispettività con la dazione di denaro o di altra utilità, ma non anche agli interessi moratori, giacché altrimenti risulterebbe del tutto stravolto il riferimento “alla corrispettività”, contenuto nella norma oggetto di interpretazione.
La previsione di un piano di ammortamento, quale quello alla francese, in cui gli interessi sul capitale residuo sono calcolati secondo il metodo dell’interesse semplice e non composto, non comporta alcuna violazione dell’art. 1283 c.c..
Gli interessi corrispettivi costituiscono propriamente prestazioni pecuniarie dovute da chi utilizza un capitale altrui, mentre, nell’ambito del leasing, i cosiddetti interessi corrispettivi non sono interessi in senso tecnico-giuridico, ma costituiscono il corrispettivo dovuto al soggetto concedente per il godimento di un bene e non per la messa a disposizione di un capitale.
Questi i principi ricavabili dall’ordinanza del Tribunale di Roma, Dott. Luigi D’Alessandro dell’08.06.2017.
IL CASO
Con ricorso ex art 702 bis c.p.c., la società di locazione finanziaria ha esposto l’avvenuta concessione in godimento di un complesso immobiliare in corso di costruzione; l’utilizzatore si era reso inadempiente all’obbligo di pagamento dei canoni periodici sicché essa ricorrente, avvalendosi della causa risolutiva espressa come disciplinata nel dettato contrattuale di riferimento, aveva risolto di diritto il negozio, ma il lessee persisteva nell’inadempimento, né aveva restituito i beni oggetto della locazione finanziaria.
La ricorrente ha chiesto indi che fosse accertata e dichiarata la intervenuta risoluzione di diritto, ex art. 1456 c.c., del contratto e per l’effetto condannata la parte resistente alla riconsegna dell’immobile locato.
Parte resistente ha chiesto il rigetto della domanda attorea, deducendone l’infondatezza. In particolare, chiedeva l’accertamento dell’usurarietà degli interessi applicati nel corso del rapporto, l’illegittimità della previsione degli interessi anatocistici tramite l’inserimento nel contratto di un piano di ammortamento “alla francese” e la nullità delle clausole riguardanti l’indicazione dell’ISC, del TAE e del TAN, con conseguente sostituzione del tasso minimo dei BOT, in luogo degli interessi convenzionali.
Posto immediatamente in decisione il procedimento sommario di cognizione come formulato, il Tribunale di Roma ha quindi integralmente accolto la domanda della parte ricorrente, con la condanna dell’utilizzatore all’immediato rilascio in favore dell’avente diritto e legittima proprietaria del bene immobile oggetto del rapporto, ivi compresa la condanna del lessee al pagamento delle spese e dei compensi di lite; rigettate per il resto le eccezioni di parte resistente.
COMMENTO
Il caso sopra brevemente descritto, è stato risolto dal Tribunale di Roma con il richiamo alle due fondamentali questioni afferenti, la prima, gli effetti di una risoluzione contrattuale come correttamente comminata dall’avente diritto, attraverso lo strumento dell’art. 1456 c.c. e, la seconda, attraverso l’analitico richiamo agli effettivi principi giurisprudenziali utilizzabili in punto di applicazione degli interessi ,all’interno dei contratti di locazione finanziaria (leasing); di contra le contestazioni di parte resistente come formulate, incidenter tantum, in via di eccezione.
Quanto al primo aspetto, il Tribunale ha richiamato giurisprudenza consolidata della Suprema Corte di Cassazione sull’uso della clausola risolutiva espressa, configurabile laddove le parti abbiamo previsto la risoluzione del contratto quale conseguenza dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificatamente determinate, costituendo invece mera clausola di stile, quella redatta con il generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto, nulla aggiungendo tale clausola alle norme generali di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. (Cass. 16.11.1983 n. 6827; Cass. 26.07.2002 n. 11055); ed ancora, la giurisprudenza consolidata sempre della Suprema Corte, giusta la quale la funzione principale della clausola risolutiva espressa è quella di esonerare il contraente non inadempiente, dal provare la gravità dell’inadempimento di controparte, tale da rendere irrilevante ogni indagine in sede giudiziaria atta a stabilire se l’inadempimento sia sufficientemente grave da giustificare l’effetto risolutivo (per tutte Cass. 17.03.200 n. 3102; Cass. 11.07.2003 n. 10935); ed ancora, il principio secondo cui per il verificarsi dell’effetto risolutivo, non sia sufficiente l’inadempimento dell’obbligazione dedotta nella clausola risolutiva, dovendo invece la parte interessata dichiarare di volersi avvalere della clausola stessa; la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta e della volontà indi di avvalersi dell’effetto risolutivo di diritto di cui all’art. 1456 c.c., non dovendo comunque essere necessariamente contenuta all’interno di un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo essa manifestarsi del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato (cfr. Cass. 04.05.2005 n. 9275, oltre che sempre su questa stessa rivista, il commento alla ordinanza del Tribunale di Brescia in data 8.11.2016 emessa dal Magistrato Dott.ssa Fondrieschi); infine, richiamando, la sentenza fondamentale Cass. SS.UU 30.10.2001 n. 13533, quanto all’onere della prova gravante sul creditore nella fattispecie di inadempimento alle obbligazioni dell’altra parte contraente, giusta il quale esso creditore deve provare e soltanto la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto, con il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Acclarata, quindi, dal giudice designato alla trattazione, la sussistenza nella fattispecie portata all’esame di tutti i principi come derivanti dai giudici della legge al caso concreto, il Tribunale si è soffermato sul secondo pacchetto delle eccezioni sollevate dal resistente in giudizio, afferente la materia degli interessi applicati al rapporto; anche in questo caso, con il ricorso alla sintesi, evidenziando i passaggi fondamentali contenuti nella parte motiva:
A) Sull’asserita usurarietà degli interessi moratori applicati, il Tribunale di Roma ha confermato l’orientamento che riconosce agli interessi moratori una funzione tipica risarcitoria, tale da non poterne consentire il rilievo nella valutazione di usurarietà, la quale può invece riferirsi ai soli interessi corrispettivi, stante la necessaria e logica interdipendenza che esiste tra l’erogazione del credito e l’usura; né a diversa conclusione, ha aggiunto il Magistrato, si perverrebbe sulla base della norma interpretativa di cui all’art. 1 del D.L. 394/2002 secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, II comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; orbene, con l’inciso “a qualunque titolo”, chiarendo il giudice che la norma in parola si riferisce evidentemente a tutti gli oneri comunque concepiti che siano pur sempre in rapporto di corrispettività con la dazione di denaro o di altra utilità, mentre deve escludersi in radice che detta locuzione comprenda anche gli interessi moratori, giacché altrimenti del tutto stravolto il riferimento contenuto “alla corrispettività”, nella norma oggetto di interpretazione. Per inciso evidenziando peraltro il giudice che il contratto di leasing portato all’esame, prevedeva comunque l’automatico adeguamento degli interessi di mora ai tassi soglia di cui alla legge 108/96, con la conseguente esclusione, ancora in radice, di eventuali caratteri usurari;
B) Disatteso altresì con la parte motiva della decisione, l’assunto secondo il quale la società di leasing, prevedendo un piano di ammortamento alla francese, avrebbe violato la normativa che statuisce il divieto di produzione di interessi anatocistici; sul punto il Tribunale di Roma ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito (ex multis Trib. Milano n. 3021/16 e Trib. Roma n. 362/16), che ha affermato la sussistenza del fenomeno anatocistico solo ove gli interessi maturati sul debito in un determinato periodo, si aggiungano al capitale, costituendo così la base di calcolo produttiva di interessi in un dato periodo; di contra la previsione di un piano di ammortamento, quale quello alla francese, in cui gli interessi sul capitale residuo sono calcolati secondo il metodo dell’interesse semplice e non composto, da ciò non derivando alcuna violazione dell’art. 1283 c.c.. In buona sostanza, affermando che l’ammortamento alla francese, non dà luogo, ex sé, a fenomeni anatocistici, considerato che la quota di interessi di cui si compone la singola rata, è calcolata esclusivamente sul debito residuo in linea capitale;
C) Ancora il Tribunale di Roma ha affermato l’infondatezza della tesi secondo cui gli interessi moratori, siccome applicati su importi (i canoni), che comprendono quote di interessi corrispettivi, darebbero luogo ad un anatocismo vietato; sul punto osservando che gli interessi corrispettivi costituiscono propriamente prestazioni pecuniarie dovute da chi utilizza un capitale altrui, mentre, nell’ambito del leasing, i cosiddetti interessi corrispettivi non sono interessi in senso tecnico-giuridico, ma costituiscono il corrispettivo dovuto al soggetto concedente per il godimento di un bene e non per la messa a disposizione di un capitale;
D) Richiamata, infine, dal Tribunale di Roma, anche la delibera CICR del 09.02.2000, che all’art. 3 prevede espressamente che nei rimborsi rateali dei finanziamento non regolati in conto corrente, in caso di inadempimento dall’obbligo di pagamento delle rate scadute, sono dovuti se contrattualmente previsti gli interessi moratori sull’importo complessivamente dovuto e, quindi, sulla parte di rata comprendente capitale e interessi corrispettivi. Nel caso di specie, accertando il giudice che le parti avevano espressamente pattuito la applicabilità di interessi moratori, anche sulla quota parte degli interessi corrispettivi delle rate scadute.
Sulla base di quanto esposto, il Tribunale di Roma dichiarava l’intervenuta cessazione del contratto di leasing, con condanna del convento all’immediato rilascio dei beni oggetto del contratto e condanna di quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
LEASING : IL PIANO DI AMMORTAMENTO “ALLA FRANCESE” NON IMPLICA ANATOCISMO
IL CALCOLO DEGLI INTERESSI DI REGOLA È EFFETTUATO SUL CAPITALE RESIDUO
Sentenza | Tribunale di Brescia, Dott.Stefano Franchioni | 14.09.2016 | n.2677
LEASING TRASLATIVO: NELL’AZIONE DI RICONSEGNA DEL BENE SI APPLICA L’ART. 1526 COMMA 1 E 2 C.C.
LA PARTE CONCEDENTE HA DIRITTO ALL’EQUO COMPENSO PER L’USO DELLA COSA, OLTRE AL RISARCIMENTO DEL DANNO
Cassazione civile, sez. terza, Pres. Vivaldi – Rel. Tatangelo | 02.08.2016 | n.16050
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