Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
Qualora il tasso di interessi concordato tra le parti superi, in corso di rapporto, la soglia dell’usura come determinata ai sensi della l. 108/1996, non si verifica nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge o della clausola stipulata successivamente per tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula.
Questi i principi come ricavabili dalla sentenza del Tribunale di Roma, Giudice Dott. Fausto Basile n. 3565 resa in data 19 febbraio 2018.
IL CASO
Con ricorso per ingiunzione di pagamento, la banca aveva ottenuto il decreto con il quale era stato ingiunto alla obbligata principale ed ai garanti, il pagamento delle obbligazioni come risultanti dagli estratti conto in atti, in forza del saldo finale del contratto di conto corrente, oltre che dell’apertura di credito concessa sul medesimo conto. La ricorrente aveva inoltre prodotto copia delle lettere di fideiussione.
Formulavano opposizione al predetto decreto ingiuntivo, i coobbligati garanti, i quali eccepivano la mancanza di un rapporto di conto corrente tra essi opponenti e la banca, per l’effetto invocando la declaratoria di nullità del decreto; richiedendo inoltre l’accertamento della carenza di procura e di legittimazione del servicer della stessa banca opposta alla riscossione del credito.
Nel merito ed in via subordinata, invocavano la ricostruzione dei rapporti di dare e avere tra la banca e la cliente correntista obbligata principale, per mezzo di apposita CTU, determinando il tasso effettivo globale ai sensi del D.L. 70/2011 con l’inclusione di tutti gli addebiti in conto corrente ricollegabili agli interessi passivi; in caso di accertamento del superamento degli interessi oltre il tasso soglia, dichiararando indi la nullità delle relative pattuizioni, con conseguente rideterminazione del saldo in conto corrente.
Sempre nel merito gli opponenti producevano una perizia tecnica di parte, volta a dimostrare che in relazione al contratto di conto corrente, nel primo trimestre del 2012 si sarebbe verificato un superamento del tasso soglia, con conseguente indebita percezione di interessi non dovuti.
La banca si è costituita in giudizio, resistendo alle avverse richieste e deduzioni, in particolare, eccependo che la garanzia prestata dagli opponenti aveva natura autonoma, con la consequenziale impossibilità per gli stessi di formulare eccezioni in merito al rapporto intercorrente con la debitrice principale.
Concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e disposto un rinvio per consentire il deposito della domanda di mediazione, concessi inoltre i termini per il deposito delle memorie di rito, il Giudice riteneva la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione, sulla base della documentazione versata in atti.
Orbene e con la sentenza oggi in commento, il Tribunale di Roma ha rigettato in primis il motivo di opposizione con il quale era stata eccepita la nullità del decreto ingiuntivo, per carenza di procura e di legittimazione attiva in capo al servicer della Banca, che al contrario aveva prodotto cospicua documentazione, idonea a dimostrare sia la legittimazione sostanziale della rappresentata in ordine al rapporto contrattuale oggetto del giudizio, sia la rappresentanza processuale in capo allo stesso servicer.
Parimenti infondato è stato ritenuto il motivo di opposizione, con il quale si chiedeva l’accertamento della nullità del decreto ingiuntivo, per assenza di un qualsiasi rapporto contrattuale intercorrente tra la correntista e la Banca.
Tale contestazione si fondava sull’assunto che una società a responsabilità limitata, fosse soggetto giuridico e diverso da una società per azioni, sennonché, dall’esame del decreto e del ricorso monitorio, risultava di tutta evidenza che la denominazione riportata nel decreto opposto, costituiva un mero errore materiale, laddove in realtà non poteva che intendersi la notoria denominazione della banca opposta.
Nel merito, gli opponenti avevano dedotto che nell’ambito del predetto rapporto di conto corrente, si sarebbe verificato il superamento del tasso soglia antiusura e, per tale ragione, avevano chiesto di disporre CTU contabile, al fine di ricostruire i rapporti di dare e avere tra le parti.
Tuttavia, come risultava anche dalla perizia tecnica di parte, detto sconfinamento non sarebbe mai avvenuto ab origine, all’atto della pattuizione dei tassi di interessi, bensì in corso di rapporto: così configurandosi un’ipotesi di usura sopravvenuta.
Tale contestazione, tuttavia, non è risultata fondata, anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite civili della Cassazione (S.U. del 19 ottobre 2017, n. 24675), a cui il Tribunale di Roma ha ritenuto di dover aderire, con la quale è stata affermata l’inesistenza della c.d. “usura sopravvenuta”. Le SS.UU., infatti sancendo che qualora il tasso di interessi concordato tra le parti superi, in corso di rapporto, la soglia dell’usura come determinata ai sensi della l. 108/1996, non si verifica nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge o della clausola stipulata successivamente per tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula.
Ancora a tale proposito motivando il giudice come la perizia di parte costituisca una mera allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, posto che il contenuto tecnico del documento non vale ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo, e non può, quindi, essere oggetto di consulenza tecnica d’ufficio (così Cass. 6 agosto 2015 n. 16552; conf. Cass. S.U. 3 giugno 2013 n. 13902); né può essere posto a base della decisione, fondandosi su criteri non attendibili, in quanto elaborati in assenza della documentazione contabile necessaria, ovvero gli estratti conto trimestrali.
L’opposizione è stata in conclusione rigettata, con la conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto e la condanna degli opponenti al pagamento delle spese e dei compensi della lite
IL COMMENTO
Con la sentenza oggi in commento, il Tribunale di Roma ha ricordato e fatto proprio il dictum della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24675/17, che una volta per tutte ha risolto il dibattito sviluppatosi all’indomani della introduzione della Legge n. 108/1996, stabilendo che l’usura sopravvenuta non è rilevante ai fini della nullità della clausola, con la conseguenza che il mutuatario è tenuto al pagamento dei tassi di interesse.
Nei fatti, a rievocare con l’occasione il caso concreto che poi giunse avanti i giudici della legge, vi era una società di capitali che aveva convenuto in giudizio un istituto di credito, richiedendo la dichiarazione di nullità della previsione di un tasso di interesse fisso semestrale, contenuta all’interno di un contratto di mutuo concluso con la Banca nell’anno 1990, giacché detto tasso si assumeva essere superiore al tasso soglia, determinato secondo le previsioni della Legge 7.03.1996 n. 108 in materia di usura, entrata in vigore in costanza di rapporto.
Chiese quindi essa società la condanna della Banca al rimborso degli interessi già riscossi, assumendo la natura gratuita del contratto di mutuo, o comunque il rimborso di quella parte di interessi eccedente il tasso legale o quello ritenuto giusto, oltre ed infine al risarcimento dei danni, anche morali, conseguenti, dicitur, al reato di usura commesso dalla Banca, che si era rifiutata di rinegoziare il tasso a seguito della entrata in vigore della Legge n. 108 già citata.
La Banca convenuta in giudizio resistette ed il Tribunale di Milano accolse la domanda, condannando la Banca al rimborso degli interessi riscossi per la parte eccedente il tasso soglia.
La Sentenza di primo grado fu integralmente riformata dalla Corte Distrettuale, a seguito della impugnativa della Banca soccombente.
In particolare la Corte di Appello qualificò il rapporto portato all’esame come mutuo fondiario, sicché ritenne applicabile il D.P.R. 21.01.1976 n. 7 sulla disciplina del credito fondiario; dalla qual cosa derivava, a proprio giudizio, la legittimità del contratto di mutuo, con la relativa determinazione del tasso di interesse e l’assorbimento di ogni altra questione.
La Società mutuataria propose indi ricorso avanti i Giudici della Legge, mentre la Banca si difese con controricorso.
Il ricorso fu quindi assegnato alle Sezioni Unite a seguito della ordinanza interlocutoria in data 31.01.2017 n. 2484 della Prima Sezione con cui, premessa la applicabilità della Legge n. 108/1996 anche ai mutui fondiari, è stato rilevato un contrasto di giurisprudenza sulla questione della incidenza del sistema normativo antiusura, come introdotto dalla richiamata legge, sui contratti stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, anche alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 1 del D.L. 29.12.2000 n. 394, convertito dalla Legge 28.02.2001 n. 24.
Con il primo motivo di ricorso la Società mutuataria contestò la qualificazione del mutuo oggetto di causa come fondiario, sulla base del solo richiamo, nel contratto, al D.P.R. n. 7 del 1976, a prescindere dall’accertamento dei necessari requisiti oggettivi.
Con il secondo motivo contestando che comunque la qualificazione del mutuo come fondiario, comportava la inapplicabilità delle disposizioni della Legge n. 108/1996.
Sulla scorta di tali disposizioni, si esponeva che il tasso di interesse che al momento della pattuizione non eccedeva la soglia dell’usura determinata secondo il meccanismo previsto dalla stessa Legge, ma che superava poi tale soglia nel corso del rapporto, fosse comunque illegittimo e tale da comportare la nullità della relativa clausola contrattuale.
La qual cosa facendo sorgere la necessità di individuare un tasso sostitutivo, ai sensi degli artt. 1419 e 1339 c.c., non essendo invocabile la previsione di gratuità del mutuo di cui all’art. 1815 comma II, come modificato dalla stessa Legge, che è esclusa dalla interpretazione autentica di tale disposizione, imposta dall’art. 1 comma 1 del D.L. N. 394/2000.
Il tasso sostitutivo, ad avviso e quindi della società ricorrente, andava individuato quantomeno in quello meno favorevole al mutuatario, ossia il tasso soglia, come ritenuto dal Giudice di primo grado.
Orbene la Suprema Corte ha statuito che i motivi di ricorso non potevano trovare accoglimento, seppure provvedendo alla correzione della motivazione della Sentenza emessa dalla Corte Distrettuale, nelle forme di cui all’art. 384 ultimo comma c.p.c..
Ha ritenuto infatti privo di fondamento, essa Suprema Corte, l’assunto dal quale si era mossa la Corte di Appello, che il carattere fondiario del mutuo dispensi dalla osservanza delle disposizioni della richiamata Legge n. 108 sulla usura; a tale proposito osservando che nessuna disposizione o principio normativo giustifichi tale assunto e che non vi sia del resto alcuna ragione per sottrarre l’importante settore del credito fondiario, al divieto di usura ed ai meccanismi affrontati dalla legge, per renderlo effettivo.
Di conseguenza, il primo motivo di ricorso della società mutuataria, afferente la qualificazione giuridica del mutuo come fondiario, fu con la sentenza oggi richiamata dal Tribunale di Roma, assorbito.
Il fondamento epperò della prima parte del secondo motivo di ricorso, non fu però ritenuta sufficiente dalla Suprema Corte, a far cadere la decisione impugnata, giacché infondata la seconda parte dallo stesso motivo, avente ad oggetto proprio la questione per la quale la I^ Sezione della Suprema Corte, aveva ritenuto necessario l’intervento delle Sezione Unite.
Detta questione riguardava infatti la applicabilità o meno delle norme della Legge n. 108/1996, ai contratti di mutuo stipulati prima della entrata in vigore di essa ultima Legge consistendo, per l’esattezza, nel chiarire quale fosse la sorte della pattuizione di un tasso di interesse che, proprio a seguito della operatività del meccanismo previsto dalla L. 108/96 per la determinazione della soglia oltre la quale un tasso è da qualificare usurario, si riveli superiore a detta soglia.
Peraltro, ha aggiunto la Suprema Corte, la questione della configurabilità di una usura sopravvenuta, si poneva non solo con riferimento ai contratti stipulati prima della entrata in vigore della L. 108/96, come nel caso portato all’esame dei Giudici della Legge, ma anche con riferimento a contratti successivi all’entrata in vigore della stessa Legge, recanti tassi inferiori alla soglia dell’usura, superata poi nel corso del rapporto, per effetto della caduta dei tassi medi del mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari: un meccanismo, giova brevemente ricordarlo, che si basa sulla rilevazione trimestrale dei tassi medi praticati per le varie categorie di operazioni creditizie, ai sensi dell’art. 2 della L. 108 più volte richiamata, sui quali viene applicata una determinata maggiorazione.
La questione sorse immediatamente all’indomani della entrata in vigore della L. 108, laddove la giurisprudenza di legittimità iniziò ad orientarsi nel senso della applicabilità della Legge ai rapporti pendenti alla data della sua entrata in vigore, con conseguenze sul tasso di interesse contrattuale, sia pure riferite alla sola parte del rapporto successiva a tale data (cfr. Cass. Sez. III^ 02.02.2000 n. 1126; Cass. Sez. I^ 22.10.2000 n. 5286 e Cass. Sez. I^ 17.11.2000 n. 14899).
Ciò che indusse il legislatore ad intervenire con la già richiamata norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 1 del D.L. N. 394/2000 che così recita: “ai fini della applicazione dell’art. 644 del cod. pen. e dell’art. 1815 comma 2 del cod. civ., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla Legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
Si determinò pertanto nella giurisprudenza delle Sezioni semplici della Suprema Corte, nella gran parte dei casi riferita a contratti stipulati prima della entrata in vigore della L. 108/96, il contrasto tra due orientamenti, come richiamato nella ordinanza di rimessione del ricorso formulato dalla società mutuataria, alle Sezioni Unite.
A) Un primo orientamento (cfr. fra tutte Cass. Sez. III^ 26.06.2001 n. 8742 – Cass. Sez. I^ 19.02.2007 n. 6514; Cass. Sez. III^ 17.12.2009 n. 26499; Cass. Sez. I^ 19.01.2016 n. 801), dava alla questione della configurabilità dell’usura sopravvenuta, una risposta negativa; ciò in quanto la norma di interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento della pattuizione dello stesso e non anche al momento del pagamento degli interessi, sicchè doveva escludersi che il meccanismo dei tassi soglia previsto dalla L. 108 fosse applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente la sua entrata in vigore, anche se riferite a rapporti ancora in corso a tale data.
B) All’interno di altre decisioni, al contrario, era stata affermata l’incidenza della nuova Legge sui contratti in corso alla data della sua entrata in vigore, omettendo tuttavia di prendere in considerazione la norma di interpretazione autentica di cui al D.L. 394/2000.
Alcune pronunce (cfr. Cass. Sez. III^ 22.08.2007 n. 17854) precisando che la clausola contrattuale recante un tasso che poi superi nel corso del rapporto il tasso soglia, non diviene nulla, in conseguenza di tale superamento, bensì inefficace ex nunc e che tale inefficacia non possa essere rilevata d’ufficio; altra giurisprudenza (Cass. SEz. I^ 11.01.2013 n. 602 e n. 603 affermando invece che nei casi di superamento della soglia del tasso usurario per effetto dell’entrata in vigore della Legge n. 108 citata, operi la sostituzione automatica, ai sensi degli artt. 1319 e 1419 II co. c.c., del tasso soglia del tempo, al tasso convenzionale.
Al contrario, Cass. Sez. I^ 12.04.2017 n. 9405 nell’affermare la applicabilità del tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale che fosse divenuto superiore ad esso, ha fatto espresso riferimento alla richiamata norma di interpretazione autentica, escludendone però la rilevanza, in quanto essa non consentirebbe di eliminare la illiceità della pretesa di un tasso di interesse oramai eccedente il tasso dell’usura, limitandosi e solo ad escludere l’applicazione delle sanzioni penali e civili di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 II° comma c.c., ferme restando le altre sanzioni civili.
In buona sostanza questa ultima tesi, stabilendo la illiceità della pretesa di pagamento di interessi il cui carattere usurario sia divenuto tale nel corso del rapporto, solo sotto il profilo squisitamente civile.
Quanto alle conseguenze di tale illiceità, potendo essere diverse quali la nullità ed inefficacia ex nunc, seppure comprendendo dette conseguenze ed in ogni caso la sostituzione automatica, ai sensi dell’art. 1339 c.c., del tasso contrattuale, o con il tasso soglia, o con il tasso legale.
C) Ad avviso e quindi delle Sezioni Unite della Suprema Corte, con la Sentenza, giova ancora ribadirlo, richiamata oggi dal Tribunale di Roma, deve darsi continuità al primo dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, tali da negare in radice la configurabilità della usura sopravvenuta, giacché già vincolato il giudice alla interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815 II° comma c.c., come modificati dalla L.108/96, imposta dall’art. 1 comma 1 del D.L. n. 394/2000.
Priva di fondamento, in buona sostanza e ad avviso delle Sezioni Unite, è la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi ad un tasso che, pur non essendo superiore alla data della pattuizione alla soglia dell’usura definita con il procedimento previso dalla L.108, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi.
La ragione della illiceità risiedendo nella violazione di un divieto imperativo di legge, del divieto dell’usura ed in particolare il divieto di pretendere un tasso di interesse superiore alla soglia dell’usura, come fissata in base alla Legge.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno indi affermato che per quanto riguarda l’usura, deve essere considerato rilevante solo ed esclusivamente il momento della pattuizione, in quanto soltanto in questo modo valorizza il profilo di una volontà e dunque della responsabilità dell’agente.
Da ultimo e quindi affermando la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia della usura come determinata in base alle disposizioni della L. 108/1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta Legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula; massimando ancora la Suprema Corte a Sezioni Unite, che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nella esecuzione del contratto.
La buona fede, ha affermato la Suprema Corte, è criterio di integrazione del contenuto contrattuale rilevante ai fini della esecuzione del rapporto, ex art. 1375 c.c., vale a dire della realizzazione dei diritti da esso scaturenti.
Stando così le cose, osservandosi che la violazione del canone di buona fede non è certo riscontrabile nell’esercizio ex sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso.
Può allora affermarsi che in presenza di particolarità o circostanze, anche nella pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione, potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c., ma escludendosi comunque che sia da qualificarsi scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto.
Bocciata ed in buona sostanza dalla Suprema Corte con la Sentenza 19.10.2017 n. 24675 a Sezioni Unite, la tesi adottata da una parte della dottrina, con riguardo alla applicazione del criterio della buona fede ex art. 1375 c.c., a prescindere.
Solo i tassi usurari al momento della stipula del contratto, sono condannati senza appello; di contra, negato definitivamente l’ingresso alla c.d. usura sopravvenuta, il contratto di mutuo è valido e si pagano gli interessi.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
USURA SOPRAVVENUTA: RILEVA UNICAMENTE IL MOMENTO DELLA PATTUIZIONE
Validi i tassi divenuti successivamente usurai
Sentenza | Corte di Cassazione civile, Sezioni Unite, Pres. Rordorf – Rel. De Chiara | 19.10.2017 | n.24675
USURA SOPRAVVENUTA: INSUSSISTENTE PER I RAPPORTI ANTE L.108/96 O SORTI SUCCESSIVAMENTE CON UN TASSO NON ECCEDENTE LA SOGLIA
La sentenza della Cassazione sez.unite 19.10.2017 n. 24675 ha escluso ipotesi usuraria
Tribunale di Trani, Dott. Giuseppe Gustavo Infantini| 27.10.2017 | n.2311
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