L’utilizzo di tecniche dilatorie nei confronti dell’avvocato della controparte – benché processualmente lecite – in un quadro di comportamenti poco trasparenti finalizzati ad orientare in un determinato modo la soluzione della controversia è illegittimo per cui è legittima la sanzione della censura irrogata all’avvocato ritenuto colpevole di tali condotte. Nell’individuazione del comportamento illecito, il Consiglio nazionale forense “non è vincolato alla definizione dell’illecito quale scaturisce dal testo delle disposizioni del codice deontologico forense, essendo libero di individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali richiamanti il dovere di astensione da contegni lesivi del decoro e della dignità professionale, quanto in diverse norme deontologiche, o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme”. Pertanto, ciò che è processualmente lecito, può, essere deontologicamente scorretto.
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