In caso di vendita all’asta di bene oggetto di pegno non si applica la normativa prevista per la vendita forzata e, in particolare, il disposto di cui all’art. 2922 c.c., che nega alla parte acquirente di far valere i vizi della cosa venduta, solo in quanto le cose ricevute in pegno non sono negoziabili liberamente dal creditore garantito, comunque tenuto al rispetto delle leggi speciali inerenti alle forme particolari di costituzione di pegno e agli istituti autorizzati a fare prestiti sopra pegni, ex art. 2785 c.c.; deve considerarsi lecita, e meritevole di tutela, ex art. 1322 c.c., la previsione regolamentare e convenzionale di escludere, anche in via implicita, il diritto del partecipante all’asta di far valere i vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta ex artt. 1490 e 1497 c.c., ricavabile in via implicita anche tramite il regolamento che la disciplina, fatta salva l’eccezione di vendita di aliud pro alio.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. III, Pres. Travaglino – Rel. Fiecconi, con l’ordinanza n. 8881 del 13 maggio 2020.
Una società impegnata nel settore del commercio di oro e preziosi che conveniva in giudizio Banca, per ottenere la restituzione di quanto dovutole in ragione di vizi riscontrati nell’acquisto di alcuni preziosi durante un’asta organizzata dalla convenuta.
Il Giudice di prime cure rigettava la domanda della società attrice e la condannava al pagamento delle spese di giudizio, ritenendo le vendite poste in essere delle “vendite forzate” cui si applica la disciplina prevista negli artt. 2919 c.c. e segg., e, in particolare, quella di cui all’art. 2922 c.c., che esclude per l’acquirente la possibilità di far valere la garanzia per i vizi della cosa ex art. 1490 c.c., ed esperire l’azione di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. -.
Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello la società sostenendone la nullità per difetto assoluto di motivazione e/o omesso esame dei punti decisivi della controversia, atteso che il giudice di prime cure aveva rigettato la domanda attrice muovendo dall’erronea qualificazione dell’asta quale “vendita forzata”. Con un secondo motivo di appello, poi, censurava la sentenza per aver qualificato i vizi dei beni acquistati rilevanti ex art. 1490 c.c., e non come vendita “aliud pro alio”.
La Corte d’Appello dichiarava infondato sia il primo motivo, ritenendo di condividere le ragioni del giudice di prime cure in punto di applicabilità al caso di specie dell’art. 2922 c.c., che il secondo motivo, rilevando che non si vertesse in un’ipotesi di aliud pro alio. Dunque, rigettava l’appello e condannava la società alla refusione delle spese di giudizio.
La società ha proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza adducendo, come unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2919 e 2922 c.c.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato l’asta cui la società ricorrente aveva partecipato come “vendita forzata”, con la conseguenza di ritenere applicabili le disposizioni de quibus e non la speciale disciplina prevista dagli artt. 2794 c.c. e segg., in materia di vendita della cosa ricevuta in pegno.
La banca ha resistito con controricorso.
Gli ermellini, investiti del thema decidendum, hanno rappresentato che, pur dovendosi rigettare il motivo di ricorso, è necessario correggere in diritto la motivazione della sentenza impugnata. Ciò in quanto la disciplina cui far riferimento nella vendita di beni oggetto di pegno, disposta dal creditore in forma di asta, non può essere individuata in quella relativa alla vendita forzata di cui agli artt. 2919 c.c. e segg., ove all’art. 2922 c.c., è espressamente prevista l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa forzatamente venduta. Tanto premesso, non può accogliersi il motivo di doglianza, in quanto costituisce forma di “autonomia negoziale“, meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., il regolamento che disciplina l’asta in questione, con il quale viene esclusa – anche solo per via implicita – la garanzia per vizi della cosa, laddove essa sia limitata al vizio redibitorio e alla mancanza di qualità della cosa (rispettivamente, ex artt. 1490 e 1497 c.c.), e non anche all’ipotesi di vendita aliud pro alio.
La Corte ha, poi, rilevato che nella normativa dedicata alla vendita del bene sottoposto a pegno – sia quella codicistica di cui agli artt. 2796 e 2797 c.c., che quella settoriale di cui al R.D. n. 1279 del 1939, relativa all’ordinamento di credito su pegno – non si rinviene alcun richiamo alla vendita forzata, essendo espressamente prevista, di contro, una vendita all’incanto mediante speciale procedura non assistita dalle medesime garanzie. Ed invero, l’art. 2796 c.c., statuisce che “il creditore per il conseguimento di quanto gli è dovuto può far vendere la cosa ricevuta in pegno secondo le forme stabilite dall’articolo seguente“, ossia dall’art. 2797 c.c., oppure, può chiedere al giudice l’assegnazione del bene fino alla concorrenza del debito ex art. 2798 c.c..
Dunque, la disciplina applicabile a questa speciale forma di vendita è, anzitutto, quella desumibile dall’art. 2797 c.c., che, nella specie, offre al creditore tre forme per soddisfare le proprie ragioni di credito garantite da pegno, vale a dire: la vendita al pubblico incanto; la vendita a prezzo corrente; o, anche “forme diverse” convenute dalle parti. Proprio la previsione di una terza via, ossia di una terza possibile forma, per così dire “atipica” – rinvenibile nell’ultimo comma della disposizione in parola, secondo cui “Per la vendita della cosa data in pegno le parti possono convenire forme diverse” – rende evidente che il legislatore non ha inteso costringere la vendita de qua nelle maglie della disciplina dell’esecuzione forzata quanto, piuttosto, ha previsto una speciale procedura di “esecuzione privata” che, quale forma di autotutela esecutiva a carattere negoziale non è assimilabile – soprattutto in assenza di un espresso rinvio – all’esecuzione forzata di cui agli artt. 2910 c.c. e segg. e, dunque, non è soggetta alla specifica disciplina della vendita forzata ex artt. 2919 c.c. e segg..
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
PEGNO ROTATIVO: OPPONIBILE AI TERZI DAL MOMENTO DELLA REGISTRAZIONE DEL VINCOLO
LA CLAUSOLA DI ROTATIVITÀ NON HA CARATTERE NOVATIVO ED È IDONEO A SALVAGUARDARE LA CONTINUITÀ DEL RAPPORTO
Sentenza | Tribunale di Brescia, Giudice Vincenza Agnese | 01.04.2019 | n.920
LA BANCA PUÒ TRATTENERE I TITOLI A GARANZIA DI ALTRA POSIZIONE DEI FIDEIUSSORI A COMPENSAZIONE DEL MAGGIOR CREDITO VANTATO
E’ STATA RICONOSCIUTA TALE POSSIBILITÀ ALL’ISTITUTO DI CREDITO IN VIRTÙ DELL’ESISTENZA DI PIÙ RAPPORTI INTRATTENUTI CON I DEBITORI
Sentenza | Corte d’Appello di Napoli, Pres. Fusillo – Rel. D’Onofrio | 26.02.2019 | n.1618
PEGNO IRREGOLARE: NON È REVOCABILE EX ART. 67 L.F.
NON COSTITUISCE UN PAGAMENTO DI DEBITI LIQUIDI ED ESIGIBILI
Sentenza | Tribunale di Bari, Giudice Antonio Ruffino | 22.05.2018 | n.2209
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