In tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, II sez. civ., Pres. Manna – Rel. Tedesco, con l’ordinanza n. 32694 del 12 dicembre 2019.
IL CASO
Un promissario conveniva in giudizio il promittente, esponendo di aver stipulato un contratto preliminare per la vendita di un capannone, con versamento di caparra confirmatoria. In seguito aveva appreso che il bene oggetto della promessa di vendita era pervenuto al promittente venditore da donazione dei genitori, di talché egli era esposto al rischio di riduzione da parte dei legittimari dei donanti. L’attore precisava che, se avesse saputo la provenienza del bene, non avrebbe stipulato il contratto preliminare, chiedendo quindi l’annullamento dello stesso.
In primo grado, il Tribunale aveva rigettato la sua domanda, ritenendo che la provenienza da donazione non integrasse per sé un pericolo di rivendica ai sensi dell’art. 1481 c.c.. Tale decisione era stata confermata anche in appello.
LA DECISIONE
La Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 1481 c.c., prima ancora che l’evizione si consumi, accorda al compratore un rimedio consistente nella facoltà della sospensione del pagamento del prezzo quando egli abbia ragione di “temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi”. E la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 402/1985; n. 3072/1982) ha ritenuto che detta norma sia applicabile anche al contratto preliminare di compravendita.
La Suprema Corte ha spiegato che, in tema di preliminare di vendita, la circostanza che il bene oggetto di trattative provenga da una donazione non integra, di per sé, un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario acquirente ad avvalersi del rimedio di cui all’articolo 1481 c.c., ossia di sospensione del prezzo per pericolo di rivendica.
Tale provenienza è da ritenere circostanza influente sulla sicurezza, sulla stabilità e sulle potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare, non potendo essere taciuta dal promittente venditore, “pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”.
Il promissario acquirente, ossia, potrebbe rifiutare la stipula del definitivo, declinando eventualmente l’adempimento delle sue obbligazioni ai sensi dell’articolo 1460 c.c. (eccezione di inadempimento).
Gli Ermellini hanno quindi argomentato che, se la provenienza da donazione rientra nel novero delle circostanze che il mediatore deve riferire alle parti ai sensi dell’art. 1759 c.c., a maggior ragione essa non potrà essere taciuta dal promittente venditore: la mancanza di un pericolo concreto ed effettivo di rivendica da parte del legittimario non è argomento sufficiente per negare al promissario acquirente, ignaro della provenienza, la facoltà di avvalersi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c. al fine di rifiutare la stipula del definitivo.
Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata, nei limiti della motivazione, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello per un nuovo esame di merito.
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