Nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l’intera massa, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota all’erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicché il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune, e che solo in tal caso si presume che l’alienazione concerna la quota che lo riguarda, intesa come porzione ideale dell'”universum ius defuncti”, sicché il coerede può esercitare il diritto di prelazione ex art. 732 c.c.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. D’Ascola – Rel. Criscuolo, con la sentenza n. 25462 del 30 agosto 2023, con la quale è stata cassata con rinvio
La Suprema Corte ha ribadito la distinzione operante in materia, affermando che “in tema di idoneità dell’atto, avente ad oggetto la cessione di quote su singoli immobili, a determinare una cessione della quota ereditaria ai fini dell’applicazione dell’art. 732 c.c., va ribadito che la cessione a terzi estranei di diritti su singoli beni immobili ereditari non comporta lo scioglimento – neppure parziale – della comunione, in quanto i diritti continuano a fare parte della stessa comunione, restando l’acquisto del terzo subordinato all’avveramento della condizione che essi siano in sede di divisione assegnati all’erede che li abbia ceduti”.
Pertanto, “se un coerede può alienare a terzi in tutto o in parte la propria quota, tanto produce effetti reali se e in quanto l’acquirente venga immesso nella comunione ereditaria, mentre in caso diverso la vendita avrà soltanto effetti obbligatori, salvo che la vendita non abbia avuto a presupposto un atto di scioglimento della comunione ereditaria, anche implicito, in ordine a tali beni (Cass. n. 3385/2007)”.
Ne consegue che “solo nel caso di vendita da parte di uno dei coeredi di bene ereditario che costituisce l’intera massa, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota all’erede alienante, dal momento che costui è proprietario esclusivo della frazione ideale di cui può liberamente disporre, sicchè il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune, e che solo in tal caso si presume che l’alienazione concerna la quota che lo riguarda, intesa come porzione ideale dell'”universum ius defuncti”, sicchè il coerede può esercitare il diritto di prelazione ex art. 732 c.c. (Cass. n. 8692/2016”).
In applicazione dei suddetti principi, la Suprema Corte ha affermato che la sentenza impugnata era erronea “allorchè ha ritenuto che fosse inammissibile la deduzione del pregiudizio correlato appunto alla circostanza che la divisione avesse attribuito ai condividenti anche beni (o meglio quote di beni) non cadute in successione ed asseritamente acquistate dalla ricorrente”.
La Suprema Corte, dunque, ha accolto l’ottavo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettato i primi sette motivi ed assorbito il nono, cassato la sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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