Il legislatore pone dei limiti soggettivi alla presentazione delle offerte in sede di vendita forzata.
La disciplina codicistica stabilisce, in primo luogo, che chiunque può presentare un’offerta d’acquisto, ad eccezione del debitore. Tale divieto è espressamente posto dagli articoli 571 e 579 del codice di procedura civile.
Voci discordanti riconducono tale divieto alternativamente: alla possibile turbativa della libertà della vendita che potrebbe derivare dalla partecipazione del debitore, la cui presenza potrebbe dissuadere gli offerenti dall’effettuazione di “rilanci”; ovvero ad una questione meramente “morale”, dacché l’ordinamento considera biasimevole la partecipazione dell’esecutato all’acquisto di un proprio bene. Si aggiunga la considerazione che il sistema dell’espropriazione forzata potrebbe subire un “corto-circuito” se dovesse ammettere – almeno sotto il profilo astratto – che il debitore disponga di liquidità sufficiente per l’acquisto del (proprio) immobile e non per l’adempimento del debito.
La giurisprudenza ha esteso il divieto anche agli eredi puri e semplici del debitore, oltre a vietare a quest’ultimo anche di offrire “per interposta persona”, nonché di stipulare patti di retrocessione dell’immobile, tali per cui l’offerente per suo conto si obbliga a ritrasferire il bene dopo l’aggiudicazione. Si tratterebbe di accordi nulli, poiché stipulati in frode alla legge.
L’approccio della giurisprudenza è comunque meno rigido quando le parti manifestino un mero “impegno” alla ritrasmissione dell’immobile al debitore, nel caso in cui questi veda migliorare le proprie condizioni economiche.
Altri divieti si rinvengono nell’articolo 1471 del codice civile, per il quale non possono essere compratori, nemmeno all’asta pubblica, né direttamente, né per interposta persona: “i pubblici ufficiali rispetto ai beni che sono venduti con il loro ministero” ed, a pena di annullabilità dell’atto, “coloro che, per legge o per atto della pubblica autorità, amministrano beni altrui rispetto ai beni medesimi”.
Il divieto sicuramente si applica al giudice dell’esecuzione, al cancelliere, all’ufficiale giudiziario che aveva eseguito il pignoramento, al custode giudiziario, all’amministratore giudiziario ed al professionista delegato per le operazioni di vendita.
Ulteriori divieti di acquistare beni pignorati sono posti a carico: del concessionario alla riscossione coattiva, del genitore esercente la potestà, del tutore e del protutore sui beni del minore (artt. 323 e 378 del codice civile).
Esaurito il tema dei “divieti”, occorre accennare ad alcune ipotesi particolari di soggetti ammessi alla presentazione di offerte.
Possono partecipare alla vendita, sia lo stesso creditore, sia il terzo espropriato ai sensi dell’art. 602 del codice di procedura civile. Quest’ultimo, in particolare, subisce l’espropriazione, non per essersi obbligato personalmente verso il creditore ma, ad esempio, perché ha concesso un proprio bene in garanzia per un debito altrui, oppure perché si è reso acquirente di un bene gravato da ipoteca. L’ordinamento, in tal caso, non ha alcuna ragione per escluderne la partecipazione alla vendita.
Un caso limite è rappresentato dal coniuge del debitore esecutato in regime di comunione legale dei beni il quale è legittimato a presentare offerte, salvo che sia provato l’accordo interpositorio con il debitore stesso, poiché la norma che esclude la legittimazione del debitore esecutato è eccezionale, non suscettibile di applicazione per analogia (cfr. Cass. civ., 2 febbraio 1982 n. 605).
FOCUS
Le violazioni dei divieti di partecipazione e presentazione delle offerte vengono sanzionate diversamente, a seconda che il divieto sia posto a pena di nullità o di annullabilità. Nel primo caso, la violazione può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice; nel secondo caso va fatta valere da qualsivoglia interessato attraverso l’opposizione agli atti esecutivi. L’eventuale nullità non colpisce solo la “partecipazione”, ma travolge l’eventuale aggiudicazione dell’immobile a soggetto che non poteva partecipare alla vendita.
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