Con la riforma delle procedure esecutive immobiliari del 2015 (Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015, convertito in legge n. 132 del 6 agosto 2015) la delega delle operazioni di vendita ad un professionista iscritto negli appositi elenchi è divenuta la “regola”, alla quale il giudice dell’esecuzione può derogare solo quando “ravvisi l’esigenza di procedere direttamente […] a tutela degli interessi delle parti”. Il legislatore aveva già disciplinato i rapporti tra il giudice dell’esecuzione ed il professionista delegato, anche ai fini del “controllo” degli atti di quest’ultimo da parte dell’Ufficio, introducendo l’art. 591 ter del codice di procedura civile.
A mente di tale disposizione, quando, nel corso delle operazioni di vendita, insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del professionista delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Il controllo delle attività delegate, quindi, può essere esercitato dal giudice dell’esecuzione, tanto su richiesta dello stesso professionista, quanto su istanza delle eventuali parti interessate, che possono ricorrere allo speciale procedimento del “reclamo” avverso gli atti del delegato.
Il reclamo fa sì che il giudice dell’esecuzione prenda posizione sugli atti compiuti dal professionista, di fatto “riappropriandosi” – sotto forma di esercizio di un potere di “controllo” – delle attività proprie del suo ufficio. Prima della richiamata novella del 2015 vi era incertezza interpretativa in merito agli ulteriori rimedi esperibili dalle parti nei confronti del provvedimento del giudice dell’esecuzione adottato in sede di reclamo; incertezza superata dall’orientamento dominante espressosi a favore dell’esperibilità dell’ordinaria opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 del codice di procedura civile. Tale sistema, tuttavia, sebbene coerente sotto il profilo applicativo – in quanto l’ordinanza del giudice dell’esecuzione pronunciata in sede di reclamo è certamente un “atto esecutivo” proprio dell’ufficio che lo adotta – finiva per sottoporre nuovamente alla cognizione (seppur sommaria) dello stesso giudice dell’esecuzione le medesime doglianze già esposte in sede di reclamo.
Il legislatore del 2015 ha quindi mutato impostazione, prevedendo che contro il provvedimento del giudice è ammesso il reclamo ad un diverso organo (il collegio), con una disciplina che richiama – solo sotto il profilo strettamente processuale – il rito applicabile per i procedimenti cautelari. Tale soluzione è stata ritenuta idonea a fornire, infatti, una maggiore garanzia di imparzialità ed una tempistica di risoluzione più celere.
FOCUS
L’introduzione del reclamo al collegio avverso gli atti di “controllo” del giudice dell’esecuzione sulle attività del delegato ha innovato il sistema con una soluzione non priva di ragionevolezza. Tuttavia quest’ultima pone l’ulteriore problema di individuare eventuali successivi rimedi a disposizione della parte che – in tale procedimento di reclamo al collegio – risulti soccombente.
La normativa non richiama in toto il procedimento cautelare e pertanto è da escludersi la possibilità di introdurre un giudizio di merito a cognizione “piena”, a seguito del provvedimento di rigetto. Tuttavia, per sua natura, la decisione del collegio non è idonea a creare effetti “stabili” propri del giudicato. Ne risulta certamente vincolato il giudice dell’esecuzione; sicché l’orientamento maggioritario propende per la proponibilità di un’ulteriore opposizione agli atti esecutivi, avverso il successivo atto della procedura che “recepisca” gli effetti del provvedimento di accoglimento o rigetto reso dal collegio.
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