ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza n. 18039 del 19/10/2012 la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla domanda di nullità e/o annullamento delle operazioni finanziarie proposta dal cliente nei confronti dell’intermediario finanziario, con richiesta di risarcimento danni, per violazione degli obblighi informativi e per conflitto di interessi.
La vicenda trae luogo dall’acquisto di obbligazioni Cirio e Parmalat negli anni 2000/2001 da parte di un cliente che, successivamente, ritenuto detto acquisto viziato, conveniva in giudizio la Banca deducendo la nullità dei contratti di acquisto per avere la stessa agito in conflitto di interessi e per violazione degli obblighi informativi in merito alla inadeguatezza delle operazioni di investimento.
Il Tribunale rigettava la domanda di nullità sia relativamente agli ordini di acquisto, ritenendo che il requisito della forma scritta non fosse imposto dal TUF, sia per il contratto quadro, sotto il profilo della mancanza di informazioni sui rischi generali degli investimenti.
Il giudice di primo grado riteneva infondate, inoltre, le domande di annullamento per errore e di risoluzione e risarcimento del danno, avendo escluso l’inadempimento della Banca agli obblighi informativi pervisti dagli artt. 23 TUF e 29 reg. Consob n. 11522 del 1998.
La decisione del Tribunale veniva confermata in appello.
Nel ricorso per Cassazione la Suprema Corte respinge in parte le domande formulate dal ricorrente, accogliendo invece il ricorso in merito alla dedotta violazione degli obblighi informativi dell’intermediario finanziario ai sensi degli artt. 21 TUF e 29 reg. Consob.
In particolare la Corte afferma che nei giudizio aventi ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni cagionati al cleinte nello svolgimento dei servizi di investimento ed accessori, non è sufficiente affermare la mancanza di prova della negligenza o inadempimento dell’intermediario, ma occorre accertare la sussistenza della prova positiva di tale diligenza, nonché dell’effettivo adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. In mancanza, l’intermediario dovrà essere condannato al risarcimento dei danni causati al risparmiatore.
Sotto altro profilo, la Suprema Corte censura la decisione dei giudici di appello, affermando che grava sulla banca, ai sensi dell’art. 21 TUF, un obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, che si concretizza nell’obbligo di acquisire le informazioni necessarie dai clienti e, nel contempo, nell’obbligo di fornire le informazioni specifiche sulla natura e sui rischi delle operazioni, al fine di consentire una scelta consapevole di investimento.
Nel caso di specie, osserva la Corte, la Banca avrebbe dovuto acquisire tutte le informazioni relative al profilo del cliente e alla sua propensione al rischio, nonché fornire al cliente tutte le adeguate informative in merito alle caratteristiche dei titoli, tanto più che questi ultimi furono negoziati prima dell’immissione sul mercato, quindi in assenza di adeguate informazioni per i clienti, anche perché destinati inizialmente ai soli investitori istituzionali, per cui più rischiosi.
In tale ottica, secondo la Corte, la Banca non avrebbe adempiuto all’obbligo di informativa, nei confronti del cliente, dei rischi specifici legati all’acquisto dei titoli, a nulla rilevando che tali titoli fossero stati negoziati da altri Istituti e non fosse noto lo stato di default della società emittente, trattandosi comunque di titoli ad alto rischio, per i quali la Banca avrebbe dovuto agire con la massima prudenza.
La decisione della Cassazione si sofferma, inoltre, sugli obblighi di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione, gravanti sull’intermediario anche laddove il cliente si sia rifiutato di fornire informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio.
Al riguardo, afferma la Corte, (richiamando anche precedenti pronunce, v. Cass. 22147/2010, 17340/2008) la valutazione della banca va condotta in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le informazioni di cui l’intermediario sia in possesso, atteso che l’obbligo dell’intermediario di assumere tali informazioni è strumentale all’adempimento dell’obbligo informativo nei confronti del cliente.
In tale ottica, non è rilevante né decisivo che il cliente investa abitualmente in titoli o abbia precedentemente acquistato titoli ad alto rischio, perché tali circostanze non sono sufficienti a considerarlo operatore qualificato.
In conclusione la Corte ha affermato che lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra l’intermediario e il cliente implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo che non può essere sostituito dall’onere per il cliente di assumere direttamente, da altre fonti, informazioni sulla rischiosità dei titoli.
Alla luce di ciò consegue un obbligo risarcitorio in capo alla Banca, la quale dovrà provare di avere adempiuto agli obblighi necessari per evitare l’insorgenza dell’obbligo di astensione, anche in considerazione del principio, consolidato, secondo cui in presenza dell’obbligo di astensione sul cliente non grava l’onere della prova del nesso di causalità.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24817/2009 proposto da:
G.F.A.;
RICORRENTE
contro
BANCA;
INTIMATA
Nonchè da:
BANCA;
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
contro
G.F.A.;
INTIMATO
avverso la sentenza n. 1144/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/04/2009;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- G.F.A., avendo acquistato obbligazioni Cirio nel mese di novembre 2000 e obbligazioni Parmalat nel gennaio 2001, che riteneva viziati e privi delle qualità promesse, convenne in giudizio la BANCA, giudicandola responsabile per avere agito in conflitto di interessi e per avere violato gli obblighi informativi dovuti nei suoi confronti in ordine alla inadeguatezza delle operazioni di investimento.
Chiese di dichiarare i contratti di acquisto nulli o, in subordine, di annullarli o di risolverli e di condannare la BANCA alla restituzione del denaro impiegato per le due operazioni che avevano avuto esito negativo; in subordine, chiese di accertarne la responsabilità e, di conseguenza, di condannarla al risarcimento del danno consistente nella differenza tra il valore del denaro impiegato per l’acquisto e il valore attuale dei titoli.
2.- La Corte di appello di Milano, con sentenza 23 aprile 2009, ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza di rigetto emessa dal Tribunale di Lodi, ha compensato le spese del secondo grado di giudizio e rigettato la domanda della BANCA di rifusione delle spese del primo grado (compensate dal tribunale).
La Corte di merito, riassuntivamente, per quanto ancora rileva, ha giudicato infondata la domanda di nullità sia degli ordini di acquisto dei titoli per mancanza della forma scritta, avendo escluso che tale requisito di forma fosse imposto dal D.Lgs. n.58 del 1998, art.23, (d’ora in poi, t.u.f.) anche per gli ordini di acquisto, sia del contratto-quadro di prestazione dei servizi finanziari, sotto il profilo della dedotta mancanza dei documenti integrativi, cioè delle informazioni sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari; infondate le domande di annullamento per errore, per mancanza di prova che l’attore non avrebbe stipulato i contratti se avesse ricevuto le informazioni dovutegli, e di risoluzione e risarcimento del danno, avendo escluso l’inadempimento della Banca agli obblighi informativi, previsti dall’art.23 del t.u.f. e art. 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, in ordine alle caratteristiche dei titoli, ad avviso dell’appellante, inadeguati e la cui pericolosità sarebbe derivata anche dal fatto di non essere quotati alla Borsa di Milano, ma a quella di Lussemburgo, dove tra l’altro gli operatori non sono soggetti alla vigilanza dei competenti organi di controllo nazionali (Consob e Banca d’Italia); ha escluso inoltre la violazione dell’obbligo di pubblicazione del prospetto informativo e la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi in capo alla Banca; infine ha respinto la domanda di indennizzo per mancanza di prova dell’asserita falsità della sottoscrizione dell’ordine di acquisto del titolo Parmalat.
3.- Il sig. G. ricorre per cassazione formulando nove motivi ulteriormente illustrati da una memoria. La Banca resiste con controricorso e ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel ricorso sono articolate numerose censure riassumibili in nove motivi numerati come segue secondo il loro ordine logico e corredati da plurimi quesiti di diritto (trova applicazione infatti l’art.366 bis cpc, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata).
1.- Il PRIMO motivo ha ad oggetto la dedotta nullità del contratto- quadro di prestazione dei servizi finanziari, stipulato il 24 agosto 1999, per difetto di forma scritta, in quanto privo del questionario sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari che per legge avrebbe dovuto integrarlo, con conseguente nullità “a cascata” degli ordini di acquisto dei bonds Cirio e Parmalat. Il motivo si conclude con il quesito di diritto volto a stabilire se “il contratto di prestazione di servizi in materia di intermediazione finanziaria, in assenza dell’allegato questionario relativo alla propensione al rischio, conoscenza dei mercati finanziari dell’investitore, nonchè in assenza della certezza che questo sia stato a lui sottoposto, debba considerarsi nullo, quando detto questionario è indicato direttamente dal testo negoziale come “Allegato B”, perchè concluso in violazione delle prescrizioni di forma stabilite dall’art. 23 t.u.f. e dall’art. 5, comma, lett. a), reg. Consob 10943/97″.
1.1.- Al fine di valutare l’adeguatezza del suddetto quesito e, quindi, l’ammissibilità del motivo, sì deve avere riguardo al contenuto della sentenza impugnata. Questa, dopo aver illustrato l’eccezione con cui il sig. G. aveva denunciato la difformità tra la copia in suo possesso del contratto-quadro e quella prodotta dalla Banca (in quanto solo la prima recava anche la sottoscrizione dei suoi familiari e, inoltre, nella stessa copia in suo possesso mancava la crocetta nel quadro attinente al rifiuto dell’investitore di fornire le informazioni sulla sua propensione al rischio), l’ha rigettata giudicandola irrilevante, sul presupposto che l’attore non avesse disconosciuto la propria sottoscrizione nel contratto-quadro prodotto dalla Banca, con i relativi allegati, con la conseguenza che la Banca non aveva l’onere di chiedere la verificazione della scrittura.
1.1.1.- Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte chiarito che il quesito di diritto, dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile (v. Cass. n.3530 del 2012). E’ pertanto inammissibile il motivo il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, in quanto formulato in modo non pertinente rispetto alla fattispecie concreta sottoposta alla cognizione del giudice (v. Cass., sez. un., n.6420 e n. 27347 del 2008).
Nella specie il quesito proposto dal ricorrente è astratto e inconferente in quanto prescinde dalla fattispecie e dal decisum, avendo i giudici di merito evidenziato che l’appellante a torto lamentava la mancanza dei documenti, integrativi del contratto.
Infatti l’attore non aveva disconosciuto la propria sottoscrizione nel contratto-quadro prodotto dalla Banca, cui quei documenti erano allegati, in particolare quello sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari ed i relativo questionario, ove era segnata la crocetta sul rifiuto dell’investitore di fornire le notizie richieste dalla Banca circa la sua propensione al rischio e i suoi obiettivi di investimento.
1.2.- Nel secondo profilo del primo motivo il ricorrente si chiede se il giudice di appello abbia implicitamente rigettato la domanda di nullità (per un analogo difetto di forma) del contratto-quadro, perchè, in caso contrario, la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio, cui si riferisce un secondo quesito di diritto, di omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, quindi, per violazione dell’art.112 cpc.
1.2.1.- Il suddetto profilo è, tuttavia, assorbito, avendo la sentenza impugnata rigettato la domanda di nullità.
2.- Nel secondo motivo si deduce la violazione dell’art.23 t.u.f. e degli artt.27, 29, 60 e 61 reg. Consob n.11522 del 1998 e, quindi, la nullità degli ordini di acquisto dei titoli per mancanza della forma scritta prevista dalla legge o dal contratto-quadro. Esso si conclude con due quesiti.
2.1.- Nel primo quesito si chiede a questa Corte se “il contratto di compravendita di valori mobiliari perfezionato in forma verbale, o per comportamento concludente, sia valido, ovvero risulti affetto da nullità per violazione dell’obbligo di forma scritta stabilito ad substantiam dall’art.23 t.u.f.”.
2.1.1.- Al quesito va data risposta negativa. Questa Corte ha enunciato il principio che la prescrizione dell’art.23 del t.u.f., secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità del contratto, deducìbile solo dal cliente, attiene al contratto- quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti di forma (v. Cass. n. 28432 del 2011 e n. 384 del 2012). Il ricorrente non ha offerto argomenti sufficienti a indurre la Corte a dissentire dal suddetto principio e, quindi, a investire della questione le Sezioni Unite.
2.2.- Nel SECONDO quesito il ricorrente chiede se “avendo le parti stabilito, attraverso il perfezionamento del contratto-quadro di prestazione di servizi di intermediazione finanziaria, che gli ordinativi di compravendita titoli impartiti dal cliente debbano essere redatti in forma scritta o, in alternativa, qualora raccolti telefonicamente, registrati su nastro magnetico e conservati in tale forma, sia nullo oppure no il contratto di acquisto di obbligazioni redatto in forma diversa da quella convenuta, in relazione al disposto dell’art.1352 cc”.
2.2.1.- Esso investe una questione – attinente alla violazione della forma convenzionale (ex art.1352 cc) che le parti avrebbero pattuito per i singoli ordini di investimento – che non risulta sia stata formulata espressamente nel corso del giudizio di merito, o quantomeno non risulta che sia stata prospettata per fondarvi un’esplicita eccezione di nullità, indispensabile quando si tratti di un’ipotesi di nullità relativa, quale è quella prevista dal citato art.23 del t.u.f. Tanto dal tenore della sentenza impugnata quanto dall’esposizione dei fatti processuali contenuta nello stesso ricorso si desume, invece, che la pretesa restitutoria avanzata dal sig. G. era fondata unicamente sul difetto di requisiti formali del contratto-quadro e dei singoli ordini di acquisto, oltre che su dedotte violazioni di obblighi di comportamento gravanti sull’intermediario. La novità della questione, che implicherebbe altresì un esame diretto delle risultanze processuali non consentito a questa corte, rende perciò inammissibile la doglianza in tal senso riassunta nel secondo quesito.
3.- Il TERZO motivo ha ad oggetto la domanda di annullamento dei singoli contratti di acquisto dei bonds, per avere la Banca indotto il sig. G. ad esprimere il proprio consenso sulla base di un errore scusabile ed essenziale, ai sensi degli artt.1427, 1428, 1429 e 1439 c.c.. Il motivo è sintetizzato nel quesito volto a stabilire “se sia affetta da insufficiente o contraddittoria motivazione la sentenza che respinge la domanda di annullamento avanzata dal risparmiatore, affermando che il medesimo, pur conoscendo le caratteristiche delle obbligazioni di cui è causa, avrebbe dato seguito ugualmente all’acquisto delle medesime, nonostante sia acclarato che detto risparmiatore, fino a quel momento, aveva costantemente negoziato titoli di Stato italiani e/o obbligazioni bancarie”.
3.1. Sul punto la corte di merito ha ritenuto che il sig. G. non avesse fornito la prova dell’induzione in errore da parte della Banca e della circostanza che egli non avrebbe acquistato quei titoli qualora fosse stato informato che erano quotati alla Borsa di Lussemburgo, anzichè a quella di Milano; inoltre, ad avviso della medesima corte, a determinarlo all’acquisto di obbligazioni risultate, anni dopo, non rimborsate, era la sua intenzione di conseguire guadagni dall’investimento in società emittenti di cui nessuno, all’epoca, immaginava il default.
3.1.1.- Il motivo è da rigettare, essendo in parte inammissibile e in parte infondato.
E’ noto che la censura del vizio di motivazione è inammissibile ove prospetti una valutazione delle questioni di fatto e/o di diritto in senso difforme da quella operata dal giudice di merito, senza lo svolgimento di argomentate critiche alla completezza e logicità della motivazione. Il mezzo ex art.360 cpc, n.5, infatti, non può essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, poichè tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionale valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art.360 n.5; diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito – a proposito, nella specie, del contenuto e delle modalità di rappresentazione del consenso negoziale delle parti nella specifica vicenda – e cioè nella richiesta di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alle finalità del giudizio di legittimità.
3.2.- Il ricorrente ricollega alla inosservanza degli obblighi informativi, di cui all’art.21 del t.u.f. e art.26 ss. del reg.
Consob n.11522 del 1998, una causa di impedimento alla espressione libera e consapevole del consenso da parte del cliente-risparmiatore, asseritamente rilevante in quanto idonea a inficiare il contratto per errore essenziale, cadendo sulla natura o sull’oggetto del contratto o su una sua qualità determinante (art.1429 cc, nn.1 e 2).
Questa Corte ha già avuto occasione di osservare che le informazioni che debbono essere preventivamente fornite dall’intermediario (a norma della previgente L. n.1 del 1991, art.6, in materia di intermediazione mobiliare) “non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma (soltanto) elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi della mancanza di consenso” (Cass. n. 19024 del 2005). Ciò fa escludere non solo la nullità del contratto per mancanza di uno dei requisiti fondamentali previsti dall’art.1325 cc, qual è il consenso-accordo (come nell’ipotesi considerata nel precedente richiamato), ma anche, almeno in via di principio, la sua annullabilità per errore. Ciò di cui il ricorrente si duole, infatti, non è di avere acquistato un titolo diverso (o con caratteristiche diverse) da un altro, ma di avere acquistato un titolo che non ha avuto il positivo andamento sperato.
L’eventuale inadempimento agli obblighi informativi può essere alla base di una valutazione errata da parte dell’investitore, le cui intenzioni o previsioni ed aspettative in ordine al risultato economico del contratto restano tuttavia confinate, di regola, nel campo dei motivi o delle soggettive valutazioni circa la convenienza economica dell’affare.
4. Nel quarto paragrafo del ricorso è contestata la mancata prova, ritenuta dalla sentenza impugnata, che sarebbe stata la Banca a proporre l’investimento. La doglianza non si è tradotta in uno specifico motivo di impugnazione e, del resto, lo stesso ricorrente ammette che la circostanza è “aliena dal suscitare questioni di legittimità”.
5.- Nel QUARTO motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art.27 reg. Consob n.11522 del 1998 e degli artt.1394, 1395 e 1375 cc, in ragione del conflitto di interessi in cui, a suo avviso, si sarebbe trovata la Banca, la quale non avrebbe agito in posizione di terzietà, ma sarebbe stata indotta ad eseguire l’operazione in quanto spinta dall’interesse a ridurre l’esposizione finanziaria delle società Cirio e Parmalat nei suoi confronti ed essendo la Banca già in possesso di quei titoli. Formula tre quesiti di diritto.
5.1.- Il motivo è inammissibile nella parte riguardante i primi due quesiti così formulati: – a) se “nell’ipotesi un cui una banca si obblighi a vendere ad un proprio cliente un determinato titolo per un prezzo stabilito, senza specificare se lo trarrà dal proprio paniere o lo ricercherà sul mercato, si debba ravvisare una compravendita in conflitto di interessi tra risparmiatore ed intermediario finanziario”; – b) se “l’ipotesi in cui un gruppo bancario, il quale abbia posto in essere una politica di restrizione del credito verso una determinata impresa, proponga ad un proprio cliente l’acquisto di obbligazioni emesse da quest’ultima (anche) al fine di rientrare dalla propria esposizione, integri quel conflitto di interessi che, ai sensi dell’art.27 reg. Consob n. 11522 del 1998, va dichiarato ed illustrato in forma scritta”.
La corte di merito ha escluso l’esistenza di un conflitto di interessi, osservando che le operazioni in contropartita diretta, cioè di acquisto delle obbligazioni (anche in mancanza di un mandato del cliente) e successiva rivendita a quest’ultimo, non generano di per sè un conflitto di interessi. Tale affermazione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che la negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nell’art.1 del t.u.f., essendo essa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per sè sola, l’annullabilità dell’atto ai sensi degli artt.1394 o 1395 cc (v. Cass. n. 28432 del 2011).
La sentenza impugnata, indagando ulteriormente sulla presenza in concreto di potenziali situazioni di conflitto, rivelatrici di un interesse della Banca diverso ed ulteriore rispetto a quello tipico del contratto di investimento, le ha escluse, offrendo due ulteriori rationes decidendi: che la Banca non faceva parte del comitato di collocamento dei titoli e che le linee di finanziamento con le società emittenti i titoli negoziati, per effetto delle quali la Banca risultava esposta verso le società emittenti, non riguardavano l’erogazione del credito per l’attività di intermediazione finanziaria, ma altre attività (quelle industriali), così in sostanza escludendo che la Banca avesse un interesse qualificato a trasferire sul cliente l’elevato rischio, insito in quei titoli, che altrimenti avrebbe corso in proprio detenendoli nel proprio portafoglio.
Il motivo di ricorso in esame non ha specificamente censurato tali rationes (la seconda lo è stata del tutto genericamente) e ciò lo rende inammissibile, tenuto conto del ben noto principio che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (v., da ultimo, Cass. n. 2108 del 2012).
5.2.- La questione posta dal terzo quesito di diritto – “se mancando, in un’operazione posta in essere in conflitto di interessi, la dichiarazione di cui all’art.29 reg. Consob n. 11522 del 1998, si debba ritenere nullo il contratto di compravendita titoli per violazione di forma negoziale stabilità ad substantiam” – rimane assorbita, attenendo al requisito di forma degli ordini di investimenti nel caso specifico, che qui non ricorre, del conflitto di interessi.
6. Il QUINTO motivo si conclude con due quesiti volti ad accertare: – a) se “nell’ipotesi in cui un prodotto finanziario formalmente destinato ad investitori istituzionali venga negoziato in maniera massiccia e sistematica tra gli stessi ed i clienti retali nel periodo del cosiddetto grey market, cioè prima ancora che il bond venga ufficialmente emesso, si possa configurare un’ipotesi di sollecitazione ex facto al pubblico risparmio, soggetta alla disciplina di cui all’art.94 e 100 t.u.f.”; –
b) se “nell’ipotesi in cui obbligazioni formalmente destinate ad investitori istituzionali e come tali prive di prospetto informativo, divengano oggetto di compravendita sistematica tra clienti retali ed intermediario finanziario nel periodo del cosiddetto grey market, dette negoziazioni siano affette da nullità per violazione della disciplina di cui all’art.94 e 100 t.u.f.”, trattandosi di titoli finanziari soggetti anch’essi all’obbligo di pubblicazione del prospetto informativo.
6.1.- Il ricorrente sostiene, in sostanza, che la Banca, nell’eseguire l’investimento, avrebbe realizzato, dissimulandola, una sollecitazione all’investimento, così violando la disciplina del t.u.f. che avrebbe imposto la pubblicazione di un prospetto informativo. La Corte, territoriale ha invece escluso l’esistenza di tale obbligo, in quanto previsto dall’art.94 t.u.f. e art. 29 reg. Consob n.11971 del 1999 solo per l’ipotesi di sollecitazione all’investimento, diversa da quella, in esame, di negoziazione su base individuale.
6.2.- E’ opportuno precisare, in via preliminare, che il rapporto dedotto in causa si è svolto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006. Si farà perciò riferimento alla disciplina dettata dal t.u.f. del 1998 e dal regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportate per adattarlo alle suddette nuove direttive.
6.3.- Il motivo è infondato.
L’art.94, commi 1 e 2, t.u.f., nel testo ratione temporis vigente, prevede che “Coloro che intendono effettuare una sollecitazione all’investimento ne danno preventiva comunicazione alla Consob, allegando il prospetto destinato alla pubblicazione”, il quale deve contenere “le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emittenti, sono necessaria affinchè gli investitori possano pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonchè sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”.
Per “sollecitazione all’investimento” si intende, a norma dell’art.1, comma 1, lett. t), del t.u.f., nel testo allora vigente, “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari” (v., sul punto, anche il reg. Consob n. 11971 del 1999).
Il t.u.f. individua quindi la nozione di “sollecitazione all’investimento” e la distingue da quella, contenuta nell’art.1, comma 5, del t.u.f., riguardante i “servizi di investimento”, tra i quali è compresa l’attività di “negoziazione” (per conto proprio o di terzi) e di “ricezione e trasmissione di ordini”.
La distinzione tra le due figure si percepisce chiaramente se si guarda al contenuto e, soprattutto, ai destinatarì della “sollecitazione all’investimento”, che è quella rivolta, secondo lo schema dell’art.1336 cc, ad un numero indeterminato ed indistinto di investitori in modo uniforme e standardizzato, cioè a condizioni di tempo e prezzo predeterminati. Quando l’offerta assuma queste caratteristiche, sussiste l’obbligo di pubblicazione, sia nel caso di accordo in tal senso tra l’emittente e l’intermediario (nell’ambito del c.d. servizio di collocamento), sia nel caso in cui l’intermediario, seppur in ipotesi violando le condizioni di circolazione poste dall’emittente (o dai partecipanti al consorzio di collocamento), realizzi, di fatto, un’attività promozionale di offerta, volta ad indurre la clientela retail all’acquisto dei titoli mediante la formulazione di proposte standardizzate, ai fini della conclusione di transazioni non “negoziate” con i clienti (operazione questa che, anche secondo la Consob, presenta i connotati dell’offerta al pubblico: v. Comunicazione n. DAL/97006042 del 9 luglio 1997).
La distinzione tra l’offerta al pubblico e la negoziazione su base individuale si coglie anche nella disciplina sul recesso dettata dall’art.30, comma 6, del t.u.f. (con riguardo alle offerte fuori sede concernenti il collocamento di strumenti finanziari), la quale è stata ritenuta inapplicabile ai contratti di negoziazione di obbligazioni eseguiti in attuazione di un contratto-quadro, sottoscritto fra la banca e il cliente, in quanto tali contratti non costituiscono un servizio di collocamento finalizzato all’offerta ad un pubblico indeterminato di strumenti finanziari emessi a condizioni di tempo e prezzo predeterminati (v. Cass. n. 2065 del 2012).
In altri termini, la diffusione di strumenti finanziari presso il pubblico non implica necessariamente il ricorso a modalità sollecitatorie, potendo i titoli raggiungere la clientela attraverso la prestazione di servizi di investimento, cioè attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento in cui l’operazione è eseguita. La tutela del cliente è qui affidata, non già ad uno stereotipato prospetto informativo, ma all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt.21 del t.u.f. e 26 ss. del reg. Consob n. 11522 del 1998.
Il ricorrente ritiene che la Banca resistente abbia realizzato un’attività di sollecitazione all’investimento in via di fatto, sottraendosì all’obbligo di pubblicazione del prospetto e violando il regolamento delle obbligazioni contenuto nella cd. offering circular che ne vietava la vendita in Italia ai clienti retail attraverso sollecitazioni all’investimento.
Tralasciando che tale divieto non riguardava quindi la negoziazione diretta dei titoli, la valutazione di fatto operata dal giudice di merito – che è vincolante per il giudice di legittimità, se non censurata (efficacemente) sotto il profilo della congruità e logicità della motivazione – è che si sia trattato proprio di una negoziazione su base individuale che non imponeva la pubblicazione del prospetto.
Tale conclusione non è scalfita dall’ipotesi, secondo cui la Banca, in qualità di investitore professionale, avrebbe acquistato i suddetti titoli proprio allo scopo di rivenderli subito ai risparmiatori, mediante negoziazioni effettuate in maniera massiccia e sistematica, prima che i titoli venissero emessi ufficialmente (nel periodo del c.d. grey market), con l’effetto di trasferire sulla clientela il rischio del collocamento, unitamente a quello della insolvenza della emittente. Ciò non toglie infatti – anzi conferma – che si sia trattato pur sempre di negoziazioni su base individuale, rispetto alle quali la tutela del risparmiatore si realizza sul piano degli obblighi informativi in capo all’intermediario, anche in funzione preventiva rispetto a possibili conflitti di interesse in cui quest’ultimo potrebbe trovarsi.
7.- Il SESTO motivo contiene due gruppi di questioni. Nel primo gruppo – che è fondato – si deduce la violazione degli artt. 21 t.u.f. e 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, che prescrivono puntuali obblighi informativi che l’intermediario è tenuto sia a ricevere dal risparmiatore, in ordine alla sua esperienza, alla sua situazione finanziaria e propensione al rischio e ai suoi obiettivi di investimento, sia a dare, in ordine alla natura, ai rischi e alle implicazioni di ogni specifica operazione di investimento. La sentenza impugnata sarebbe motivata in modo illogico e contraddittorio per avere rilevato che era stato il sig. G. a rifiutarsi di fornire le informazioni richieste circa la sua propensione al rischio, mentre ciò comunque non esonerava la Banca dalle opportune indagini al riguardo e, infatti, quelle informazioni avrebbero dovuto essere ricavate aliunde, cioè anche dai suoi precedenti investimenti volti alla conservazione del capitale, dai quali risultava che il suo era un profilo di rischio di investitore prudente; e comunque, se la Banca riteneva che non fosse possibile avere notizie sulle caratteristiche dell’investitore, non avrebbe dovuto considerarlo come incline al rischio, tanto da proporgli titoli come quelli in esame.
I quesiti sono formulati come segue:
– a) se “sia oppure no palesemente illogico o contraddittorio l’iter argomentativo in ragione del quale il giudice dell’appello asserisca che mancano elementi per ricavare la scarsa inclinazione al rischio di un investitore quando questi abbia sempre investito il 100% del proprio patrimonio in obbligazioni tutte Europee; per la stragrande maggioranza a scadenza nel medio periodo; di rendimento non particolarmente elevato; legate al food (cioè ad aziende che seguono un ciclo economico pressochè costante); emesse da società entrambe quotate alla borsa italiana, dunque soggette a revisione e ad attività di controllo da parte della Consob; in occasione di un’operazione successiva dello stesso tenore (acquisto obbligazioni G.M.) si sia visto sconsigliare detta operazione”;
– b) se “avendo il cliente di una banca, al momento di concludere il contratto-quadro, rifiutato di sottoporsi al questionario in ordine alle competenze e propensione al rischio del medesimo, costituisca violazione oppure no dell’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, al momento di porre in essere le singole operazioni e a distanza di tempo, proporre investimenti in titoli rischiosi, senza prima indagare in ordine alle caratteristiche di investitore presentate dal cliente”;
– c) se “l’art. 29 citato vada interpretato nel senso che l’intermediario debba sconsigliare al proprio cliente investitore retail di porre in essere operazioni di acquisto di obbligazioni solo qualora emesse da soggetti a rischio insolvenza (default, mancata restituzione del capitale alla scadenza), oppure anche quando si tratti di prodotti finanziari nati e studiati per investitori istituzionali e, come tali, sprovvisti di prospetto illustrativo; siano privi di rating; siano valutati come investimenti con livello di rischio immediatamente precedente quello speculativo; non quotati su mercati regolamentati; diversi da tutti quelli negoziati fino a quel momento”.
7.1.- La Corte di appello ha ritenuto che:
a) l’appellante non aveva fornito la prova della violazione da parte della Banca degli artt. 23 del t.u.f. e 29 del reg. Consob n. 11522 del 1998. Ciò sarebbe confermato dai rilievi che seguono:
b) “non esistono investimenti in titoli di debito, quali, a tutti gli effetti, sono le obbligazioni (…) che siano sicuri al 100% per il risparmiatore in ordine alla restituzione del capitale oltre che degli interessi”;
c) all’epoca dell’acquisto (tra novembre 2000 e gennaio 2001), altri istituti di credito offrivano ai loro clienti i bonds Cirio e Parmalat, ai quali le società di rating attribuivano una valutazione di “adeguata protezione”, nè vi era un preallarme di un possibile default delle società emittenti;
d) era stato il sig. G. ad aver dichiarato, sottoscrivendo il contratto-quadro, di non voler fornire le informazioni richieste dalla Banca a proposito della sua esperienza in materia di investimenti, della sua situazione finanziaria e propensione al rischio;
e) il sig. G. non era una persona sprovveduta, ma era titolare di un cospicuo patrimonio ed era abituato ad investire per conseguire guadagni.
7.1.1.- I suddetti argomenti utilizzati dalla corte di merito sono, in parte, contra – legem e, in parte, incongrui e inadeguati.
aa) L’affermazione circa la mancanza di prova che il sig. G. avrebbe dovuto offrire nel giudizio in ordine alla negligenza della Banca e al suo inadempimento agli obblighi informativi previsti, in realtà, dall’art.21, comma 1, lett. a) e b), del t.u.f., oltre che dall’art.29 del citato reg. Consob, trascura che, a norma dell’art.23, comma 6, del t.u.f., “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Questa Corte ha chiarito come dev’essere ripartito l’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento dell’intermediario alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal t.u.f. e dalla normativa secondaria, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta” (Cass. n. 3773 del 2009, n. 22147 del 2010).
Il giudice di merito, per assolvere l’intermediario dalla responsabilità addebitatagli dal risparmiatore, non può quindi limitarsi, come invece ha fatto la corte milanese, ad affermare che manca la prova della negligenza ovvero dell’inadempimento dell’intermediario, ma deve accertare che sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. In mancanza, egli dovrà condannarlo al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore.
bb) Quello secondo cui non esistono obbligazioni “sicure” è un argomento incongruo e tautologico, posto che, traendone le logiche conseguenze, dovrebbero ritenersi superflue le cautele poste dall’ordinamento a protezione degli interessi dei risparmiatori, con tutto il corollario di obbligazioni poste a carico degli intermediari, per la natura intrinsecamente aleatoria di ogni investimento in strumenti finanziari.
cc) La Corte di merito ritiene che i titoli Cirio e Parmalat, essendo venduti anche da altre banche nel medesimo periodo e non essendovi un preallarme di default delle società emittenti, erano sostanzialmente convenienti, sicchè essa si chiede a “quali ulteriori adempimenti l’Istituto di credito dovesse essere assoggettato”. La valutazione di convenienza economica che è alla base dell’investimento è, in tal modo, operata dalla banca (e, in definitiva, dallo stesso giudice), anzichè dall’investitore, come invece dovrebbe essere, con un rovesciamento delle posizioni che l’ordinamento assegna a ciascuna parte nel rapporto avente ad oggetto la prestazione dei servizi di investimento.
cc1) L’art. 21, comma 1, del t.u.f. pone, infatti, a carico della banca l’obbligo di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati” e di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”. Quindi, “se” e “in quali titoli” investire dev’essere oggetto di una decisione informata ed esclusiva dell’investitore, sulla base di informazioni specifiche che gli devono essere rese dall’intermediario “sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (art. 28, comma 2, reg. Consob n. 11522 del 1998);
l’investitore dev’essere informato delle “ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione” delle operazioni disposte dal cliente quando inadeguate e, in tal caso, esse possono essere ugualmente eseguite solo sulla base di un ordine da lui impartito per scritto (art. 29, comma 3, reg. Consob cit.). Prima ancora, però, l’intermediario ha l’obbligo di informarsi, a sua volta, del profilo del cliente (dovrà chiedergli notizie, al momento della stipulazione del contratto-quadro, sulla sua esperienza, situazione finanziaria, sugli obiettivi di investimento, sulla propensione al rischio, ecc.; v. art. 28, comma 1, reg. cit.), e quello di assumere tutte le informazioni necessarie e opportune sulle caratteristiche dei singoli titoli da esso stesso proposti o richiesti dal cliente. Quest’ultimo obbligo assume particolare importanza nella fase esecutiva del contratto-quadro, quella di negoziazione dei titoli.
cc2) La sentenza impugnata non sottopone ad alcuna valutazione le circostanze evidenziate dal ricorrente, in ordine al fatto che i bonds in questione furono negoziati prima che fossero immessi sul mercato, nel periodo del c.d. grey market, come dimostrato dal fatto che le c.d. offering circular furono pubblicate in date successive all’acquisto, con la conseguenza che la stessa Banca (e, a maggior ragione, i clienti retali) non disponevano di informazioni adeguate sulle caratteristiche di quei titoli, privi, tra l’altro, in quel momento, di rating ufficiale. Ciò avrebbe dovuto indurre la Banca ad agire con la massima prudenza, segnalando che si trattava di titoli particolarmente rischiosi o comunque non sicuri, tanto più che, in prima battuta, erano destinati ai soli investitori istituzionali.
Nè, del resto, come sembra ipotizzare la Banca, ai fini del giudizio di inadeguatezza di un’operazione di investimento, può attribuirsi rilievo esclusivamente allo stato, conclamato o prossimo, di default della società emittente.
E’ poi irrilevante che analoghi titoli fossero venduti da altri istituti di credito, se poi si sorvola sul fatto che molti di questi sono stati ritenuti responsabili in numerose sentenze di merito per ragioni analoghe a quelle fatte valere dal ricorrente in questa sede.
dd) Contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, l’intermediario non è esonerato dall’obbligo di valutare, nella fase esecutiva del rapporto, l’adeguatezza dell’operazione nel caso in cui l’investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi di investimento e sulla propria propensione al rischio, nel quale caso quella valutazione va condotta, in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di mercato, ecc. (in tale condivisibile senso si è espressa anche la Consob con Comunicazione n. DI/30396 del 21 aprile 2000). Come si è detto, l’obbligo dell’intermediario di assumere le informazioni è strumentale all’adempimento del suo obbligo di fornire allo stesso investitore, prima di effettuare qualunque operazione, un’informazione adeguata in concreto che soddisfi le specifiche esigenze del singolo rapporto nella fase esecutiva, tanto che ad un’operazione non adeguata può darsi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dal risparmiatore in cui, si noti, sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (v. Cass. n. 22147 del 2010). Come già precisato da questa Corte, “all’operatività di quest’ultima regola non è di ostacolo il fatto che il cliente abitualmente investa in titoli finanziari, perchè ciò non basta a renderlo investitore qualificato” (Cass. da ultimo citata), nè “che il cliente abbia in precedenza acquistato un altro titolo a rischio, perchè ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob” (Cass. n. 17340 del 2008).
Questa Corte ha anche ritenuto che lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo che non può essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni sulla rischiosità dei titoli da altre fonti (ad esempio dalla stampa) (Cass. n. 29864 del 2011).
ee) La motivazione resa dai giudici di merito a proposito delle modalità con cui la Banca ha acquisito le informazioni relative alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del sig. G., è sostanzialmente assente, avendo la sentenza impugnata valorizzato circostanze non rilevanti (che il sig. G. è “titolare di un cospicuo patrimonio”) e svolto valutazioni apodittiche, generiche o indimostrate (non è “uno sprovveduto”, è “abituato ad investire per conseguire guadagni”).
7.2.- Il sesto motivo contiene, inoltre, un secondo gruppo di questioni, concernenti ancora la forma degli ordini di investimento.
Si sostiene che, trattandosi di operazioni inadeguate, la Banca, dopo avere informato il risparmiatore delle ragioni per cui esse non erano opportune, avrebbe potuto eseguirle solo in presenza di un ordine in forma scritta del risparmiatore che volesse comunque darvi corso; in mancanza, vi sarebbe una nullità degli ordini per difetto di una forma essenziale. A tal fine sono formulati i seguenti due quesiti volti a stabilire: – a) se “nell’ipotesi in cui venga proposta ad un investitore non incline al rischio un’operazione inadeguata in mancanza di dichiarazione scritta della non adeguatezza ed accettazione della medesima da parte del cliente, il contratto di compravendita dei titoli debba considerarsi nullo per carenza della forma di cui all’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998”; – b) se “nell’ipotesi in cui venga proposta ad un investitore di cui non è stato rilevata l’inclinazione al rischio un’operazione che comporta pericoli, in mancanza di dichiarazione scritta della non adeguatezza ed accettazione della medesima da parte del cliente, il contratto di compravendita debba considerarsi nullo per carenza della forma di cui all’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998”.
7.2.1.- I quesiti così posti, se diretti a riproporre la questione della forma scritta degli ordini di investimento in generale, sono infondati, per le ragioni già esposte nel secondo motivo. Sono invece inammissibili se riguardano il profilo, parzialmente diverso, della forma degli ordini di acquisto nel caso in cui il cliente abbia ricevuto preventivamente dall’intermediario le dovute informazioni sulla inadeguatezza dei titoli (v. art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522 del 1998). Non risulta, infatti, che tale specifica questione sia stata esaminata nel giudizio di merito ed essa non può essere introdotta per la prima volta nel giudizio di legittimità. Il ricorrente, inoltre, è anche privo di interesse al riguardo, avendo egli stesso dedotto l’inadempimento a quegli obblighi da parte della Banca.
8. Il SETTIMO e l’OTTAVO motivo, con cui si deduce vizio di motivazione quanto al rigetto delle domande di risarcimento del danno per responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) della Banca e di risoluzione del contratto, sono assorbiti, in conseguenza dell’accoglimento del sesto motivo.
9. Il NONO motivo ha ad oggetto il risarcimento del danno da reato di falso, cioè “la richiesta di procedere per la contraffazione della firma dell’attore sull’ordine di acquisto del bond Parmalat”. Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto accertare il reato di falso, avendo il sig. G. disconosciuto la firma ed essendo il disconoscimento stato asseverato da una perizia grafica di parte non contestata. Il motivo si conclude con un quesito volto a stabilire se “non risulti contraddittoria ed insufficiente la motivazione della sentenza che respinga la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal risparmiatore nei confronti del responsabile civile per la commissione del reato, omettendo di tenere conto del fatto che la formazione del falso non viene contestata nemmeno dal convenuto chiamato a risponderne”.
9.1.- Sorvolando sul modo in cui è formulato il quesito, di cui non è chiara la pertinenza rispetto alla fattispecie e al decisum, il motivo è comunque infondato. La corte di appello, infatti, ha escluso la prova della falsità della sottoscrizione e, quindi, della contraffazione del predetto documento. Il giudizio di legittimità non è la sede nella quale è possibile disporre tale accertamento.
La conclusione raggiunta dalla corte di merito non è contraddetta della circostanza, riferita in sentenza, che, a fronte dell’accertamento richiesto da parte del sig. G., la Banca abbia dichiarato di rinunciare ad avvalersi della forza probatoria del documento.
10. Il ricorso incidentale proposto dalla Banca, vertente sulla compensazione (ritenuta erronea) delle spese processuali disposta dal giudice di appello, è assorbito.
11.- In conclusione, la Corte di appello di Milano, in diversa composizione, rivaluterà il materiale istruttorìo e giungerà a una nuova decisione, tenendo conto delle ragioni che hanno condotto alla cassazione della sentenza impugnata, in accoglimento del sesto motivo per quanto di ragione, cioè limitatamente alle questioni esposte nei pp.7 e seguenti. Al giudice di rinvio spetta la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte dichiara inammissibili il primo e quarto motivo del ricorso, rigetta il secondo, terzo, quinto e nono motivo, accoglie il sesto per quanto di ragione, assorbiti il settimo e l’ottavo, nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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Numero Protocolo Interno : 81/2012