La sospensione per trecento giorni dell’esecuzione forzata, accordata dalla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20, comma 4 alle vittime dei delitti di estorsione o di usura, si applica ai termini in scadenza o scaduti ed alle vendite forzate che siano state disposte, nell’ambito delle procedure fallimentari in corso, entro un anno dall’evento lesivo, essendo la ratio della detta norma comune a tutte le restanti moratorie previste dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, commi 1, 2 e 3.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Rel. Di Virgilio, con la sentenza del 19.04.2016.
Nel caso considerato, un debitore fallito ricorreva per Cassazione avverso il decreto con cui il Tribunale di Pinerolo aveva respinto il reclamo proposto nei confronti del provvedimento del giudice delegato al fallimento dell’istante che, su istanza del curatore, aveva autorizzato la liquidazione immediata dei beni personali del fallito, nonostante quest’ultimo avesse in precedenza formulato la richiesta di concessione di un mutuo senza interessi, previsto in favore delle vittime dell’usura.
Il Tribunale adito aveva ritenuto che la invocata sospensione dei processi esecutivi, mobiliari ed immobiliari, prevista dalla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20, comma 4, anche in favore delle vittime dell’usura, non potesse trovare applicazione in via analogica nell’ambito delle vendite disposte in sede fallimentare, ritenendo, per un verso, che la sospensione prevista da detta legge, per un periodo di soli trecento giorni, non fosse in grado di consentire la definizione della procedura fallimentare del fallito e, per altro verso, che detta sospensiva riguardasse soltanto i provvedimenti esecutivi intervenuti entro l’anno dall’evento lesivo, mentre i fatti di usura di cui era rimasto vittima il fallito risalivano ad un periodo antecedente.
Innanzi al giudice di legittimità, il ricorrente denunciava, con il primo motivo, la violazione della L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 20, comma 4, per avere erroneamente ritenuto il tribunale che la sospensione delle procedure esecutive pendenti in favore delle vittime del reato di usura non fosse applicabile in seno alle procedure concorsuali, ma soltanto per quelle esecutive individuali, mobiliari ed immobiliari, e che, comunque, la detta sospensione anche ove applicabile potesse riferirsi ai provvedimenti esecutivi emessi entro un anno dall’evento lesivo costituito dai fatti di usura.
Con il secondo motivo, l’istante lamentava un vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo il tribunale ritenuto la sospensione della liquidazione dell’attivo fallimentare inidonea ad assicurare una definizione della procedura concorsuale entro il ristretto termine previsto di trecento giorni.
Preliminarmente, la Suprema Corte, a differenza di quanto sostenuto dal giudice di merito, rilevava l’applicabilità della sospensione dell’esecuzione forzata, accordata dalla L. n. 44 del 1999, art. 4 alle vittime del delitto di usura, anche alle vendite forzate disposte nell’ambito delle procedure fallimentari, tenuto conto dei più ampi benefici introdotti espressamente, anche per i falliti, dalla L. 27 gennaio 2012, n. 3, artt. 1 e 2, ed anche per le procedure iniziate anteriormente all’entrata in vigore della predetta disciplina normativa.
Ad avviso della Corte, in particolare, deve ritenersi astrattamente consentita la sospensione delle attività di vendita dei beni appartenenti alla massa fallimentare, quando il fallito abbia richiesto la concessione di un mutuo senza interessi ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 14, quale vittima del reato di usura.
In secondo luogo, il Giudice di legittimità specificava, da una parte, che la disciplina introdotta dall’art. 20 della L. 44/1999 ha carattere eccezionale, attribuendo al giudice, in deroga al disposto dell’art. 2740 c.c., il potere di sospendere il compimento di quegli atti esecutivi che possono pregiudicare irrimediabilmente il patrimonio dell’esecutato in vista dell’elargizione delle previste provvidenze tese al superamento di una temporanea difficoltà economica dello stesso; dall’altra, ribadiva che la ratio della normativa segnalata è quella di evitare che, nel lasso di tempo necessario ad avviare e concludere il procedimento amministrativo volto all’erogazione di provvidenze ed elargizioni, possa registrarsi un mutamento in peius delle condizioni economiche dell’istante, a seguito del maturarsi di prescrizioni, decadenze, o atti di esecuzione forzata nei suoi confronti.
Infine, chiarito che la sospensione per trecento giorni dall’esecuzione forzata, accordata alle vittime dei delitti di estorsione o di usura, si applica ai termini in scadenza o scaduti ed alle vendite forzate che siano state disposte, nell’ambito di procedure fallimentari in corso, entro un anno dall’evento lesivo, rilevava che, nella fattispecie controversa, i fatti lesivi in forza dei quali il fallito aveva chiesto l’erogazione del mutuo, risalivano ad un periodo precedente di oltre un anno l’evento lesivo.
Per le argomentazione suesposte, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, nulla statuendo in ordine alle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
FALLIMENTO: esclusa la sospensione della fase pre-fallimentare per le vittime del reato di usura
L’accertamento dell’insolvenza non può essere assimilato ad un procedimento esecutivo
Sentenza | Cassazione Civile, Sezione sesta | 01.10.2014 | n.20746
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