ISSN 2385-1376
Testo massima
E denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa motivazione della sentenza qualora la stessa si fondi su motivazione omessa o “apparente”, qualora, cioè, il giudice di merito pretermetta del tutto la indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza, peraltro, compierne alcuna approfondita disamina logica e giuridica.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, VI sez. civ., sottosezione T., con ordinanza camerale n. 20533 del 29/09/14, decidendo sul ricorso presentato da un privato avverso sentenza della C.T.R. del Lazio, che aveva a sua volta confermato la sentenza di rigetto emessa in primo grado dal corrispondente Commissione Tributaria provinciale.
Materia del contendere risultava essere un’opposizione ad avviso di accertamento atto a contestare al ricorrente l’esistenza di un debito nei confronti dell’erario, derivante dalla cessione della sua licenza di conducente di taxi nella provincia di Roma.
Secondo quanto affermato dal ricorrente, tale cessione era avvenuta al di lui figlio a titolo gratuito, avvalendosi di un’apposita clausola presente nel regolamento del Comune di Roma che consentiva il trasferimento “per atto tra vivi a persona determinata a richiesta dell’interessato, a persona da ultimo designata”.
Si richiedeva pertanto la censura della sentenza di appello per insufficienza della motivazione, avendo il giudice di secondo grado confermato la pronuncia di primo grado senza però preoccuparsi di accertare – o quanto meno argomentare – sull’inesistenza di plusvalenza imponibile relativa alla cessione della licenza.
Valutando come fondato il motivo di ricorso, la S.C. ha rilevato come il giudice dell’appello avesse in effetti posto alla base del rigetto del ricorso il semplice assunto che una plusvalenza, realizzata a seguito di cessione di azienda, rappresenta un reddito fiscalmente rilevante.
Il giudice regionale ha in sostanza omesso di rappresentare secondo quale nesso eziologico “quella” cessione dovesse considerarsi di natura onerosa, nonostante gli elementi di fatto portati alla sua attenzione (su tutti, il rapporto di filiazione tra cedente e cessionario) suggerissero la gratuità dell’atto traslativo.
La motivazione del giudice di appello è stata giudicata solo “apparente”, perché articolata attraverso “brevi proposizioni (…) assolutamente inidonee al raggiungimento dello scopo di evidenziare una motivazione percepibile come tale, cioè come ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendo” (cfr. Cass. Civ., II Sez., sentenza n. 4488 del 25/02/2014).
Una motivazione “apparente” non permette di comprendere l’iter logico seguito dal giudice per arrivare al risultato enunciato nel dispositivo: essa, dunque, integra una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto al giudice dall’art. 132, n. 4, c.p.c. di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione.
Sulla scorta di queste considerazioni, la Corte ha accolto le ragioni del ricorso, rinviando la causa alla C.T.R. Lazio in diversa composizione affinché provveda anche in relazione alle spese processuali.
Testo del provvedimento
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